Viterbo LA STORIA DI VITERBO
Mauro Galeotti

Saggini Costruzioni e la Storia di Viterbo: Porta di santa Lucia oggi Porta Fiorentina - Prima parte

Porta Fiorentina nel 1900 circa, con i cancelli in ghisa e il lampione a gas.
Si nota bene l'ampliamento della porta, avvenuto nel 1886,
ai lati del grande fornice centrale, grazie ai nuovi conci di peperino
(Archivio Mauro Galeotti)

Bello questo spaccato di vita che leggo da Niccolò della Tuccia sulla battaglia contro Federico. «Le donne di Viterbo con grande sollecitudine portavano sassi e armi da difesa e rinfrescamenti di bere alli sui omini», una collaborazione importante, non solo per l’aiuto fisico, ma anche, forse più necessario, per il sostenimento morale. 

E’ la forza della disperazione, che unisce i cittadini a difesa della propria città e della propria famiglia.
Passano gli anni e altri personaggi fanno il loro trionfale ingresso a Viterbo oltrepassando Porta di santa Lucia. Il 1° Maggio 1312 arriva l’imperatore Enrico, poi nel 1327, 1328 secondo Pinzi, è la volta di re Ludovico IV il Bavaro, il quale fu ricevuto sulla soglia della porta da Silvestro Gatti, con tutti gli onori che spettano ad un re. Silvestro, porgendogli, su un piatto d’argento, le chiavi della città e consegnandogli la signoria, si prese le grazie del re che lo nominò suo vicario nella città e distretto. Ludovico fu ospitato nel Palazzo del Gatti, in Piazza del Sepale, oggi Piazza Fontana Grande e si trattenne per alcuni giorni.

Racconta Cesare Pinzi che «In un dì del marzo 1334, durante la quaresima, si videro apparire dalla Porta di S. Lucia (ora Fiorentina) turbe stracciate e polverose di penitenti, i quali, ordinandosi a due a due in schiere da venticinque a trenta, e preceduta ogni schiera dalla croce, attraversavano la città in processione, salmodiando e gridando a volta a volta: “pace! misericordia!”.

Indossavano una tunica bianca che scendeva loro a mezza gamba, con sopra un mantello cilestro o bigio scuro, e sul mantello una colomba bianca intagliata con in becco tre foglie di ulivo. In capo portavano un cappellaccio di panno, che aveva sul davanti il monogramma di Gesù. Nella mano diritta recavano il bordone da pellegrini, nella manca una filza di pallottoline chiamate “li paternostri”».

Questi penitenti si flagellavano le spalle con una frusta di funicelle annodate, detta la disciplina e, da ciò, presero il nome di Disciplinati. Erano guidati, continua Pinzi, da «fra Venturino da Bergamo, Domenicano, un esaltato che pretendeva riformare il mondo a furia di penitenze», il frate raggiunse Roma e, dopo il suo passaggio, le confraternite aumentarono notevolmente di numero. Della prima Confraternita di Disciplinati costituita a Viterbo si ha notizia in un testamento di Pacifico in data 21 Agosto 1337.

Si giunge al 1374 quando l’infaticabile della Tuccia riferisce che la porta di legno fu bruciata:
«A dì 29 decembre venne lo campo della Chiesa in Viterbo a nome di Giovanni Aguto con 3000 cavalli et li elesse tutti, et introrno in Viterbo per la porta di S. Lucia, che era stata brugiata et ritrovorno la piazza piena di triboli et bombarde carche, e fecero una gran battaglia con Viterbesi et il detto Giovanni si ritirò perchè erano assai delle sue genti morte, et assai feriti […]. A dì 29 di detto mese si partì il detto Campo della Chiesa».

Così Carlo Calisse riferisce in merito, sul volume I Prefetti di Vico:
«correva su Viterbo la compagnia dell’Acuto, che, stipendiata allora dalla chiesa, era mandata dall’Albornoz a reprimere la recente insurrezione.

