Viterbo STORIA Due personalità dall’elevato spessore politico e dal moderno approccio diplomatico
Alessandro Gatti

 

Federico II di Svevia

Quando il sovrano indiscusso del Sacro Romano Impero Germanico, nel 1252, passava a miglior vita, il vuoto di potere che lasciava offriva un’occasione unica alla Chiesa di Roma per poter rientrare nel possesso della sua influenza politico territoriale.

Alla morte di Federico II di Svevia, tra i suoi numerosi discendenti, Corrado IV figlio di Iolanda di Gerusalemme, pareva essere quello predestinato a succedere il padre nel controllo totale dei suoi possedimenti, dal momento che già dal 1237 era stato creato Re di Germania.

In questo contesto di dialettica alternanza tra Teocrazia e Cesarismo, la città di Viterbo giocava un ruolo cruciale. In quanto crocevia strategico particolarmente appetibile per le logiche del controllo logistico, care tanto all’Impero quanto alla Chiesa, Viterbo era stata più volte attratta nelle trame egemoniche di Federico II.

Quella rete viaria, sorta con gli Etruschi ed ampliatasi coi Romani, nota come Francigena, collegava di fatto tutto il Nord Europa a Roma.

Ben due assedi, mossi dalle truppe di Federico II, avevano messo a dura prova le forze psicologiche e fisiche dei Viterbesi. Quest’ultimi a fatica avrebbero sopportato altre pressioni dagli imperiali. Inizialmente nel 1243 l’odio di Raniero Capocci verso Federico II aveva fomentato una rivolta popolare dei Viterbesi che subirono un pesante assedio da parte della casa degli Hohenstaufen.

Nonostante Federico II uscì sconfitto il morale della città era devastato e la vittoria non fu comunque tale da essere indolore per il popolo viterbese. Questo episodio aveva reso assai impopolare il Capocci che aveva trascinato la città in un conflitto tanto sanguinoso.

Il sovrano svevo avrebbe dovuto firmare, in cambio del ritiro della scomunica, un accordo con il Papa che prevedesse la restituzione delle terre e dei possedimenti che l’imperatore deteneva nel viterbese. Proprio nel 1243 era stato fatto papa Sinibaldo Fieschi: Innocenzo IV.

Le abilità diplomatiche del nuovo pontefice non furono sufficienti a rendere effettivi quegli accordi. Federico temporeggiava e continuava, di fatto, a imporre la sua influenza sul territorio viterbese. Di lì a poco sarebbe scoppiato un nuovo conflitto.

Nel 1247 Federico II inviava nuovamente contro Viterbo le truppe imperiali, comandate da Vitale da Aversa. L’abilità diplomatica dello Svevo fu tale da comprendere il ruolo cruciale che il tempo avrebbe giocato nel suo tentativo di sottomettere Viterbo. Temporeggiare nel gioco della diplomazia era stato vitale per permettere agli imperiali di riprendersi e di sferrare un nuovo attacco quando il morale dei Viterbesi era ancora fiaccato.

In questo secondo attacco, infatti, i Viterbesi preferirono giurare fedeltà all’Imperatore Federico che avrebbe governato, se pur affiancato da Balivi cittadini, fino alla morte.

A vincere fu di fatto l’atteggiamento diplomatico, più che militare sul campo. Viterbo aveva perso fiducia nella Chiesa e vedeva nell’Imperatore la possibilità di aggiudicare a se stessa pace e tranquillità.

L’aspetto interessante che lo storico Cesare Pinzi rileva, attiene alla benevolenza che Innocenzo IV mostrerà, alla morte di Federico II, verso i guelfi fuoriusciti ed i ghibellini. L’interesse del pontefice, nonostante le polemiche dei cardinali che lo affiancavano, non era quello di sottomettere gli imperiali o i guelfi traditori, ma di acquisirne i consensi.

Vilfredo Pareto, non a caso, ha sostenuto a cavallo tra 1800 e 1900, che si governa sempre in parte con la forza ed in parte con il consenso. Per uomini politici del Medioevo comprendere così a fondo queste logiche, intrinseche nei fenomeni politici, era cosa straordinaria.

Dapprima Federico II cercò l’appoggio cittadino attraverso il lento e progressivo logoramento del morale di Viterbo. Il leader della casa degli Hohenstaufen Portò la politica belligerante del suo acerrimo nemico, il cardinal Raniero Capocci, a divenire impopolare a tal punto che, i Viterbesi, arrivarono a desiderare l’Impero pur di avere garantita la pace.

Per assicurarsi il lasso di tempo necessario a rimettere in sesto le sue truppe e assediare nuovamente Viterbo, Federico illuse il Papa di voler concludere un accordo e riuscì a temporeggiare per quasi quattro anni.

Dal canto suo il pontefice, Innocenzo IV, seppe andar cauto, alla morte dello stesso Federico II, nel volersi riappropriare di Viterbo. Grazie alla Bolla papale di Perugia del 1252, il Pontefice seppe guadagnarsi i consensi e la predisposizione favorevole tanto dei ghibellini, quanto dei guelfi.

Il Pinzi, riportando il contenuto della bolla, sia in italiano che in latino, pone l’accento sull’atteggiamento coerentemente paterno e misericordioso che la Chiesa assunse in quell’occasione.

Innocenzo perdonò, infatti, i guelfi traditori e i ghibellini, raggiungendo così l’obiettivo primario del controllo ed evitando la guerra ad ogni costo.

Alessandro Gatti

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