Villa san Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino

La primavera” di Sandro Botticelli

Nella civiltà Occidentale antica e moderna molti miti e simboli sono stati creati e scelti per esprimere la qualità femminile, specchio dell’immagine culturale che la società ha elaborato circa la donna.

Nella civiltà greca la bellezza femminile e il suo potenziale sensuale è stato espresso dalla dea Afrodite (la Venere dei Romani), che secondo una tradizione era nata dai testicoli di Urano, recisi da Crono e caduti in mare, tanto che si faceva derivare l’etimologia del suo nome dal vocabolo greco aphròs (spuma).

Nell’antica Roma la dea Flora era collegata alla primavera, stagione nella quale la natura rinasce e fiori rigogliosi crescono nei campi e nei giardini. Dal 283 a.C., quando fu inaugurato il tempio di Flora sul Quirinale, in suo onore ogni anno tra la fine di aprile e i primi giorni di maggio era celebrata la festa Floralia, alla quale Catone il Vecchio dedicò l’opera “De re Floria”, purtroppo perduta.

I fiori espressione per eccellenza della femminilità: come non pensare, allora, alla lunga tradizione di questa simbologia, artisticamente espressa tanti secoli dopo nella bellissima opera “La primavera” di Sandro Botticelli (1482)?

Qui Flora è raffigurata come una donna molto bella e sensuale, che veste un abito intessuto di splendidi fiori, e nel gesto di spargere sul campo altri fiori, mentre al centro della scena c’è Venere, simbolo dell’Amore.

Un significato tipicamente femminile è stato assegnato soprattutto alla rosa, fiore che, invece, nell’antica Roma era collegato con i defunti, perché in occasione delle feste Rosalia era offerto sulle tombe. Nel Medioevo tale fiore fu riferito alla Vergine Maria, chiamata Rosa Mistica nelle Litanie Lauretane.

Nelle diciotto apparizioni di Lourdes, Bernadette Soubirous riferì di aver visto la “Bella Signora” con due rose dorate sui piedi nudi, mentre nell’apparizione del 13 Luglio 1947 a Montichiari, la veggente Pierina Gilli riferì di aver visto Maria Rosa Mistica. Ma la rosa ha una doppia valenza, perché è considerata anche il fiore dell’amore profano, proprio perché simbolicamente collegata alla bellezza femminile, che accende il cuore e i sensi. “Rosa fresca aulentissima” è uno dei componimenti del poeta siciliano Cielo d’Alcamo (XIII secolo), un dialogo molto sensuale tra uno scaltro giullare e una popolana, la quale finisce per cedere alle sue lusinghe.

Invece la mimosa come fiore associato al femminile, in concomitanza con la celebrazione della Festa della Donna, è una scelta recente (1946), indipendente da qualsiasi legame con elementi che simbolicamente possano ricondurre alla femminilità. Fu scelta unicamente per il fatto che nei primi giorni di Marzo gli alberi di mimose sono in fiore, dunque era molto facile procurarsi tale omaggio da donare alle donne. Il lato oscuro della femminilità è stato espresso, soprattutto nel Medioevo ma non solo, dalla figura della strega, una donna che ha instaurato un forte legame con il Demonio da cui deriva i suoi poteri soprannaturali, utilizzati per compiere il male.

Per certi versi la strega non è altro che la proiezione oggettivata del lato oscuro della natura femminile e della sua ambivalenza: la donna creatrice di vita, può diventare al tempo stesso colei che annienta la vita. Ma soprattutto essa è il prodotto di una cultura egemone tipicamente maschile (e maschilista), che per secoli ha represso la donna, inventando una sua presunta inferiorità fisica e intellettuale, e una sua maggiore attitudine al vizio e alla perversione.

Ancora nella seconda metà del XIX secolo, in Europa c’erano medici che consideravano il cervello delle donne più simile a quello dei selvaggi e delle scimmie, piuttosto che a quello dell’uomo civilizzato. L’inferiorità mentale della donna era data per scontata, e ciò ha causato per lungo tempo anche una sua esclusione dalla produzione e dalla trasmissione del sapere.

Immagine opposta, ma per certi versi anche speculare a quella della strega, è la fata il cui nome è una reminescenza del concetto greco e latino di Fatum (destino). La Fata è uno spirito naturale di aspetto giovanile, con pelle molto chiara ed abito colorato, provvista di una bacchetta magica (simbolo di potere). In genere è buona ed opera a favore della persona di cui è la protettrice, ma essendo anche piuttosto permalosa può diventare d’un tratto vendicativa.

