Villa San Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino

La redazione de lacitta.eu, ringrazia Micaela per gli articoli professionali e scientifici, offerti ai nostri lettori.

Nel territorio oggi appartenente a Villa S. Giovanni in Tuscia si trovano alcune necropoli etrusche, tra cui quella in località Ponton Graziolo, parte della quale è compresa anche nel territorio comunale di Blera.

Le tombe sono collocate sul costone tufaceo prospiciente il Rio Canale, anche se purtroppo attualmente la maggior parte di esse è inagibile perché sono interrate. In questa stessa località si trova una via Cava etrusca, che collegava con Blera gli antichi insediamenti un tempo esistenti nell’attuale territorio sangiovannese.

Questa città sorgeva su un altipiano tufaceo piuttosto stretto ed allungato, con le pareti scoscese, alla confluenza del Rio Canale con il Fosso Biedano, ed in Età Etrusca e Romana fu piuttosto importante, tanto da essere nominata dagli scrittori Strabone, Plinio il Vecchio e Tolomeo. La via Cava di Ponton Graziolo è intagliata nel tufo per un’altezza massima di circa 6 metri ed è conservata per una lunghezza di circa 150 metri, ma l’originario piano di calpestio non è più visibile a causa del progressivo interro e del distacco di parti delle pareti tufacee. Sicuramente questo diverticolo fu utilizzato anche in Età Romana quale collegamento con la via Clodia, poi nel Medioevo dovette essere usata pure dai pellegrini come una delle tante vie interne di raccordo che permettevano di raggiungere la via Francigena.

La Tagliata di Ponton Graziolo trova numerosi confronti con altre simili strade del limitrofo territorio, come la via Cava delle Cerquete, oggi nel territorio di Barbarano Romano, la via Cava presso la necropoli di Blera e la suggestiva Cava Buia di Norchia, lunga circa m. 400, che metteva in collegamento questa antica città con Tuscania.

Proprio come sulle pareti tufacee di queste strade, anche nella via Cava di Ponton Graziolo vi sono simboli intagliati nel tufo, di incerta interpretazione e di non facile datazione: forse alcuni potrebbero risalire all’Età Etrusco-Romana, mentre altri ad Età Medievale o Moderna, senza però escludere che taluni potrebbero esser stati intagliati in epoche piuttosto recenti.

In particolare sono ancora visibili due croci greche, un Tau, un simbolo a forma di flagello, una sorta di spadone ad elsa ritorta, un quadrupede che potrebbe rappresentare un asino o un cane, e alcune lettere. Alcuni di questi simboli rimandano alla tradizione religiosa: la croce, simbolo cristiano per eccellenza, è rappresentato con una certa frequenza nelle vie cave etrusche, con il chiaro intento di esorcizzare la presenza di demòni, che si credeva infestassero luoghi un tempo utilizzati dai pagani.

Il popolo ha sempre attribuito alla croce un grande potere contro gli attacchi del Maligno, poiché essa è “l’albero” sul quale Cristo è morto per la Redenzione dell’umanità. Ma Cristo ha vinto la morte ed il peccato risuscitando, dunque la croce non è simbolo di sconfitta, ma di vittoria. Il segno del Tau viene chiamato Crux commissa o anche Croce di S. Antonio, e si hanno notizie dell’uso di questo simbolo già nell’Antico Testamento, poiché il Profeta Ezechiele marcava con un segno a forma di T la fronte degli Ebrei (Ez. 9,4). In seguito gli anacoreti del deserto posero sopra i loro bastoni una T, che diventò il simbolo di S. Antonio Abate, e quindi anche degli Antoniani.

Pure S. Francesco usava sottoscrivere utilizzando questo simbolo. Riguardo alla figurazione zoomorfa, nel caso in cui si trattasse di un asino il suo significato simbolico potrebbe essere rintracciato già nell’Antico Testamento (Gen.49, 14-15), nell’episodio in cui Giacobbe paragonò suo figlio Issar ad un asino, per le sue doti di mansuetudine e docilità. Ma il riferimento è soprattutto al racconto del Nuovo Testamento in cui Gesù entrò a Gerusalemme sopra un asino, nobilitando in tal  modo questo umile animale.  

