Valentano STORIA
Romualdo Luzi

 

Pietro Farnese

            Cinquanta anni fa, nella notte fra il 3 e il 4 novembre 1966, dopo giorni e giorni di pioggia incessante, l’acqua dell’Arno uscì dagli argini e travolse Firenze.

Per 18 ore la città rimane in balia di un miscuglio furioso di fango e detriti di ogni tipo, a cui si aggiunse la nafta uscita dalle caldaie. Il livello raggiunge i 6 metri nei quartieri più colpiti. Quando il fiume si ritirò restituì uno scenario apocalittico. Le vittime furono 35: 17 in città e 18 nei comuni limitrofi. I danni al patrimonio artistico furono incalcolabili. Oltre un milione di volumi della Biblioteca Nazionale rimase danneggiato. Restò gravemente sfregiato lo splendido Crocifisso ligneo dipinto da Cimabue, nei depositi sotterranei centinaia di opere d’arte andarono distrutte completamente o danneggiate pesantemente.

            Qualche migliaio di appassionati e di volontari di tutto il mondo risposero all’appello per salvare il salvabile: questi “amici” saranno poi chiamati gli “angeli del fango”, furono presenti in tutti i luoghi ove la loro opera è non solo fu preziosa ma indispensabile.

            In quei giorni anche una testimonianza di storia farnesiana venne praticamente cancellata. La statua equestre dedicata dai fiorentini a Pietro Farnese, eroe al servizio di Firenze nella battaglia contro i pisani combattuta e vinta il 7 maggio 1363, eretta in suo onore nel Duomo di Firenze, costruita in gesso, legname e cartapesta, si ridusse a una poltiglia irrecuperabile.

            Occorre dire che dopo la battaglia di Pisa il Farnese, durante il successivo assedio posto al Castello di Montecalvoli, fu colpito da pestilenza e si spense a San Miniato al Tedesco (oggi San Miniato in provincia di Pisa) nella notte tra il 19 e il 20 giugno dello stesso anno. La salma fu subito condotta a Firenze ove gli furono tributate solenni esequie perché nell’animo di quei cittadini era rimasto il ricordo della sua vittoria sui Pisani. La sua impresa fu cantata in poemi e riportata nelle cronache del tempo che riportano le sue gesta. In particolare Antonio Pucci (1310-1388), nel suo Centiloquio, oltre a narrare gli atti guerreschi, ci tramanda ancora la testimonianza preziosa dell’arme di cui i Farnese, e lo stesso Pietro (che i fiorentini chiamavano con affetto Piero), già si fregiavano in quel tempo. I versi della poesia, nel passaggio che ricorda la cerimonia di sepoltura del grande Capitano, suona testualmente così:

(Quinto Cantare):

Il franco Capitano era portato         

Da duo gran destrier coverti a nero,

Con duo scudier, che ciascuno addobbato

Era per simil modo, a dir lo vero;

Un drappo ad oro tutto lavorato

Copriva l'arca, ov' era Messer, Piero,

E 'ntorno ad essa eran vestiti a bruno

Ben da cinquanta, e piagnea ciascuno.

 

Innanzi andavan quindici destrieri,

Che. di zendado nero eran coverti,

E 'n sella avean quindici scudieri

Di ner vestiti, graffiati, e diserti;

Le 'nsegne sue, come facìe mestieri,

Portavano a ritroso di lor certi,

Il campo d' oro, con gli azzurri gigli,

Che sottosopra portavan gli artigli.

            Ancora Franco Sacchetti (1332-1400) lo ricorda nel sonetto “I’ son Fiorenza, in cui morte s’accese” e le sue gesta di Capitano dei Fiorentini, sono ricordate in un affresco della Sala dei Fasti Farnesiani del Palazzo di Caprarola.

Fig. 1 - Il monumento equestre a Pietro Farnese (+1363), di Jacopo Orcagna, nell’incisione del disegnatore Gozzini, edito nelle tavole “I Farnese” dell’Odorici-Litta (1860-1868)

            Nel 1366 venne quindi eretta in Santa Reparata (era allora il Duomo di Firenze che poi prenderà il nome di Santa Maria del Fiore) l’arca funebre per mano di Jacopo Orcagna, fratello del più noto Andrea. Il monumento consiste nel riutilizzo di un sarcofago romano in marmo lunense, cioè di Carrara (e simili interventi erano normali nella Firenze di quel tempo) su cui era già stato scolpito sul fronte e in bassorilievo il soggetto della caduta di Fetonte (II – III sec. d.C.). Questo lato sarebbe poi stato considerato come lato posteriore e addossato alla parete per cui per secoli nessuno ricordò più questa circostanza.

 

Fig. 2 - Sarcofago romano con il mito della “Caduta di Fetente” (II sec. d.C.), riutilizzato per la sepoltura di Pietro Farnese

            Sull’altro lato lungo e sulle due facciate laterali furono scolpiti simboli araldici. In particolare sulla parte lunga anteriore vi sono scolpiti cinque pannelli con il primo portante il giglio bottonato della città, il secondo e il quarto pannello con serie di gigli farnesiani “seminati”, nel pannello centrale è stata scolpita l’aquila con un drago sotto i piedi e un piccolo giglio d’ oro sulla testa che è lo stemma donato dal pontefice Clemente IV nel 1265 ai fiorentini di parte guelfa, allorché si erano messi al servizio di Carlo d’ Angiò contro il re Manfredi di Sicilia, fautore della parte ghibellina. Nell’ultimo pannello di destra troviamo scolpita la croce rossa in campo bianco anch’essa arme del popolo fiorentino che sarebbe stata adottata nel 1292, anno nel quale fu creato il Gonfalonierato di Giustizia. Secondo altri sarebbe invece lo stemma dell’ esercito fiorentino.

