Viterbo STORIA “Sicché cara costogli al di Vico la pigliata dei Viterbesi” (Cronista Viterbese Nicola della Tuccia, Cronache di Viterbo e di altre città)
Alessandro Gatti

LEGGI LA PRIMA PARTE Viterbo spettatore pagante dei contrasti quattrocenteschi tra famiglie patrizie romane e papato. (I parte)

Stemma dei di Vico: d'azzurro all'aquila d'argento, rostrata, membrata e armata d'oro, accompagnata da sette bisanti d'ori, due in capo, due a fianco al collo, due a fianco alla coda, una in punta.

La disgrazia del Prefetto romano Giacomo era iniziata da quel fatidico 1431, quando troppo aveva riposto, in termini di speranze e fiducia, nella sua alleanza coi Colonna. Il motivo per cui dovremmo ora interessarci di un medievale disgraziato che fece, come molti al suo tempo, una brutta fine, è da ricercarsi nella Chiesa di Santa Maria in Gradi ( S.M. di Gradi come la cita l’illustre cronista Cesare Pinzi).

Quando il di Vico diede battaglia ai Viterbesi, rapendone 128, ed aiutando i Colonnesi a riappropriarsi dei loro capi di bestiame, non fece i conti con il potere degli interessi politici che, sovente nella storia, hanno reso le alleanze più infingarde che favorevoli.

Papa Eugenio IV, all’insaputa del Prefetto di Vico concluse una tregua con i Colonna, che gli restituirono Nepi, Soriano, Orte, Mugnano e Chia, assieme ad alcune terre in Umbria e Romagna. Fu così che il di Vico si ritrovava ad aver oltraggiato i Viterbesi, il Papa e a non avere più l’appoggio dei Colonna che si erano riappacificati con la Chiesa di Roma.

Adesso il Pontefice aveva lanciato all’inseguimento del Barone e Prefetto romano Niccolò della Stella; noto come il Fortebraccio.

Fortebraccio puntò dritto su Vetralla e venne presto raggiunto dal prelato, nonché nobile condottiero, Giovanni Vitelleschi da Corneto, vescovo di Recanati. Come se non bastasse anche alcuni nobili locali, come il Conte Everso di Anguillara, videro uno spiraglio di opportunità nel dare appoggio alla causa guelfa e sopraggiunsero numerosi a stringere in una morsa il povero quanto sprovveduto Giacomo di Vico.

Abbandonata Vetralla al suo destino, quest’ultimo si rifugiava presso Civitavecchia che sarà presso cinta d’assedio dalle truppe inferocite del Vitelleschi. Questi era uomo dall’ardimento fiero e battagliero, chierico fedele alla causa della Chiesa, sembrò in vita più tendente alla carriera militare che non a quella ecclesiastica e sia Papa Martino che Eugenio IV seppero volgere a loro favore questo suo carattere.

Va ricordato che per quanto concerne le vicende che contrapposero il Papa ai baroni romani, il Vitelleschi giocò un ruolo cruciale nel difendere il Patrimonio di San Pietro ed ora non sembrava volersi tirare indietro nel portare a termine il lavoro lasciato in sospeso con l’ultimo della stirpe dei di Vico.

Una volta che il Prefetto prese atto che anche per Civitavecchia non v’era null’altro da fare riparò a Siena dove cercò intesa coi Senesi.

A questo punto la Fortuna, “ministra suprema di Dio” nei versi dell’Alighieri, ed “elemento imponderabile in grado di sovvertire o amplificare le leggi del buon comando”, nelle parole di Carl Von Clausewitz, nel suo capolavoro ottocentesco “Della Guerra”, sembrò decidere di volgere a favore del di Vico.

Proprio in quel tumulto di contrasti i Senesi si trovarono alleati con il Duca di Milano, quindi in guerra con Firenze e Venezia, alleate del Papa. Videro dunque nel di Vico un’opportunità per dar fastidio al Pontefice. Riarmarono il Prefetto e lo dotarono d’una schiera di soldati affinché si prodigasse a cavalcar l’onta subita.

