Viterbo STORIA e FOTOGRAFIA Uno scatto magico di colori di Leonardo Persi
Mauro Galeotti e Leonardo Persi

Leonardo Persi Photography

La Fontana del Giardino dei Priori a Viterbo in uno scatto di Leonardo Persi, per fare luce alla fontana leggi la sua storia, perché Viterbo entri in te.
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 Fontana del cortile del Palazzo dei priori
di Mauro Galeotti dal libro "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002

A maestro Andrea della Riccia, muratore, si fecero eseguire i lavori per le condutture d’acqua alla Fonte del cortile del Palazzo dei priori. Infatti, il 19 Marzo 1624, il Consiglio comunale decise di far allacciare i condotti dalla vicina Fontana Grande, ossia da «dentro la pila grande dell’istessa fonte vicino alla colonna e seguitarli continuamente fin dentro il chiostro del palazzo della communità» percorrendo l’odierna Via Cavour.

Dopo due mesi il lavoro di mastro Andrea era quasi giunto al termine e si iniziò a studiare il modello della fonte. Il 19 Maggio dello stesso anno si decise «che si cresca et si allunghi il chiostro del palazzo fino alle concie del Zazzera e nel fine del medesimo chiostro si faccia la fonte in prospettiva secondo il disegno visto et approvato che sta in cancelleria», disegno eseguito dal pittore viterbese Filippo Caparozzi (1588 ? - 1644).

L’8 Giugno 1624 il Consiglio comunale ordinò, per cento scudi, agli scalpellini viterbesi Antonio Pieruzzi, Agostino Prosperi, Leonetto Carrarini e Antonio Conti, l’esecuzione della fonte da erigersi, come detto, nel limite estremo del cortile. La fontana doveva avere le seguenti dimensioni «di palmi 36 in tutto d’altezza, oltre il frontespizio, e di palmi 46 di larghezza».

Ben trecento scudi furono spesi il 20 Maggio 1625 per consolidare il cortile e per fare alcune migliorie circa la perfezione della fonte. Il 24 Giugno del medesimo anno si ebbe a dire, «Si tira avanti la fabbrica della fonte del chiostro di questo palazzo, ma perché ogni giorno l’acqua che al presente viene, si vede mancare affatto con dubbio che» ciò derivi dal «lavatoio della fonte grande».

A quel problema si pose rimedio demolendo il lavatoio stesso.
Così, di lì a qualche mese, la fonte iniziò ad esplicare le sue funzioni poi, il 30 Aprile 1628, si propose al Consiglio comunale che si costruisse un fontanile nella vicina Valle di Faul, poiché il ricasco della fonte andava perduto nel Torrente Urcionio, senza alcun profitto. Il fontanile poteva servire quale abbeveratoio per gli animali e per far lavare più comodamente gli indumenti alle donne. La proposta fu accolta e ben presto messa in opera.

Mastro Andrea della Riccia il 28 Giugno 1640 riscuoteva il compenso per «i lavori fatti per accomodamento delle scale e colonnette e cordoni murati della fonte del chiostro del Palazzo».

Il 12 Maggio 1801 lo scalpellino Paolo Coati ricevette il compenso di cinquanta scudi per aver rifatto «un pezzo di scalino alla Fontana del Palazzo lungo palmi 6: largo palmi 2 con cordone, ed intacca».

In una relazione dell’architetto Francesco Lucchi del 1836 lo stesso dichiara:
«Il ricasco di questa fontana anticamente andava al fontanile di Faule. Per il guasto della Condottura di questo ora passando per l’antica pescheria sotto il Palazzo Comunitativo, e dal Macelletto della salute [piccolo macello presso la Chiesa di santa Maria della Salute] per chiavica immette ad un orticino del Sig. Tommaso Giusti».

Vincenzo Zei nel 1858 vi eseguì alcuni lavori rifacendo il telaio e il chiusino di peperino sopra il pozzetto.
Tre file di gradini sono intorno alla vasca grande di forma mistilinea del tutto simile a quella della fonte di Piazza delle Erbe, qui però si presenta in pianta ovoidale. Unico esempio in città, la fontana è circondata da un profondo incasso utilizzato per raccogliere le acque di ricasco.

La vasca ha scolpito sul parapetto lo stemma del genovese Girolamo Grimaldi che fu vice legato e poi governatore di Viterbo dal 1625 al 1628.

Lo stemma è troncato nel 1° all’aquila spiegata posta sulla partizione, la testa rivolta verso destra e nel 2° fusato, è ridotto in cattivo stato di conservazione.

Quattro delfini, dai grandi occhi, sostengono con la coda la prima coppa di forma ovale, la quale lascia uscire l’acqua dalla bocca di quattro leoni. Sopra, sostenuta da un balaustro sagomato e decorato a squamette, è l’ultima coppa più piccola della precedente. Anche essa è di forma ovale e lascia cadere l’acqua grazie a delle fessure eseguite sul bordo della coppa stessa, creando un effetto pioggia assai suggestivo.

In alto, a chiusura della fonte, è un gruppo bronzeo allegorico dello stemma cittadino, ossia la palma ferentana affiancata da due leoncelli poggiati con le zampe anteriori sul tronco della pianta tropicale e col muso, rivolto verso il Palazzo dei priori.

Questi furono rifatti alla fine del secolo XIX dallo scultore viterbese Carlo Jelmoni (1867 - 1933). Leggo sul giornale L’Avvenire del 6 Novembre 1886 che la fontana:
«era una delle più belle di Viterbo, perchè cinque o sei anni or sono il vento gettò a terra i due leoncini che sostenevano l’albero simbolico di Viterbo, deturpandola enormemente. 
Ed il nostro Municipio fino ad ora non ha pensato ad ordinare due nuovi leoncini; perchè?».
Forse dovranno venire dall’Africa, ironizzava un giornalista!

L’acqua fuoriesce dalla punta della palma e cade a pioggia nella coppa piccola che, a sua volta, la fa uscire traboccando sulla coppa inferiore, poi passa nella grande vasca, grazie a quattro bocchettoni che hanno la forma a testa di leone.

La fonte ha alle spalle un quadro luminoso dipinto ogni giorno da un inimitabile pittore, Iddio. Fanno sfondo a partire da sinistra, Porta Faul, la Torre dei monaci di Sassovivo, la Chiesa di santa Maria della Ginestra, la Torre di Porta Bove e la Chiesa della ss. Trinità.

Per cornice sta una balustra recante motivi a squamette ricordati già sulla fonte, inoltre è l’immancabile motto F.A.V.L., scolpito su mezza sfera, e due fontane inserite in altrettante nicchie con coppa ellittica poggiante su di un piedistallo a forma di lira, riccamente decorato.

L’acqua è messa in libertà da un cannello inserito nella bocca di un leone, il tutto è coperto da una doppia conchiglia a volta recante, all’estremo dell’arco, un’altra testa leonina e, per finire, sulla sommità un vaso dà vita ad una pianta.

di Mauro Galeotti dal libro "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002

 

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