            Nei due pannelli laterali si ritrovano il giglio farnesiano entro scudo con superiore cimiero piumato e, nell’altro, vi appare riprodotta la figura di una volpe rovesciata (a significare la vittoria sui pisani la cui città era raffigurata come una volpe), con cimiero superiore, arme con giglio farnese e piccolo giglio fiorentino.

            L’Orcagna, poi, per completare il monumento di Pietro realizzò un coperchio che si sovrapponeva all’urna inferiore con una struttura svasata e la parte superiore piana per sostenere il monumento sepolcrale superiore. Questa parte, sempre in marmo di Carrara, appare scolpita in bassorilievo con vari pannelli sui tre lati. Sul frontale ha rappresentato, nel pannello centrale, l’altra arme della città con due chiavi decussate d’oro in campo turchino, identico allo stemma della Chiesa, assunto dalla Repubblica fiorentina allorché si schierò con la parte guelfa. I due pannelli affiancati a quello centrale e gli altri due laterali portano esclusivamente una serie di gigli farnesiani seminati.

 

Fig. 3. Parti del sarcofago di Pietro Farnese (sopra il retro del sarcofago romano riutilizzato e sotto il coperchio marmoreo)

 

Fig. 4 - Parte superiore laterale del coperchio con scolpiti una serie di “gigli farnesiani seminati”.

            Il monumento equestre, dedicato a Pietro, lo raffigura in groppa a un “un mulo di tondo rilievo dorato”, collocato sopra la porta laterale, nella seconda campata della navata di destra di Santa Maria del Fiore. Il riferimento al “mulo” cavalcato dal Farnese (descritto come cavallo da tutti e anche dall’Odorici che. per il Litta, compilò la voce dei Farnese nell’opera “Famiglie Celebri d’Italia”) ci ha sorpreso non poco e allora inseguendo questo filone abbiamo cercato di comprendere questo singolare evento quasi a sottolineare come se il Farnese, onorato altamente dalla gente di Firenze, come “uomo chiaro non meno per gli egregi suoi fatti , che per la gloriosa posterità” quasi non meritasse di essere in groppa ad un cavallo.

 

Fig. 5 - Parte superiore del monumento equestre di Pietro Farnese. Questa parte del monumento, costruito in gesso, legno e cartapesta, andò distrutta nei depositi del Museo del Duomo durante l’alluvione di Firenze del 1966

             Ma la storia ci viene subito in aiuto e nel 1686, l’accademico della Crusca, il fiorentino scrittore Filippo Baldinucci così completa il suo riferimento al nostro illustre guerriero che “si vede egli armato con uno stocco sopra d’un mulo, perché mortogli sotto il cavallo, come dice l’Ammirato nella Storia Fiorentina, restò a piedi, abbandonato quasi da tutti i suoi, ed incontratosi in un mulo da soma, lo fe’ scaricar, e postagli la sella del morto destriero, e montato fu quello, e tornato a dar animo a’ suoi, acquistò la vittoria”. Qualcuno ha voluto ritenere come fosse un giglio fiorentino quello che orna la gualdrappa del mulo, ma erra perché proprio nel monumento si notano perfettamente le diverse morfologie araldiche fra il giglio simbolo di Firenze e quelli farnesiani.

            Ben si comprende allora questo singolare monumento equestre che celebra le gesta di un Farnese che fu riconosciuto e onorato come uno dei più grandi fra i “Capitani di Firenze”.

            Il monumento restò nel Duomo fino al 1944 allorché fu rimosso, con tanti capolavori ivi conservati, per la protezione antiaerea considerati i bombardamenti alleati che si paventava potessero colpire Firenze mentre il fronte si spostava, da Roma, verso la Toscana.

            Peccato che poi non ci fu nessuno che ripensò a quanto accaduto e, se molti capolavori artistici tornarono ad ornare Santa Maria del Fiore, il monumento di Pietro restò abbandonato nei sotterranei dell’Opera del Duomo ricevendo l’ultimo affronto nell’alluvione di cinquant’anni fa.

 

 

 

 

Fig. 6 - Museo Opera del Duomo di Firenze. Sala delle navate, al I piano. Sul fondo il monumento ricostruito di Pietro Farnese

             Oggi, nel Museo del Duomo, il monumento è stato ricostruito, ovviamente senza la cavalcatura e il condottiero, scomparsi fra la melma. Al suo posto, sulla parete di fondo, è stata collocata la gigantografia del Farnese da una incisione probabilmente del 1600/1700. Fortunatamente tra le immagini preziose delle tavole del Litta ritroviamo l’incisione firmata dal un non meglio identificato “Gozzini” che aveva apprestato la raffigurazione dal vero del monumento del Farnese. L’opera sulla famiglia Farnese fu stampata tra il 1860-1868 ma la ricerca iconografica era stata eseguita nel tempo, molto prima che si procedesse all’edizione e di cui possediamo la copia qui presentata nella prima immagine e nel particolare (figg. 1 e 5).

 

Questo articolo è stato pubblicato sul periodico LA LOGGETTA – Notiziario di Piansano e la Tuscia, XXI, 4, n. 109 – Inverno 2016/17, che si ringrazia.