La strategia dei Senesi stava funzionando; allorché si seppe, che il di Vico marciava con oltre 400 fanti, tutti i presidi papali sui confini toscani vennero ritirati per ripiegare a difesa del patrimonio di San Pietro. Il tentativo difensivo fu vano poiché Giacomo di Vico recuperò a poco a poco tutti i suoi possedimenti. Tuttavia al destino avverso Giacomo di Vico non poté proprio sottrarsi, e la veemenza del Fortebraccio fu di così incalzante ferocia da piegare nuovamente Vetralla e fomentare i Viterbesi alla distruzione di Vallerano.

Tutto sarebbe andato a meraviglia, per il di Vico, se non fosse che l’influenza della Chiesa di Roma, nel riecheggiare altisonante della storia, desta sempre il suo fascino ammaliante. Quello che il prefetto avrebbe potuto fare, e che non fece, riguardò il cogliere un’occasione di alleanza con il Fortebraccio. Quest’ultimo, attorno al 1433, entrò, infatti, in dissidio aperto con Eugenio IV perché egli negò lui il pagamento promessogli. Fortebraccio infuriato trattenne i castelli che aveva conquistato con le rispettive terre e offrì un vantaggio al Duca di Milano. Quest’ultimo vedendo le difficoltà del Patrimonio di San Pietro, mandava subito il Conte e condottiero Francesco Sforza.

Cercare l’alleanza con gli Sforza e i suoi alleati avrebbe garantito la salvezza, qualora fosse stato da loro accolto, a Giacomo di Vico. Invece il Prefetto, in preda al più totale panico, non si rese conto per tempo di dover fare il fatidico passo che gli avrebbe quasi sicuramente reso salva la vita. Quando s’accorse dell’opportunità questa era ormai svanita, poiché Sforza ed i suoi alleati erano lontani. Lo sventurato Prefetto ricercò il perdono dei Viterbesi da lui traditi, allo scopo di un’intercessione col Papa, ma, senza indugio, gli negarono il loro appoggio.

Nel frattempo, siamo attorno al 1434, il Papa chiese ed ottenne un’intesa con Sforza che cedette e venne messo a difesa di Viterbo. Intanto il Patriarca Vitelleschi stava risolvendo i tumulti di Roma e si apprestava a riconquistare i domini della Chiesa. Adesso andava mettendosi male anche per il Fortebraccio la cui sorte, vedendolo isolato contro il papato, non gli serberà la vita.

Ultima faccenda da sistemare, per il Patriarca Vitelleschi, atteneva la questione con il di Vico. Quest’ultimo, ormai spacciato, si consegnò al suo nemico che, senza pietà alcuna, lo decapitò il 28 Settembre 1435 sulla piazza di Soriano. Venne rispettata dai Viterbesi la volontà del Prefetto di esser seppellito a Santa Maria in Gradi a Viterbo assieme alla sua famiglia. Nello stesso anno il Fortebraccio cadeva durante una battaglia contro le truppe papaline a Serravalle o Colfiorito (Fonti non certe).

Bibliografia (Parte I e II)

L’attendibilità della pagina Wikipedia è stata accertata da una sommaria rassegna delle fonti in essa riportate:

 

   Carlo Borgese, Delle Famiglie siciliane nobili e illustri vissute in Polizzi tra il XII e il XIX secolo,  

   Coppi Antonio, Memorie colonnesi, Roma 1855.

   Vittorio Farneti, Terranova Pausania e i segni che sfuggono, Delfino, Sassari 2005.

   Anthony Majanlahti, Guida completa alle grandi famiglie di Roma, Milano, 2005.

   Filadelfo Mugnos, Historia della augustissima famiglia Colonna, Venezia, 1658.

   Filadelfo Mugnos, I Ragguagli Historici del Vespro Siciliano, Palermo, 1645.

   Mario Tosi, La società romana dalla feudalità al patriziato, Ed. di Storia e Letteratura, 1968.

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

chi è on line

Abbiamo 754 visitatori online

 

 I libri

di Mauro Galeotti

 

Cartonato - pag. 246 - euro 25,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it

Cartonato - pag. 808, a colori
da euro 120,00 a euro 80,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it