Villa san Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino

Caro Mauro, leggendo un libro sono venuta a conoscenza del fatto che a Ronciglione nel XVI secolo fu rappresentato il famoso dramma pastorale di G.B. Guarini "Pastor Fido".

Incuriosita ho fatto una ricerca, e il risultato è confluito in questo articolo.

Il “Pastor Fido”: la vittoria dell'amore sul palcoscenico dei Farnese di Ronciglione.

Nel 1526 Ronciglione, Contea aggregata al Ducato di Castro, divenne Signoria della nobile famiglia Farnese, che vi rimase per più di 120 anni, fino al 1649. In quel periodo il paese godette di una prospera economia, grazie alla presenza di numerose manifatture quali la lavorazione del ferro e del rame, le armerie, le cartiere e la lavorazione della ceramica. Nella zona più antica, il Borgo, esisteva anche una piccola ed attiva comunità ebraica, espulsa, però, alla fine del XVI secolo.

In questo stesso periodo i Farnese sollecitarono la trasformazione urbanistica del paese, che era sorto sulle alture meridionali dei Monti Cimini, sopra un ciglione di tufo alla confluenza del Rio Vicano e del Fosso Chianello. Infatti avviarono  lavori di colmate, le quali permisero l'espansione urbanistica su un altro limitrofo sperone tufaceo.

Giovan Battista Guarini

 

Oltre che economicamente, Ronciglione divenne un centro importante dal punto di vista culturale, con la nascita di diverse Accademie quali la Cimina, l'Arcadico Cimina, l'Erculea Cimina e l'Accademia dei Desiderosi. Esse erano ancora attive negli anni '30 del XIX secolo, come ricordò Pietro Castellano nella sua opera “Lo Stato Pontificio ne' suoi rapporti geografici, storico, politici…” (1837): “L'Accademia Cimina-Erculea, ed un'Arcadica Colonia tengono frequenti letterarie riunioni” (p. 255).

I Farnese dimoravano nella Rocca, detta localmente “I Torrioni”, una struttura fatta costruire nel Medioevo dai Prefetti di Vico, poi trasformata tra il 1475 e il 1480 per volontà di Papa Sisto IV, che affidò il progetto all'architetto Giovanni Dolci di Firenze il quale aggiunse il mastio circolare e quattro torri angolari. Merito culturale dei Farnese è di avervi fatto rappresentare nel 1596, tra i vari intrattenimenti che organizzavano, un melodramma “controverso” che aveva già scatenato accese discussioni negli ambienti colti del tempo.

Si tratta del “Pastor Fido” di Giovanni Battista Guarini, andato in scena per la prima volta a Padova nel 1589, e in quello stesso anno 1596 anche a Crema e a Ferrara. Il Guarini, nato nel 1538 a Ferrara da una famiglia di origine veronese, fu scrittore e drammaturgo, e nel 1567 divenne poeta di corte proprio a Ferrara presso il Duca Alfonso II d'Este, insieme a Torquato Tasso.

Ma nel 1583 lasciò la città ritirandosi in una sua villa nel Polesine, e fu proprio lì che iniziò a scrivere una favola pastorale, il “Pastor Fido”, che terminò però a Ferrara nel 1587, essendo ritornato nella sua città natale nel 1585. L'opera è un dramma pastorale in endecasillabi e settenari, in cinque atti, ispirato ad un racconto riportato da Pausania e ambientato in Arcadia, regione dell'antica Grecia. Una fuga nella dimensione mitica e ideale, nostalgico rimpianto di un passato idealizzato dove i protagonisti sono pastori, una dimensione estranea alla realtà presente, e che prende spunto da temi e personaggi della cultura ellenistica.

Il melodramma del Guarini, che già da tempo circolava in manoscritti, fu pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1590, ma scatenò accese contestazioni da parte di alcuni autori e critici, i quali severamente puntavano il dito contro la commistione di due generi letterari, drammatico e comico, ritenuti, secondo il precetto poetico aristotelico, troppo diversi per poter convivere in un'unica opera.

Contro tali veementi attacchi, il Guarini si difese scrivendo a più riprese alcune opere apologetiche, “Il Verato”, “Il Verato secondo” e “Il Compendio della poesia tragicomica”. Presso i Farnese di Ronciglione il “Pastor Fido” ebbe favorevole accoglimento, e se ne decise la stampa nelle tipografie del paese, dove furono anche pubblicate altre opere famose quali l' “Aminta” di Torquato Tasso e la prima edizione italiana della “Secchia rapita” del Tassoni (1642).

Nel corso del tempo l'opera del drammaturgo ferrarese ebbe cento ristampe, e fu in breve tradotta in tutte le lingue letterarie, ed anche in scena conobbe un grandissimo successo. Piaceva al pubblico del tempo l'avvio da tragedia dell'opera, che però si risolve in un inatteso “lieto fine”: una trama complessa, difficile da mettere in scena, che si articola in 7000 versi, più del triplo di quelli dell' “Aminta” del Tasso che ne conta “solo” 2000.

La vicenda ruota attorno ad un imminente matrimonio tra due giovani, che però sono innamorati di altre persone, il rischio di un'unione senza passione, tema caro alla letteratura di tutti i tempi. Ma alla fine “Amor omnia vincit” e fortunatamente i giovani riescono a sposare chi veramente amano. La morale, se morale c'è, può essere questa: il vero amore è quello che resiste indenne a tutte le difficoltà, e gli amanti che soffrono sono quelli che sperimentano poi un amore più vero e duraturo.

“O fortunata coppia, che pianto ha seminato, e riso accoglie! Con quante amare doglie hai raddolciti tu gli affetti tuoi!”, scrisse negli ultimi versi il Guarini. Fa particolarmente impressione constatare quanto amaro dolore in tema di amore sperimentò, invece, nella realtà diversa dalla finzione, il Guarini padre. Il 2 maggio 1598, nello stesso anno in cui il “Pastor Fido” veniva rappresentato a Mantova, la sua figlia Anna, già damigella d'onore di Margherita Gonzaga terza moglie di Alfonso II, fu uccisa nella villa di Zenzalino vicino Ferrara dal marito, il conte Ercole Trotti, che per volontà di Alfonso II era stata costretta a sposare giovanissima nel 1584.

Il Trotti, geloso e furioso a causa della relazione extraconiugale della moglie con il conte Ercole Bevilacqua, volle vendicarsi e per architettare il piano omicida si servì anche del fratello della donna, Girolamo. Entrato nella camera da letto della moglie insieme ad un altro sicario, le sferrò tre colpi di scure, completando l'uccisione con un taglio netto alla gola.

Anna fu sepolta a Ferrara nella chiesa di S. Caterina, e suo padre Giovanni Battista scrisse un'epigrafe in latino per onorare la memoria della sua figlia prediletta. Un episodio da “Arcadia di sangue”, che il Guarini mai avrebbe potuto immaginare: al posto di pastori gentili, un marito arrabbiato pronto a vendicarsi; un fratello infido disposto a tradire; una donna delusa da un'unione indesiderata, che cerca di amare un altro uomo senza costrizioni.

La realtà come palcoscenico di un amore impotente, che non vince nulla.

Micaela Merlino

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