Il famoso capitano conduceva 3000 cavalli, e a’ 24 di novembre fu sotto Viterbo. Sforzata la porta di Santa Lucia, vi entrò; trovate ferme a riceverlo le genti del prefetto, venne tosto a battaglia; ma la sua cavalleria, per l’angustia del luogo e per le bombarde ed altri simili arnesi di che avean seminato il terreno, non potendo spiegarsi; prima s’intralcia, poi retrocede, finalmente si sbanda in modo, che, cinque giorni dopo, e fuori del patrimonio, l’Acuto non ne aveva ancora riannodato le fila».

Della Tuccia scrive ancora una messa in fiamme della porta.
«1380. La notte del 1° d’aprile fu messo da nemici fuoco alla porta di S. Lucia di Viterbo [...]. Fu grande carestia in Viterbo». «A 23 d’ottobre il [...] cardinale [di Ravenna, messer Pelagio] entrò in Viterbo la sera al lume di torce per la porta di S. Lucia con il baldacchino sopra il capo e li Priori novi l’andarono incontro sino alla chiesa della Croce con grand’onore».

Messer Pelagio, cardinale di Ravenna, nel 1391 tradì la Città di Viterbo e «Per tal tradimento li Viterbesi s’accordorno col prefetto Giovanni Sciarra [di Vico] facendolo entrare con gran festa in Viterbo» e alloggiò nel Palazzo di san Sisto, ove era già il cardinale predetto. E ancora della Tuccia scrive:
«E ferolo entrare in Viterbo per la porta di S. Lucia colla processione avanti; e giunto alla chiesa di S. Lorenzo smontò del cavallo e fessi mostrare il mento di S. Giovanni [Battista]; poi se n’andò a riposare a S. Sisto dov’era stato detto cardinale». Era il 10 Febbraio.

Porta di santa Lucia è ancora testimone di guerre, odii, misfatti, che videro vittoriosi i Viterbesi ancora una volta:
«A 22 del detto [mese di Maggio 1392, chi scrive è della Tuccia] l’oste de’ Romani, a nome della Chiesa, venne in Veterbo, e si pose in assedio nella valle verso Bagnaia. Poi vennero a far battaglia verso la porta di S. Lucia, ove tra una parte e l’altra furno morti otto omini, feriti assai e cacciati a dietro li nemici».

Nel Giugno 1419, il capitano Niccolò Orsini entrò in Viterbo dalla porta ove innalzò il vessillo chiudendosi dentro la città, ma un altro importante avvenimento rese partecipe la porta.

Infatti, leggo dal della Tuccia, nelle sue cronache, che nell’anno 1432 l’imperatore Gismondo, partito da Siena, venne in Viterbo per essere incoronato dal papa Eugenio IV, il quale non si presentò all’appuntamento, perché si era creata una situazione politica assai difficile in Roma, a causa di Paolo Colonna. Il papa fece avvisare che avrebbe incoronato l’imperatore a Roma e inviò, quale messaggero in Viterbo, il cardinale Orsini il quale giunse il 3 Maggio.

L’8 dello stesso mese arrivò l’imperatore e fu ricevuto fuori le mura dal cardinale Orsini, dal cardinale De’ Conti, da Ranuccio Farnese, da Paolo Pietro dalla Colonna, da Paolo da Roma, dal conte Averso da Ronciglione e da dodici vescovi.
Il vescovo di Viterbo, Giovanni di Cecchino dei Caranzoni, ricevette l’imperatore facendogli baciare una croce d’argento, bruciando poi l’incenso e aspergendo acqua benedetta e, addirittura, alla fine della cerimonia, si baciarono sul viso.

Il popolo viterbese, intanto, era andato incontro al sovrano acclamandolo e alcuni fedeli lo coprirono sopra il capo con un drappo, ricamato in oro, sorretto da aste e, scrive della Tuccia, «con grandissimo onore lo remisero dentro alla porta di S. Lucia della città, e smontò a S. Francesco», seguito da un lungo e sontuoso corteo pullulante di nobili.

