Viterbo LA STORIA DI VITERBO
Mauro Galeotti

Saggini Costruzioni e la Storia di Viterbo: Porta di santa Lucia oggi Porta Fiorentina - Prima parte

Seconda parte

Terza parte

Porta Fiorentina negli anni '20 del 1900, con le porte con i cancelli che hanno sostituito quelle di legno
(Archivio Mauro Galeotti)

Il 1° Giugno del 1528 venne in città papa Clemente VII «era venuto con poca scorta e direttamente da Orvieto [scrive Cesare Pinzi], donde il disagio e la carestia lo avevano costretto a sloggiare dalle rovinose stanze di quel palazzo episcopale».

Il pontefice, già affranto dai patimenti subiti nel Castello di sant’Angelo a Roma, si era trovato assai male ad Orvieto ed era uso affermare «esser meglio di star prigione a Roma, che libero in Orvieto». Il papa aveva al seguito vari cardinali e giunto a Porta di santa Lucia fu accolto con grandi onori dai priori che gli offrirono le chiavi della città dietro l’acclamazione del popolo.
Fu accompagnato processionalmente nel vicino Convento di san Francesco, per rendere grazie a Dio, e da qui andò ad alloggiare alla vicina Rocca Albornoz.

Il cardinale Ippolito d’Este, detto il cardinale di Ferrara, alcuni anni dopo, il 21 Giugno 1563, fece solenne ingresso a Viterbo dalla porta, era diretto alla Rocca Albornoz e fu ricevuto dai priori vestiti con cappe paonazze. Non mancò, da parte di un giovane, tale Pietro Pollioni, la recita di alcuni versi in onore del cardinale. Ancora un importante avvenimento poteva essere annotato nella storia della porta, l’ingresso di un pontefice, ma ciò non accadde.

Papa Gregorio XIII il 14 Settembre 1577 (per Francesco Pietrini il giorno è il 15 Settembre), fu ricevuto dal cardinale de Gambara nella sua sontuosa villa a Bagnaia. I priori, venuti a conoscenza della presenza del pontefice, accompagnati da nobili cittadini, si recarono al cospetto di sua Santità, visto che la nostra città era esclusa dall’itinerario della visita papale.

La corte ecclesiastica ed il papa, portato in lettiga, il 16 partirono per dirigersi a Capodimonte. I Viterbesi speravano che il pontefice includesse in questo itinerario la visita alla città, visita promessa sin dal 1572 e mai soddisfatta. Così, in via preventiva, i priori decisero di addobbare Porta di santa Lucia, trasformandola in un arco trionfale, ove potevano ammirarsi due colossali statue raffiguranti la Religione e la Prudenza. Sull’alto dell’ingresso furono collocati grandi medaglioni scolpiti in rilievo, raffiguranti le gesta illustri del papa descritte da specifiche iscrizioni. Autore dell’arco fu Feliciano Nucci e le statue furono opera di Francesco Monaldi, che fu coadiuvato da Carlo Cordelli e Leonio Balsagrani.

Su un pilastro era raffigurato un leone con la corona, che reggeva la sfera con le quattro lettere F A V L, con la palma e la legenda Non timeo verbum  / leo sum qui signo Viterbum. 

Le mura limitrofe, poi, erano addobbate con arazzi realizzati dalle nobildonne viterbesi, sempre presenti per dare il meglio di loro. Papa Gregorio XIII, di ritorno da Capodimonte, giunse al cospetto della porta il 21, dove era atteso dai priori, dal vicario vescovile, dal clero e dal popolo.
Gli furono consegnate le simboliche chiavi della città e gli fu rinnovato l’invito ad entrare in città. Ma il papa dette il suo diniego dicendo «un’altra volta con più comodità avremo a consolarvi», benedì quindi i presenti e se ne andò a Bagnaia.

Qualcuno suppone che il papa non entrasse per non gravare le spese già deficitarie del Comune, fatto sta però che il pontefice neppure due anni dopo, nel 1579, in un’altra visita a Bagnaia, pose piede a Viterbo.
Invece chi non ebbe remore nel sopraggiungere inaspettatamente fu la peste.

Per sospetto della imperdonabile malattia, il 12 Novembre 1579, si ordinò la chiusura di tutte le porte meno la nostra in questione, a guardia della quale «vi habbino a’ stare di continuo dui cittadini contribuendosi fra di loro l’hore, et che nessuno sia esente per qual si voglia a’ tutti e giri [a turno]».

Deputati a tale servizio, con ogni autorità, furono: Bussotto Bussi, Francesco Tignosini, Valerio Almadiani, Nicola Tignosini, Marc’Antonio Fiorenzoli, Cesare Pollastri, Anselmo Cocco, Nino Nini, Cesare Cordelli.

In data 8 Maggio 1585 si ordinò «Che quanto prima si faccino dipingere le armi del nuovo Pontefice Sisto quinto [...] secondo il solito» all’ingresso della porta. Il nuovo pontefice, Felice Peretti, che veniva comunemente chiamato il cardinale di Montalto, era salito al soglio pontificio per acclamazione il 24 Aprile 1585.

