Viterbo STORIA Il chiostro è in stile ogivale, sorretto da ben centosessanta colonnine binate di marmo bianco
Mauro Galeotti (dal libro "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002)



I carcerati eseguono lavori di ripristino del chiostro del Convento di santa Maria in Gradi
iniziato verso il 1256, ne furono architetti Nicola Pisano e il figlio Giovanni

(foto F.lli Sorrini - Viterbo)

Primo chiostro duecentesco

Del primo chiostro si ha notizia in una dispersa epigrafe latina sormontata dall’aquila scaccata, stemma dei conti di Segni, di cui faceva parte papa Alessandro IV, e che Scriattoli crede trascritta da altra anticamente ivi esistente, vicino alla porta battilora del chiostro:
«Claustrum hoc quod cernis ad Dominicanae / religionis commodum et decorem Alexander / papa IV qui et ecclesiam consecravit, aedificari iussit, circa annum Domini MCCLVI».

Tradotta: Questo chiostro che tu vedi, fu fatto edificare verso l’anno 1256 per comodo e in onore della religione Domenicana da papa Alessandro IV il quale consacrò anche la chiesa, due anni dopo.

Quindi nessun dubbio sull’ideatore e il promotore della costruzione del chiostro, tanto è esplicito in questa lapide, posta presso la porta d’ingresso del predetto.

Il chiostro è in stile ogivale, sorretto da ben centosessanta colonnine binate di marmo bianco. E’ composto da archetti ogivali nei quali emerge lo stemma di Viterbo con il leone e la palma, sopra agli archetti vi sono i rosoni dalle forme più svariate ed eleganti. I gocciolatoi per l’acqua piovana dei tetti, sono formati da eleganti teste di animali, ognuna differente dall’altra.

Se Alessandro IV ne fu il finanziatore, architetti furono Nicola Pisano e il figlio Giovanni che, grazie alla loro abilità scultorea e a quella di alcuni maestri della pietra locale, sono riusciti a creare qualcosa di leggero, fine e soave.

Purtroppo, anche per questa costruzione, i lavori andarono per le lunghe, sebbene papa Clemente IV, quando aveva la sua dimora nel Palazzo papale in Viterbo, non negasse il suo aiuto finanziario tanto che, nel 1289, furono vendute delle botteghe appartenenti al patrimonio di Gradi, per saldare alcuni debiti con gli scalpellini. Ad ogni modo è sicuro che il chiostro risultasse terminato in tutti i suoi particolari nel 1290. Quindi sin da quel tempo il claustrum fu per i Padri Domenicani il luogo ove potevano incontrarsi per parlare, contemplare, discutere e passeggiare.

Passarono gli anni e poiché il tempo deteriora tutte le cose, anche il chiostro di Gradi stava andando in rovina, quando finalmente, nel 1436, i frati ritennero opportuno restaurarlo vendendo alcuni stabili facenti parte dei loro beni. 

Così è ricordato quel restauro «pro-reactando et reparando voltas sitas super claustrum jam aptari incoeptas ne deficiant seu ultima ruina destituantur».

Tre anni dopo, per terminare quei restauri che, per la scarsezza dei fondi, pareva non avessero mai fine, si rese necessario che uno dei frati, certo Antonio di Michele da Viterbo, impegnasse la somma ricavata dalla vendita di una sua casa.

L’Arte degli Speziali vi fece altre riparazioni, come il restauro del colonnato e del tetto nel 1447, in esecuzione di un legato di Battista Bonelli, il quale lasciò per tale fine settantacinque fiorini. Altre interventi di manutenzione sono del 1462.

Dopo questo felice periodo, il chiostro aveva ripreso quel lustro che sempre lo distinse e lo distinguerà da tutti gli altri chiostri viterbesi, tanto che nel 1487 fu preso a modello per la costruzione dell’altro situato nella Chiesa di santa Maria della Quercia. Furono copiati il concetto architettonico, le colonnine binate, le membrature, i capitelli e i trafori.

Altri restauri furono compiuti nel 1501, grazie ad Alessandro VI il quale autorizzava, in data 25 febbraio, i frati alla vendita di alcuni beni per tale scopo, così pure nel 1509 fu venduta una vigna a Celleno effettuando col ricavato la ricopertura della volta con pietra lavorata e la riparazione di undici pilastri e dieci colonnine. La spesa fu di quarantatre ducati.

E’ da ammirare lo spirito amorevole dei Padri Domenicani verso la loro chiesa, i quali vendevano i beni del loro patrimonio per mantenere alto il valore artistico del loro chiostro. 

Non sempre, però, le cose furono rosee e per negligenza e per trascuratezza furono compiute vere e proprie azioni deplorevoli, come quella che rinnovandosi il lastricato di tale chiostro vi si impiegarono pietre tombali dei secoli XIII XIV e XV, rimosse dal pavimento della chiesa (1546 - 1566). Una di queste è ancora vicino al pozzo, ha uno stemma col leone rampante.