«Il 23 settembre del 1443, a parziale consolazione di tanti guai inflitti alla città, giungeva in Viterbo, ad ora terza, papa Eugenio IV, ricevuto con grandissimo onore a porta S. Lucia dai Priori, che a lui offersero le chiavi su [un] bacile d’argento».
Le Riforme, al codice n° 9, carta 12, attestano come con lui fossero il cardinale camerario d’Aquileia e i porporati Colonna, il Tarentino, il Greco e il loro collega dal titolo di santa Maria Nuova. Al seguito, inoltre, erano duecento cavalieri, sessanta fanti e cinque cardinali. Fu accolto, oltre che dai priori, dal Consiglio dei Quaranta, dal vescovo e dai rettori delle Arti. In quell’occasione i priori spesero venti ducati per rinnovare i loro abiti cerimoniali che erano «de panno rosato».

Sulla Porta di santa Lucia, a mano sinistra, era una iscrizione del 1450, riportata da padre Feliciano Bussi († 1741), per i favori ottenuti da Nicolò V a Viterbo al tempo della pestilenza. L’iscrizione, ripresa anche da Giuseppe Marocco e da Francesco Cristofori, riferiva «Nicolaus pp. V. -Anno Iubil. MCCCCL». 

Ve ne era un’altra, posta «più sotto» nel 1465, a ricordo di un restauro eseguito al tempo di Paolo II, Pa(ulus) pp II 1465, quest’ultima è scolpita su marmo bianco e si trova nel giardino del Palazzo dei priori.

L’imperatore Federico III d’Austria, il 3 Marzo 1452, dopo aver visto il Bullicame, risalendo il Riello giunse, passando sotto le mura di Porta Bove, a Porta di santa Lucia, atteso dai priori che, su un bacile d’argento, gli donarono le solite chiavi della città. Federico era partito la mattina da Montefiascone seguito da ben quattrocentocinquanta cavalli e cavalieri, da molti signori della Magna, dal cardinale di Bologna e dal cardinale spagnolo di sant’Angelo.

La persona dell’imperatore fu protetta dal sole grazie ad un solicchio color porpora, ornato da banderuole con gli stemmi della Chiesa, dell’Impero e del Comune. Nacque una contesa su chi spettava portare il copri sole, ma fu presto stabilito che quel solicchio doveva essere portato dai Viterbesi abitanti nelle diverse contrade e per non fare torto a nessuno se ne scelsero dodici per ognuna. Tra i rappresentanti della Contrada di san Sisto era anche il nostro cronista Niccolò della Tuccia.

Alle ore 22 del 6 Marzo 1452, arrivò a Viterbo, entrando dalla porta al seguito di quattordici fanciulle e duecento cavalieri, la futura moglie di Federico III, la quale si chiamava «madonna Lionora [Eleonora di Portogallo], ed era bella quanto un fiore».
Il giorno 7, alle ore 18, partì dalla città, ove era stata ospitata dalla famiglia Gatti, per andare a raggiungere il futuro marito a Roma, dove furono incoronati dal papa Niccolò V.

Il 1° Luglio 1453 lo stesso papa Niccolò V, con Breve, concesse al Comune, che aveva protestato energicamente, la facoltà di poter spendere duecento ducati in quattro anni per il restauro delle mura. Ancora un altro contributo venne richiesto nel Novembre 1453, sempre in favore della ricostruzione delle mura.

Un fatto raccapricciante di giustizia fu perpetrato il 18 Maggio del 1454, infatti, per la morte di Princivalle Gatti, furono uccisi i responsabili e i loro miseri resti vennero appesi per ammonimento, oltre che alla Porta di san Sisto, anche su questa di santa Lucia.

Mauro Galeotti
dal libro Mauro Galeotti "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo 2002

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