Anche nel caso in cui, invece, la raffigurazione rappresentasse un cane, non mancherebbero rimandi simbolici significativi: già in Età Etrusca questo animale era considerato come il guardiano dei luoghi sacri e dell’ingresso negli Inferi, nonché fu rappresentato anche in ambito funerario. Infatti nelle pitture delle Tombe degli Auguri e delle Olimpiadi nella necropoli dei Monterozzi di Tarquinia è rappresentato un combattimento tra un grosso cane e un personaggio mascherato, chiamato Phersu.

Ma il cane era anche un animale particolare, da sacrificare forse a divinità ctonie durante alcuni riti religiosi. Pure se non ci sono notizie specifiche in merito a tale uso in Etruria, si sa invece che nell’antica Roma durante la festa dei Robigalia (25 Aprile), una cagna era sacrificata al dio Robigus invocato contro la ruggine del grano (malattia del frumento causata da un fungo).

Nella cultura giudaica, invece, il cane talvolta assunse aspetti negativi, come nell’episodio di Noè e dell’Arca: infatti, insieme al corvo trasgredì il divieto di mantenersi casto durante la permanenza nell’Arca, e fu quindi punito da Dio per questo suo peccato. Il simbolo del flagello può essere confrontato con un segno simile che si trova nella via Cava delle Cerquete, nel territorio di Barbarano Romano, ma sfugge il suo significato. Invece lo spadone con elsa ritorta può trovare un confronto con la Croce d’Angiò detta anche Croce di Lorena, una croce a doppia traversa, anche se in quest’ultima il primo braccio è perfettamente orizzontale, mentre nella croce della via Cava di Ponton Graziolo è inclinato verso destra. 

Questa croce potrebbe forse essere riferita ad un personaggio d’Età Medievale, o anche di epoca successiva, che la tracciò sulla parete della tagliata, poiché tale simbolo fu adottato nello stemma dei Duchi d’Angiò a partire da Luigi I (1339-1384),  che dal 1473 con Renato II divennero Duchi di Lorena. Altri simboli generalmente intagliati nel tufo delle vie cave etrusche sono una sorta di triangolo sormontato da una croce, forse alludente al Monte Calvario; croci con bracci di eguale lunghezza, forse simboli utilizzati dagli Etruschi come sigle per indicare agli operai intagliatori in che modo e in che direzione dovevano procedere nel realizzare le vie; svastiche, antichissimi segni solari presenti in molte civiltà, anche extraeuropee. Diffusi sono anche i “falli” di chiaro significato apotropaico, come ad esempio quello intagliato nella via Cava di Fratenuti a Pitigliano, nonché vere e proprie iscrizioni etrusche o romane.

Di notevole interesse i nomi etruschi intagliati nel Cavone di Sovana, ed altre iscrizioni presenti nel Cavone di Castro (Ischia di Castro), insediamento che un tempo ebbe funzione di roccaforte della vicina città etrusca di Vulci. Una formula onomastica latina con tria nomina si trova invece lungo una delle pareti della Cava Buia di Norchia, Caius Clodius Thalpius, nome forse da riferire al costruttore, o al rifacitore, della via Clodia.

Nelle pareti tufacee superiori della via Cava di Ponton Graziolo furono scavate alcune tombe etrusche a camera, una delle quali mostra lungo le due pareti laterali letti funerari intagliati nel tufo, tetto leggermente displuviato e columen centrale. Purtroppo questa via Cava fa parte di quei beni archeologici poco conosciuti, che sembrano destinati ad un lento ma progressivo degrado.

Tra l’altro fino ad alcuni decenni fa una parte di questa Tagliata era utilizzata come discarica da persone che, come spesso succede, da un lato non ne avevano compreso l’importanza storica, dall’altro erano mosse da scarso senso civico. Oggi per ragioni di sicurezza, considerato l’inarrestabile interro ed il pericolo di frane delle pareti tufacee, la via non è più percorribile, anche perché l’accesso è reso molto difficile a causa della lussureggiante vegetazione che quasi la sommerge. Un patrimonio che certamente meriterebbe di essere salvato e valorizzato prima che scompaia del tutto, occultato dalla terra e devastato dalle frane.

Micaela Merlino

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