Villa san Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino

Tomba François

L’imperatore Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, nato nel 10 a.C. a Lugdunum (Lione), pronipote di Augusto per parte di madre e salito al trono nel 41 d.C. dopo l’assassinio di Caligola, fu un appassionato cultore di storia e di letteratura.

Secondo quanto ha tramandato Gaio Svetonio Tranquillo (70-126 d.C.) nell’opera “De vita Caesarum” (“Vita dei Cesari”), già da adolescente sotto le sollecitazioni e la guida di Tito Livio “si diede a scrivere un’opera di argomento storico”, ma questo suo primo tentativo si scontrò con un auditorio distratto, perché quando, come era usanza, ne fu data pubblica lettura un ridicolo incidente occorso ad uno spettatore fece esplodere l’ilarità generale.

Anche se dai suoi stessi parenti era considerato, forse ingiustamente, “tardo di mente”, il giovane Claudio perseverò nei suoi interessi culturali, cosicché anche durante il principato “continuò a scrivere molte opere e a farle recitare da un lettore”, ma purtroppo sono andate perdute.

Dapprima iniziò la composizione di una storia romana “cominciando dall’uccisione del dittatore Cesare”, rimasta però incompiuta in soli due libri, a causa delle forti pressioni ricevute; quindi passò alla stesura di un’altra opera più vasta, in quarantuno libri, che partiva dal periodo della “pacificazione politica”, ossia dal principato di Augusto.

Claudio coltivò anche lo studio della lingua greca, all’epoca l’idioma dei dotti, in ogni occasione ribadiva questo suo amore poiché la considerava una “lingua superiore”, e conosceva a memoria ampi brani dei poemi omerici, citando spesso come aforismi alcune frasi particolarmente significative. L’imperatore dimostrò un grande interesse anche nei confronti dello studio della civiltà etrusca, cominciando una serie di ricerche che gli permisero di scrivere i “Tirrenikà” (“Storia degli Etruschi”), un’opera monumentale in venti libri e in lingua greca. Anche di essa, purtroppo, nulla resta, se non brevi citazioni in altri autori latini.

Svetonio ha tramandato il ricordo anche di un’altra opera scritta dall’instancabile Claudio, la “Storia dei Cartaginesi”, aggiungendo che proprio grazie alla stesura di questi due libri “nell’antico Museo di Alessandria [d’Egitto] se ne aggiunse uno nuovo che recava il suo nome”, e fu stabilito che in determinati giorni dell’anno “vi venissero letti in uno la “Storia dei Tirreni” e nell’altro la “Storia dei Cartaginesi”, per intero, da lettori che si alternavano ad ogni libro, come in un pubblico auditorio”.

Per la stesura dei “Tirrenikà” sicuramente Claudio attinse notizie dalle opere di precedenti storici latini, ma probabilmente consultò anche fonti etrusche originali, ancora esistenti ai suoi tempi, anche se ormai l’etrusco era diventato di fatto una “lingua morta”.

Egli conosceva l’etrusco, o nella eventuale traduzione dei testi si fece aiutare da qualcuno? Oppure parte di tali fonti erano già state tradotte in latino? Non si hanno notizie in merito al maturare in Claudio dell’interesse per gli Etruschi, né si può rispondere con certezza a queste domande, tuttavia non privo di significato è il fatto che nel 15 d.C. sposò in prime nozze una donna di origini etrusche, Plautia Urgulanilla (8 a.C. - dopo 28 d.C.), da lui ripudiata pochi anni prima di diventare imperatore, poiché su di essa gravava il sospetto di adulterio, e si vociferava che si fosse addirittura macchiata di omicidio.

Plautia Urgulanilla era figlia di Marco Plautio Silvano (35 a.C. circa-dopo 9 d.C.), che nel 2 a.C. aveva rivestito il consolato insieme all’imperatore Augusto, e sua nonna paterna Urgulanilla era discendente dalla gens etrusca Urgulania; anche sua madre Lartia era di origini etrusche.

Questo matrimonio (e le parentele che ne derivarono), dimostra che Claudio per un certo periodo fu in contatto con famiglie senatorie di origine etrusca, che potrebbero avergli messo a disposizione le loro conoscenze in merito alla storia degli Etruschi. Forse dei “Tirrenikà” è giunta fino a noi solo la storia di Macstarna, come sembra illustrare un discorso tenuto dall’imperatore Claudio in Senato nel 48 d.C., a favore della concessione della cittadinanza romana all’èlite dei Galli Comati.

Per dimostrare che fin dalle sue origini Roma aveva ammesso nel proprio corpo sociale anche persone “straniere”, raccontò la storia di Macstarna, identificandolo con il sesto re di Roma Servio Tullio. Fortunatamente questo discorso è conservato nella “Tabula Claudiana”, detta anche “Tavola di Lione”, in bronzo e recante un’ iscrizione latina, rinvenuta nel 1528 a Lugdunum: “Servio Tullio era di origine etrusca e figlio di una plebea, tale Ocresia. Era il fedele compagno del celebre etrusco Cele Vibenna, del quale condivise tutte le avversità. Si dice che quando Cele fu sconfitto, Servio Tullio, che a quel tempo si chiamava Mastarna, alla testa dei resti dell’esercito si impadronì di quel monte cui impose il nome di Caelius, il monte Celio. (…)”.

Un compendio del discorso di Claudio è stato tramandato anche dallo storico Tacito negli “Annales” (XI, 24). La storia di Macstarna risaliva alle saghe etrusche, come dimostrano gli affreschi della Tomba Francois nella necropoli di Ponte Rotto a Vulci (340-330 a.C.), appartenente alla famiglia aristocratica dei Saties.

In questi affreschi vi sono sia scene riferibili al mito della conquista di Troia, sia episodi storici relativi ad un combattimento tra alcuni personaggi identificati da iscrizioni, tra cui un Caile Vipinas (Celio Vibenna) liberato da un personaggio di nome Macstrna, Aule Vipinas (Aulo Vibenna) che uccide Ventichal […] Plsachs, e Marce Camitlnas che si oppone a Cneve Tarchunies Rumach (Gneo Tarquinio di Roma).

E’ comunque incerto se il vocabolo Macstrna-Macstarna sia da intendere come un nome proprio, oppure come un titolo indicante una funzione politico-militare. Anche il grammatico romano Marco Verrio Flacco (55 a.C.-20 d.C.), che scrisse un’opera sugli Etruschi (“Res Etruscae” o “Disciplinae”) conosceva la storia di Macstarna, ma non identificò questo personaggio con Servio Tullio; purtroppo della sua opera restano solo due soli frammenti.

La perdita della storiografia originale etrusca e di quella romana dedicata agli Etruschi, si rivela particolarmente infausta per la mole di notizie che sono andate perdute, dati importanti che avrebbero certamente contribuito ad una migliore conoscenza di questo popolo, per certi versi ancora sfuggente.

Micaela Merlino

Busto di Claudio - Napoli, Museo Archeologico Nazionale

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