Viterbo STORIA
Alessandro Gatti

La Torre di Braimando in Via sant'Antonio
memore di antiche dimore fortificate (anno 1933)

Andavan formandosi, al trepidare dell’anno 1100, le prime forme comunali in tutt’Italia e in tutt’Europa. Cesare Pinzi, cronista e storico viterbese, parla di “un ardore latente di libertà cittadina, un prudore, un bisogno di muoversi, d’agitarsi, di scuoter dal collo il giogo feudale…”.

Il retaggio delle invasioni barbariche precedenti al mille avevano avuto come effetto un meling pot culturale di barbari e popolani che avevano finito col mescolarsi tra di loro. I barbari, dal farsi guerra con gli abitanti di quella che diverrà l’Italia, avevano finito per mischiarsi ad essi; amarsi, accoppiarsi e giungere a condividere lo stesso bisogno d’affrancamento dai signori feudali.

Barbari e popolani giunsero alla condivisione di lingua, costumi e famiglia. Iniziarono a lottare insieme per quei concetti che un giorno, molti secoli dopo, verranno chiamati Nazione e Patria. Con i comuni medievali nascono quei sentimenti ai quali solo il romanticismo ottocentesco saprà dare un nome e legare un ideale.

Per i popolani dell’epoca, che non erano Italiani, non erano Francesi, non erano altro che popoli, l’identità nazionale si abbozzava appena nel modellare le sue sensuali forme nelle realtà comunali. Quivi si facevano avanti le leggi municipali, democratiche e popolane, contrapposte pian pianino alle norme feudali. Cesare Pinzi osserva come bastasse una semplice distrazione o lontananza dei signori feudali per scatenare un tumulto popolare e tale fermento indipendentista era particolarmente forte e acceso nelle piccole realtà cittadine, piuttosto che in quelle grandi.

A Viterbo, a ridosso dell’XI secolo si assistette all’alternarsi di svariati governi, da papalini a ghibellini. Si era passati da un conte, ad un ufficiale del papa, fino alla dominazione dei marchesi di Toscana. Roma vacillava sotto l’incalzante pressione dell’impero e il prosieguo delle invasioni barbariche.

Nel 1080 Viterbo era sotto la guida di Matilde dei Marchesi di Toscana, sposata a Goffredo di Lorena, detto il Gobbo. Era donna di vigore e dalla tempra energica, che avversava il marito per il suo legame al re. Matilde era devota a Papa Gregorio VII e braccio destro del papato nella lotta delle investiture contro Arrigo IV.

Difficile era la situazione di Matilde che si ritrovava le pressioni indipendentiste dei Viterbesi da un lato, e le mire ghibelline ed antipapali dall’altro.

Urge ora una digressione in merito a quella che era la situazione d’allora, che vedeva un Papato ufficiale minacciato dall’Impero, il quale nella persona di Arrigo IV aveva il suo esponente leader, e la figura di un antipapa da quest’ultimo avanzato.

In un sinodo vescovile Papa Gregorio VII tolse numerosi privilegi al clero, quali ad esempio il diritto al concubinato e alla compravendita delle cariche ecclesiastiche (simonia). La riforma non piacque tanto a molti clericali e fu così che alcuni di essi si ribellarono al Papa. Tra questi figurava Guiberto Giberti che venne scomunicato dal Papa per essersi rifiutato di partecipare ad uno di quei sinodi volti alla riforma del clero.

Ovviamente l’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV (Arrigo IV) colse la galeotta occasione per contrapporsi al potere del papato, appoggiando la causa di quella parte di clero indignata per le volontà di Gregorio VII.

L’Imperatore riuniva così, nel 1076 presso Worms, un suo sinodo di vescovi, ribelli alla Chiesa di Roma, per deporre Gregorio. Nel 1080 con il Concilio di Bressanone vennero realizzate le minacce sancite a Worms e venne eletto dall’Impero Guiberto Guiberti come antipapa con il nome di Clemente III.

Enrico IV sarà nuovamente scomunicato e tenterà in ogni modo di muover guerra a Gregorio VII.

Numerose vicende stavano interessando, a quel tempo, la storia europea in merito a quelli che erano i rapporti tra Impero e Chiesa. Non da ultimo il famoso episodio passato alla storia come l’umiliazione di Canossa che seguirà come conseguenza al fatidico concordato di Worms del 1076.

Presso il castello di Matilde di Canossa, la stessa reggente di Viterbo, a Reggio Emilia, nel Gennaio del 1077, Enrico IV si era inginocchiato per tre giorni sotto la neve in attesa di essere ricevuto da Papa Gregorio all’interno del castello. Obiettivo di quel supplizio era farsi revocare la scomunica che il legittimo papa aveva lui inflitto.

Tale umiliazione fu dovuta al fatto che, come suole dirsi dalle nostre parti, il reggente del Sacro romano impero apparve aver “fatto i suoi conti senza l’oste”. Enrico sottovalutò l’autorità papale presso i nobili tedeschi e sottovalutò anche quei poteri che la sacralità dell’istituzione ecclesiastica conferiva al pontefice.

Trattandosi di un Sacro romano impero, la legittimità del ruolo di Enrico proveniva dalla sacralità regale conferitagli dal papa stesso. Quest’ultimo minacciò l’imperatore di fargli perdere la corona e scomunicarlo in seguito ad una diatriba per il conferimento della diocesi del ducato di Milano. Semplicemente Enrico aveva designato un certo chierico Tedaldo, come reggente dell’arcidiocesi di Milano, osteggiato dal papa poiché scomunicato.

Quando nel 1076 Enrico convocherà il concilio di Worms deponendo papa Gregorio VII, quest’ultimo lo scomunicherà e metterà i suoi sudditi nella condizione di non dovere più obbedienza ad Enrico, poiché quello si ritrovava ad essere un imperatore del Sacro romano impero scomunicato e, di fatto, non più legittimo. Per di più Enrico si ritrovò inimicati tutti i cattolicissimi principi tedeschi, i quali imposero lui una repentina riconciliazione con il papa.

Dopo una serie di vicissitudini la lotta per le investiture proseguirà fino al 1080 quando sarà eletto da Enrico l’antipapa Guiberto da Ravenna con il nome di Clemente III.

L’aspetto interessante per la nostra città è che i Viterbesi sapranno approfittare delle controversie tra papato ed impero, evento di rilevanza storica per l’Europa intera, per ricavarsi i loro spazi nell’ambito dei diritti civili e comunali. I Viterbesi riuscirono ad approfittarsi, come del resto anche altre realtà della Penisola italiana, della distrazione provocata dalla lotta per le investiture.

Principi, chierici e regnanti vennero assorbiti, e con essi l’intera azione politica, dalle controversie religiose. I vuoti di potere, se pur sporadici e temporanei, lasciavano i popolani in balia di se stessi e questi, più per necessità che per spirito patriottico e libertario, iniziavano ad elaborare dei sistemi alternativi per darsi un ordine ed un indirizzo. Nacquero i primi governi municipali italiani e Viterbo ebbe un ruolo di protagonista, approfittando meglio di altri, dell’assenza di Matilde di Canossa impegnata in primissima persona nella vicenda della lotta per le investiture.

Ecco dunque che, come afferma il Pinzi, “pullularono in tal guisa una serie di repubblichette italiane”, con propri consoli, propri statuti, in assoluta indipendenza. Da qui inizieranno a formarsi quei sentimenti nazionali che solo in epoca moderna potranno avere coscienza di se stessi e solo in epoca contemporanea potranno dar vita a vere e proprie ideologie nazionali; cariche di trepidante e lirico patriottismo.

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