Nel Consiglio generale dell’8 Dicembre 1585 per «decoro et magnificenza» fu proposto di «impiegare fino a’ cinquecento scudi l’anno in fabrica del nostro palazzo [comunale] [...] et ancho a’ fare le due porte Romane in bella forma». Ma alla proposta venne risposto negativamente «in quanto poi alle due porte principali si faccino un’altra volta per honor della Città et per sodisfare ancho al Mons. Ill/mo Legato».

Pochi giorni dopo, il 28 Dicembre 1585, fu riproposto in Consiglio, essendo già stato fatto nel precedente, di «ridurre in bella forma» una delle porte principali della città «e cioè quella di S. Lucia». Questa volta finalmente la proposta fu accolta con trentuno palle bianche e tre nere, così, il giorno successivo, furono eletti, per il restauro della porta e del Palazzo comunale, i soprintendenti: Giovanni Lorenzo Paoloni, Valerio Bussi, Francesco Monaldi e Marc’Antonio Fiorenzoli.

Il vescovo di Viterbo, Gerolamo Matteucci (8 Dicembre 1594 - 21 Gennaio 1609), facendosi interprete del desiderio della cittadinanza, rimasta delusa dall’atteggiamento di papa Gregorio XIII, tanto disse e fece che riuscì a far venire a Viterbo Clemente VIII, Ippolito Aldobrandini.
La visita del pontefice era stata annunciata per il 6 Aprile 1597, ma questi non venne tanto che il magistrato inviò una supplica a Clemente perché si degnasse di venire a Viterbo. A tale invito il papa rispose affermativamente cosicché, il 27 Aprile, proveniente da Bagnaia, giunse alla Porta di santa Lucia dove fu ricevuto con tutti gli onori e fu condotto processionalmente a visitare la Cattedrale di san Lorenzo, ma la visita durò poche ore.

Nel Maggio e Giugno 1598, nei Ricordi dei priori, viene rammentato ai priori successori, il pagamento a mastro Cescani di Diomede:
«avemo spesi delli sopra detti denari per fare assettare li dui segi cincolare dilla e di qua nella porta di S. Lucia sicome se provedeva pagati a Gaspare Maffuci giulii otto per tanta calcina auta da lui e se pagato a M° Cescani di Diomede per rena e fattura di detti segi e canne sei di intonicato che monta [...] dui in tutto scudi 2.80. Pagati per una banella messa nel canciello di detta porta di dentro. Vinticinque dico Scudi 25.»

Leggo nei Ricordi dei priori, nei primi mesi dell’anno successivo:

«habbiamo dati a m° Maffio per resto di quello doveva havere per li lavori fatti da lui alla porta di S. Lucia, come appare nella bolletta [...] sotto l’ultimo di febraro et giuli cinque simili l’habbiamo lassati in mano di Costantino Valori, perché paghi quelli che portano via il terrapieno fatto carreggiare per correre il saracino, [la giostra del saracino] et paoli dui habbiamo dati al Biondo nostro servitore [...] per haver hauto cura della inguintana che tutti fanno li detti paoli 36».

Nel Marzo del 1612 si ricordò ai priori di far accomodare a mastro Maffio la fontanella fuori Porta di santa Lucia e nel terzo trimestre del 1615, analoga memoria fu fatta ai priori del trimestre successivo di pagare il fabbro che eseguì i lavori al cancello della porta.
Al Consiglio generale del 21 Giugno 1615 si dichiarò, che «si devono anco in molti luoghi riparare le muraglie della, Città che minacciano rovina, et se cascassero vi andarebbe assai più spesa che nel Palazzo [si parla del Palazzo comunale in rovina e restaurato], et al Popolo toccarebbe a’ rifarle dove hoggi si può riparare con poca spesa».

Nel Luglio, Agosto e Settembre sempre del 1615 i priori, nominarono il pittore viterbese Filippo Caparozzi (1588? - 1644) quale esecutore di una pittura sulla porta. Questa l’annotazione:
«Si sono lasciate quattro some di calcina alla porta di S. Lucia per finire li lavori cominciati da m° Pietro muratore potrano farle risarcire detta porta nel meglior modo che li parerà, che già esso m° Pietro a’ conto di detti lavori ha hauti scudi undici, et li lavori, che ha fatto non importano tanto, che per la metitura si sono tralasciati.
Si deve restituire all'Hospedale un bigonzone di calcina hauta per far l’incollato della pittura. M° Filippo Caparozzi pittore deve finire la pittura della porta di S. Lucia, che già ha hauti scudi sette et deve essere pagato del resto, che sarà dichiarato dal Malvicini dalli dodici fino alli quindici scudi così convenuti».

L’anno seguente, nel Gennaio, Febbraio e Marzo 1616, i priori scrissero ancora in merito alla pittura di cui sopra, «Si ricorda ancora che M° Filippo Caparozzi ha finita la pittura della porta di S.ta Lucia et perché ha fatto molto più di quello che era stato a' patto con li Sig.ri passati che havevano stabilito darli da dodici in quindici scudi perciò havendo fatto di più si pregano le sig.rie loro a’ pagarle le sue mercedi, delle quali non ne ha’ avuto se non scudi 14 a bon conto».