Nel chiostro, durante la buona stagione, vi si teneva il Capitolo.

Dopo il passaggio di proprietà allo Stato italiano, il chiostro fu adibito a «mangiatoia pei cavalli della truppa», come luogo ove asciugare i panni della tintoria e come legnaia. Era talmente mal ridotto che nel 1891 fu necessario rimpiazzare le colonnine mancanti e restaurare quelle rovinate. I lavori furono portati a termine nel 1904 grazie anche alla collaborazione di carcerati, esperti scalpellini.

Interesse destano le pitture del chiostro che si trovano in forma di lunetta sulle pareti, raffiguranti storie dell’Ordine Domenicano e di san Domenico. 

In una lunetta, infatti, è raffigurata la consegna della Regola a san Domenico da parte di papa Onorio III in data 22 Dicembre 1216.
Sulla sommità delle lunette sono raffigurati stemmi gentilizi con i nomi, forse, dei committenti, in uno è: Henricus Rocchius ff.

Un pittore che vi prestò la propria opera verso il 1620 fu il viterbese Giovan Giacomo Cordelli (1584 - 1622), il resto fu integrato nel 1649, sotto il priorato di fra’ Felice Rocchi, dai frati Domenicani esperti del pennello.

Nella sesta lunetta della corsia meridionale è un portale murato con la scritta incisa sull’architrave aromataria, farmacia.

Al centro del chiostro si innalza una cisterna. Ne esisteva già una nel 1258 in quanto l’8 Luglio di quell’anno trovo la notizia circa l’acquisto di acqua da rifornire al convento.

La cisterna attuale è di foggia rinascimentale, Giacinto Nobili così la descrive quando tratta del chiostro «nel cui mezzo è una cisterna cavata bona parte in pietra, incominciata l’anno 1549 et compita l’anno 1557, il cui lastrico è di pietre de’ sepolchri», porta scolpito il motto Bibe aquam de cisterna tua / 1557.


Chiostro con la trabeazione ottagonale

Il complesso conventuale ha un altro chiostro caratterizzato da una trabeazione ottagonale.

Il chiostro del 1480 in una foto del 1910 circa (Archivio Mauro Galeotti)

Il precedente risulta essere stato edificato nell’anno 1306; altri storici lo fanno risalire al 1298, altri ancora al 1295, posto presso la Cappella della conversione di san Paolo, ad opera di fra’ Consiglio Gatti. Era in stile gotico con motivi moreschi e risulta opera dei maestri della pietra di Lombardia, successivamente fu demolito per cause non precisate.

Frate Domenico di Antonio Valentini, domenicano viterbese, nel 1480 a sue spese, costruì il nuovo chiostro, che poi è quello giunto sino a noi composto, come ho già scritto, da una trabeazione ottagonale sorretta ovviamente da otto slanciate colonne, nei capitelli delle quali si notano molte forme speciali della scuola del Laurana.

Possente gira all’intorno il grande portico, di sapore neo-classico, formato da cinque e sei arcate che però è molto più tardo, infatti, risale all’anno 1740.

Sempre frate Domenico di Antonio Valentini, nel 1480, fece costruire al centro della trabeazione ottagonale, una fontana in peperino, pietra locale, alimentata con acqua proveniente dalla sorgente della Mazzetta.

Sul cornicione della trabeazione ottagonale, unico esempio a Viterbo, è scritto:
† Deo Mariaeque Matri eius pient-/ issime Divoque Dominic-/ o frater Dominicus Ant-/ onii Valentini Viterbiens-/ is eius Ordinis proeexor / hunc fontem amphitea-/ trumque erigendum dux-/ it M. CCCC. LXXX.

Tradotta: A Dio, alla piissima Madre di Lui ed a san Domenico; frate Domenico di Antonio Valentini, viterbese, professore dell’Ordine Domenicano, diede inizio alla costruzione di questa fontana e dell’anfiteatro nel 1480.

Nella seconda metà del Seicento, più esattamente nel 1671 e nel 1684, Francesco Cristofori riferisce che il chiostro venne ristrutturato in stile bramantesco.
Erano gli anni dei priorati di frate Giacomo Iannuti e frate Vincenzo Poli. 

Tutto il complesso fu restaurato nelle parti andate in rovina, ma sembra che in questo periodo, furono smontati numerosi conci medievali del chiostro, che furono rimontati per formare i pilastri di ingresso del portale, che conduce alla Villa Rossi Danielli, posto lungo la Strada Sammartinese al n° 10.

Era questo l’accesso ad un fondo della famiglia Rossi Danielli, già di proprietà del Convento di Gradi. Nel 1700 il chiostro fu sopraelevato di un piano.

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