Viterbo STORIA
Alessandro Gatti

 

Roccalvecce il Palazzo Costaguti nel 1910

Circa l’appellativo di Roccalvecce occorre fare delle precisazioni, che non potranno non essere il frutto di un’accurata indagine storica e bibliografica.

Incredibile è ravvisare come la storia, ancora una volta, possa conferire una mappa interattiva per comprendere e capire le motivazioni che risiedono dietro alla nascita di un nome.

Sicuramente l’attuale Roccalvecce fu un tempo un presidio militare per il Patrimonio di San Pietro ed il suo castello, oggi appartenente alla famiglia Costaguti, e presentante una facciata rinascimentale, è stato in realtà parte di una roccaforte medievale. Si narra, come da fonti riportate in calce all’articolo, che all’interno del castello avesse trovato la morte Rinaldo del Veccio, un condottiero assassinato proprio nel 1199 durante la storica guerra tra Romani e Viterbesi.

In merito agli intrighi politici e ai numerosi cavilli diplomatici e militari che stettero dietro a quella guerra, converrà disquisirne appositamente e con la dovuta accuratezza analitica in un altro momento. Quanto al ruolo che Roccalvecce ebbe nel Basso Medioevo, e che mantenne fino a tutto il XVII secolo, va menzionato l’essere stato un presidio militare per la difesa del Patrimonio di San Pietro, che con tanta fatica e dedizione, già dal 1198, Papa Innocenzo III si adoprò per restaurare.

Il Patrimonium Petri, Innocenzo III lo dividerà in 5 province: Marca Anconitana, Ducato di Spoleto, Provincia Romandiolae, Patrimonio di San Pietro, Campagna e Marittima. Questi possedimenti della chiesa risalivano al 313, con l’editto di Costantino, si ampliarono in seguito alle donazioni dei fedeli, ma vennero meno attorno all’VIII secolo dopo Cristo a causa di incursioni longobarde ed arabe.

In seguito al progetto ambizioso di Papa Innocenzo, tra 1198 e 1216, i Patrimonia vennero ristabiliti e Roccalvecce divenne un baluardo difensivo simbolo, come altri ve ne furono, di questo sacro e solenne ripristino del potere della Chiesa. Difficile stabilire se il “Veccio” fosse un feudatario del castello o una guardia al servizio della Chiesa, sta di fatto che è documentato, anche dal “Centro studi europeo della Tuscia”, che nel 1199 un tale, di nome Rinaldo Del Vecchio, morì durante il conflitto tra Romani e Viterbesi.

Altra ipotesi, sicuramente attendibile, è che Roccalvecce derivi il proprio nome da una pianta rampicante, una leguminosa, o papilionacea; la Veccia. Indipendentemente dall’origine del suo nome, Roccalvecce fu una roccaforte Helvetica per tutto il 1300, presidiata dalle guardie svizzere, che ne hanno condotto le sorti prima che la storia rinascimentale si imponesse sul destino della cittadina e del suo castello.

Nel pieno del Basso Medioevo, tra il 1307 ed il 1377, si consumava quella che per il Petrarca, e poi per la storia d’Europa, è stata la Cattività Avignonese. Dopo che Papa Bonifacio VIII, perseguendo una politica di aggressiva riaffermazione del potere e dei privilegi dello Stato Pontificio, si inimicò il Re di Francia Filippo il Bello, per quei pontefici che susseguirono, in particolare per Clemente V, l’obiettivo strategico della loro politica fu quello di evitare che l’inimicizia con il Re di Francia potesse avere delle conseguenze catastrofiche per la legittimità e la credibilità della Chiesa di Roma.

Ecco dunque che la storia dei rapporti tra Stato e Chiesa, nella quale Roccalvecce si trovò coinvolta in prima linea, prese via via una piega sempre diversa, sempre più orientata a recuperare i rapporti con il regno piuttosto che riaffermare la propria supremazia temporale. L’influenza di Filippo il Bello fu tale da surclassare il bisogno di egemonia della Chiesa, con una paura quasi reverenziale, che spingerà i papi, come Clemente V, a giocare d’astuzia per non scatenare le ire del Re.

Filippo il Bello godeva, indirettamente, dell’appoggio dei più influenti patrizi Romani, cui erano legati anche molti nobili Viterbesi e cui, Papa Bonifacio VIII, aveva invaso lo spazio vitale con la sua politica improntata sulla tracotanza ed il bisogno di egemonia ad ogni costo.

Filippo il Bello minacciava di indire una crociata post mortem ai danni di Bonifacio VIII, la quale avrebbe infangato il prestigio della Chiesa tramando, tra le altre cose, di riunire il concilio dei chierici francesi e scindere la Chiesa di Francia da quella di Roma.

In questo contesto serviva una personalità accomodante e venne rinvenuta in Clemente V, il quale preferì spostare la sede papale ad Avignone per recuperare i rapporti diplomatici con Filippo il Bello che, oltre tutto, approfittò della situazione per chiedere ed ottenere la distruzione dell’Ordine dei Templari con cui si era cospicuamente indebitato.

La Roccalvecce del Basso Medioevo assistette, come altri comuni della Tuscia, ad un forzoso processo di secolarizzazione, che coinvolgeva interessi ghibellini e guelfi secondo subdole logiche di equilibri politici. Spesso capitava di vedere papi che intentavano d’ingraziarsi il favore di Patrizi influenti, e quest’ultimi, anche quando ghibellini ed apertamente anti papato, si adopravano in segreto per condizionare le scelte cardinalizie e influenzare le elezioni papali.

Già dal 1254 Roccalvecce si era arresa a Viterbo e fino al 1400 fu parte del Patrimonio di San Pietro, passando di mano in mano tra le più influenti famiglie patrizie locali: Dai Gatti, ai Monaldeschi, ai Baglioni.

Bibliografia:

Appendice Bibliografica:

  • Feliciano Bussi: Istoria della città di Viterbo
  • Nicola Della Tuccia: Cronache di Viterbo e di altre città.
  • Filippo Gualterio, Cronaca degli avvenimenti d’Orvieto dal 1333 al 1400 del Conte Francesco Montemarte, pag 13 e seg.
  • Giuseppe Pardi, La signoria di Ermanno Monaldeschi, rivista di studi e documenti di storia e diritto, fascicolo 1 e 2 1895

 Alessandro Gatti

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