Viterbo LA STORIA DI VITERBO
Mauro Galeotti


Lo Statuto di Viterbo del 1237

La Storia di Viterbo è una rubrica periodica nata da un’idea di Saggini Costruzioni e Mauro Galeotti con l’obiettivo di ricordare e raccontare il patrimonio della città di Viterbo. Ogni quindici giorni vi racconteremo ciò che ha reso la nostra città così bella. Iniziamo dalla base di una convivenza civile, ossia dallo Statuto di Viterbo, quello del 1237.

Statuto di Viterbo del 1237, le curiosità

Lo Statuto è il documento più importante che ci consente di conoscere la vita politica, sociale, economica e di giustizia della città. Possediamo quattro statuti datati 1237, 1251-1252, 1469 e 1649.

Lo Statuto di Viterbo del 1237, purtroppo non è completo, sono giunti a noi solo sette fogli di pergamena, con 158 capitoli, fu ritrovato da Mercurio Antonelli nell'Archivio notarile di Montefiascone.

Lo Statuto teneva in grande considerazione l’efficienza e la manutenzione delle mura della città, erano considerate come la porta di casa, cercando di supplire al finanziamento dei lavori anche con entrate straordinarie, tanto che stabiliva alcune norme che appresso scrivo.

Ad esempio, se il podestà, i consoli o il camerario fossero stati scoperti a ricevere danaro per la stipula di contratti, sarebbero stati puniti con l’ammenda di cinquanta libbre di denari paparini, le quali sarebbero state impiegate per il restauro delle mura.

Era altresì proibito loro introdurre ostaggi in città; qualora lo avessero fatto, sarebbero stati puniti con il pagamento di cento marchi d’argento da utilizzare, anche questa volta, per la riparazione delle mura.

E non è finita. Le rendite che derivavano dai Castelli di Celleni, Florentini, Rione, Acute, Criptarum, Canepinae, dovevano servire per riattare le mura.


Porta san Pietro, nel 1908 circa, con la doppia porta e il Palazzo dell'Abbazia di san Martino

Se i giudici non rispettavano il termine di cinquanta giorni, per emettere le sentenze dal momento della denuncia, erano puniti con una multa di venticinque libbre di denari paparini, da destinare ai lavori per le mura.

Per aumentare la difesa della città, chiunque era autorizzato a scavare nelle carbonare, che consistevano in una trincea, attorno alle mura. Chi avesse impedito ciò era colpito da un’ammenda di sessanta soldi.

In caso di omicidio premeditato, era prevista una ammenda di duecento libbre, che veniva divisa a metà tra il Comune ed i parenti dell’ucciso. 

Questi ultimi però, per avere la loro metà, dovevano riappacificarsi con l’omicida entro un anno. Se ciò non accadeva la somma a loro spettante veniva utilizzata per riparare le mura.

Se sbagliava ad applicare le norme, non la passava liscia neppure il podestà; infatti, se si fosse verificato ciò, gli venivano decurtate cento libbre, dal suo stipendio, da spendere per le mura.

Ciò a riprova dell’importanza che le mura stesse rivestivano in quei tempi, al fine di proteggere i cittadini da eventuali attacchi nemici.

Chi aveva l’obbligo di costruire i barbacani, ossia quegli appezzamenti di terreno esterni alle mura castellane, doveva essere convocato dal podestà o dai consoli, i quali determinavano le aree e le ampiezze su cui dovevano essere edificati.

Ma almeno dieci anni prima dello statuto, nel 1227, riferisce il cronista Niccolò della Tuccia, «furono fatti li barbacani intorno a Viterbo».

I proprietari dei terreni, presso la cinta muraria, erano obbligati a mantenere efficienti i merli ricostruendoli, qualora fossero risultati caduti.

Leggo nella storia di Viterbo manoscritta (1611) di Domenico Bianchi (1537 - dopo 1615):
«Oltre le dette mura [di Viterbo] è anco cinta [la città] di antemurali, sopra li quali sono alcuni giardini, latinamente detti pomerii e dal volgo chiamati Barbacani i quali, secondo le croniche, furono cominciati a fare l’anno 1228».

Proseguiremo assieme a Saggini Costruzioni con lo Statuto di Viterbo del 1251-52.

Mauro Galeotti