Nei Ricordi dei priori, dell’Aprile, Maggio e Giugno 1618, si rammentò di «far finire il lavoro principiato alla porta di S. Sisto, e dipingervi le armi, com’anco alla Porta di S.ta Lucia».

Il 30 Luglio 1624 la Congregazione di Sanità ordinò, per prevenire la peste, che per «la guardia [alla] porta di S. Lucia […] di continuo vi debbano stare due cittadini», i quali avevano ogni autorità, inoltre, ordinò che si costruisse uno steccato, da tenersi sempre chiuso, ed aprirlo solo se la persona che doveva entrare in città mostrasse sanità corporale. Si proibì, pure, di aprire la porta di notte.

La stessa Congregazione il 12 Giugno 1630 per timore del contagio, dispose «che si faccia uno steccato fuori della porta di S. Lucia sotto l’hosteria di S. Alessio», il quale doveva essere vigilato in continuazione da due soldati. Ordinò anche di fare una processione generale per «implorare l’aiuto divino». Il 1° Luglio dello stesso anno intimò «Che si venda il cavallo di Politta confiscato per la contravvenzione de’ bandi e s’impieghi il prezzo in due tende alle porte di S. Lucia e di S. Sisto, per riparare il sole per quelli che assistono alla guardia di quelle». Inoltre, stabilì, per maggiore sicurezza, «Che si facciano altri Cancelli alle due porte di S. Sisto e di S. Lucia dando facultà di farli fare al sig. Pierfrancesco Bussi et al sig. Domenico Sacchi».

Molte furono le attenzioni e le precauzioni prese contro il contagio della peste, tra queste, il 9 Settembre 1632, per paura, furono aumentati il numero degli addetti alla guardia della porta.
Ancora la Congregazione di Sanità il 16 Maggio 1633 per prevenire il contagio ordinò che «all’Avemaria si serrino le Porte e non si aprino, […] fino a’ giorno chiaro […]. Che i deputati delle Porte non lascino entrare nella Città infermi di qualsivoglia sorte, ancorchè habbiano bolletta di sanità […]. Che si piantino due forche una alla Porta di S. Lucia e l’altra di S. Sisto per punire i trasgressori».

Il 9 Settembre, la Congregazione dette un giro di vite e stabilì, contro il contagio, nuove norme, tra queste «che le chiavi delle due porte della Città di S. Lucia e di S. Sisto le tenghino giorno e notte i deputati che dormino nelle medesime porte per aprire alli corrieri che passano». Inoltre, «che si taglino tutti gli alberi vicini alle muraglie della Città, acciocchè non possa alcuno salire per quelli» ed entrare in città superando, appunto, le mura castellane. Poi, il 15 Novembre 1633, il pericolo del contagio terminò e fu deciso di aprire le porte, sciogliendo dall’obbligo di custodia i deputati alle porte stesse.

Nel 1656, alla porta, venne collocato un cancello per tenere a bada e sotto controllo, i possibili appestati che si fossero presentati all’ingresso. Nel Consiglio comunale del 29 Maggio di quell’anno fu stabilito che, alle porte rimaste aperte, debbano fare la guardia due cittadini per porta «e per due giorni seguenti ci si mettino i soldati Corsi, e poi i soldati della Città […] che si faccino due sigilletti eguali, e simili, con i quali dalli deputati delle Porte si segnino, e sigillino le fedi, e le bollette, che si portano. Che i custodi de’ Conventi diano la nota delli frati di famiglia, e si tenga alle Porte, e non diano ricetto ad altri frati senza le fedi della Sanità conforme al bando».

Ventisette anni dopo, il 23 Maggio 1683, un fausto avvenimento allietò la storia della porta, si trattò dell’ingresso del cardinale Urbano Sacchetti, nominato, il 29 Marzo 1683, vescovo della città. Entrò seguito dal clero e dalle autorità cittadine che lo avevano atteso vicino alla Chiesa di santa Maria dell’Ellera.

Il cardinale cavalcava una mula dal pelame color bianco e si diresse verso la Chiesa di santa Lucia, vicino alla omonima porta, per indossare la cappa magna col piviale e la mitra bianca.
Passata la porta attraversò ben nove archi trionfali arricchiti da festoni composti da rami d’albero e da fiori. In più erano dipinte alcune targhe con fregi floreali e con scritte elogiative, tra le quali la più importante riferiva:
«Huc urbis nostrae lumen Vetuloniae tandem / accedit radians, advenit atque salus. / Cessent vota, preces, quaestus non amplus / felices nobis fata dedere dies».

Per l’occasione, le autorità comunali avevano diffuso, tra gli abitanti, un biglietto a stampa che possiedo, con scritto:
«V.S. si compiacerà Domenica li 23 corrente pulire, & infiorare la strada, & adornare le fenestre, Porte e mura di Casa, ò bottegha sua per honorare l’ingresso solenne del nostro Eminentissimo Vescovo».

Mauro Galeotti da "L'illustrissima Città di Viterbo", 2009

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