Passando a considerare il mondo animale, nell’antica Roma la femminilità, sia nella sua accezione positiva che negativa, era simboleggiata dalla lupa. Infatti, secondo la leggenda, una lupa aveva allattato nella grotta Lupercal, ai piedi del colle Palatino, i due infanti Romolo e Remo che, abbandonati sulle acque del Tevere, fortunatamente non erano annegati. Ma questo animale era considerato anche molto lussurioso, cosicchè con l’ appellativo lupa si indicava la meretrice, e il postribolo dove esercitava la sua losca professione era chiamato lupanare. In Grecia l’animale associato alla dea Athena e alla saggezza era la civetta, mentre nel corso del tempo la cultura occidentale ha simboleggiato il potere procreativo della donna anche con il simbolo della chiocciola, il cui guscio alluderebbe alla vulva.

Nella tradizione simbolica alchemica, di origine medievale, la forza femminile è rappresentata da un cerchio sorretto da una croce. Sul piano materiale il femminile era associato al rame, perché è un metallo duttile e che si combina facilmente con altri metalli, dando origine ad altre leghe. In tal modo venivano simboleggiate le virtù femminili dell’adattabilità, dello spirito di sacrificio, della disponibilità all’unione sessuale feconda per far nascere nuove vite.

Un simbolo femminile è anche la coppa, che rappresenta simbolicamente sia l’utero-contenitore del seme maschile e del futuro neonato, sia il seno materno che produce il latte, bevanda che alimenta la vita. Riguardo ai colori, da alcuni decenni è invalso l’uso di esprimere la femminilità attraverso il rosa, ma non è stato sempre così.

Infatti in passato questo colore non aveva alcuna connotazione di genere, tanto che era indifferentemente usato per il vestiario di neonati maschi e femmine, e da uomini e donne. Addirittura negli Stati Uniti nel primo ventennio del XX secolo, riviste di moda consigliavano vestitini blu per le bambine e rosa per i bambini, perché quest’ultimo colore, più tenue del rosso ma da esso derivato, meglio si addiceva ad esprimere la forza insita nella virilità. Al contrario, essendo il blu un colore più tenue, lo si considerava più adatto ad esprimere qualità tipicamente femminili quali la sensibilità e la docilità.

L’inversione dei significati attribuiti a questi due colori sembra da addebitare alle grandi aziende di abbigliamento, a partire dagli anni ’40 del XX secolo, quando cominciarono a produrre vestiario rosa per le donne, e blu per gli uomini. L’umanità della seconda metà del XX secolo ha cominciato a viaggiare nello spazio. Quali immagini e simboli femminili trasmettere nell’Universo, con la speranza che possano giungere ad esseri extraterrestri, in altre galassie oltre il sistema solare, e che possano essere correttamente decodificati? Nel 1972 a bordo della sonda Pioneer, e nel 1973 su quella Pioneer 11, furono collocate due placche in alluminio anodizzato con oro, sulle quali erano raffigurati un uomo e una donna secondo un disegno eseguito da Carl Sagan.

Essi appaiono stanti, di prospetto, affiancati e nudi. La donna è posta alla sinistra dell’uomo e con le gambe leggermente divaricate. Il dimorfismo sessuale è illustrato attraverso i diversi organi sessuali, la maggiore altezza dell’uomo rispetto alla donna, e la forma del bacino, che è un po’ più largo nella donna.

I caratteri culturali sono espressi, invece, dai capelli corti nell’uomo e da quelli lunghi nella donna. Ciò che colpisce è che, invece, il carattere psicologico del messaggio è affidato esclusivamente all’uomo, perché solo costui, e non la donna, alza la mano destra in segno di amicizia e di pace. Perché la donna è esclusa da tale gestualità?

Anche per questo motivo ci furono all’epoca molte persone che criticarono il disegno. Infatti non era accettabile (e non lo è anche ora) che alla fine del XX secolo si volesse trasmettere, addirittura ad esseri extraumani, un’immagine di donna piuttosto passiva, che non partecipa alla gestualità dell’uomo e al suo significato. Una donna inferiore all’uomo, che è il vero protagonista della scena.

E’ lecito chiedersi: oggi, nel secondo decennio del terzo millennio, per messaggi destinati agli extraterrestri si elaborerebbero simboli diversi in relazione alla donna? Se la risposta è si, il contenuto preciso di essa è però ancora tutto da pensare.

Micaela Merlino

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