Ischia di Castro STORIA a cura della Confraternita del SS.Sacramento e S.Rosario di S.Martino al Cimino 

 

Lo storico Romualdo Luzi

Giovedì 28 aprile presso il Museo Civico di Ischia di Castro, dopo il saluto del Sindaco di Ischia di Castro Salvatore Serra accompagnato dall’Assessore al Turismo Sabrina Quintili, gli storici Romualdo Luzi  per i Farnese e Colombo Bastianelli  per i Pamphilj, hanno dato vita ad un vivace  incontro a due voci, che ha appassionato e coinvolto il numeroso pubblico.

I  documenti citati e gli  scenari storici tracciati da Luzi e Bastianelli hanno infatti fornito  al pubblico  dei notevoli spunti di riflessione sulla controversa vicenda della seconda guerra di  Castro.  

 

Se i due relatori concordano sulla cause che hanno portato alla Guerra di Castro:  ossia la necessità da parte di Innocenzo X  di  entrare in possesso dei  beni  farnesiani  per finanziare i lavori dell’imminente giubileo del 1650, inspiegabile appare a tutt’oggi  il doloroso epilogo della guerra.

Adducendo a pretesto i debiti contratti dai Farnesi presso i montisti romani e scatenando, attraverso la nomina a Vescovo di Castro del barnabita Cristoforo Giarda, uomo di fiducia del Papa Innocenzo X Pamphil, la reazione dei Farnese i quali commissionarono l’assassinio del religioso aggredito a Monteorsi il 18 marzo 1649 e deceduto il giorno successivo, i Pamphil scatenarono  ad arte una guerra – lampo che, vedrà susseguirsi, dopo la sconfitta dell’esercito farnesiano da parte di quello pontificio a San Pietro in Casale presso Bologna   il 13 agosto 1649, l’assedio  della città di Castro - tra l’altro invicta - fino a che, il 2 settembre, venendo a mancare  la riscossa  dell’esercito farnesiano in soccorso di Castro, venne firmata dal Colonnello  Sansone Asinelli (Colonnello generale degli Stati di Castro e Ronciglione e governatore di Castro) e da David Widman (comandante dei corpi d’armata pontifici)  la stipula dei  patti di resa della città di Castro con la condizione, tra le altre, che gli abitanti "non debbano essere molestati né in vita né in robba”.

Di fatto, i patti di resa vennero del tutto disattesi in quanto i castresi vennero cacciati e, per mezzo di  gruppi di ‘aquilani’ assoldati appositamente, la città di Castro venne distrutta nelle settimane successive fino a quando, il 3 dicembre 1649 viene data da Mons. Giulio Spinola, allora governatore di  Castro, la notizia  ufficiale  del totale annientamento della città di Castro.

Sulle responsabilità di Olimpia Pamphilj nella vicenda, si dividono le tesi dei due storici in mancanza di documenti certi che  attestino o meno il reale coinvolgimento della Pamphilj: secondo Luzi la vera ispiratrice della disfatta finale fu molto probabilmente Olimpia Pamphilj animata dall’odio accecante verso i Farnese per via della protezione che questi ultimi accordarono ad Olimpia Aldobrandini, Principessa di Rossano loro cugina e moglie dell’unico figlio maschio di Olimpia, Camillo Pamphilj il quale, con questo matrimonio, aveva definitivamente compromesso la sua futura carriera ecclesiastica che, nei piani della madre, doveva condurlo dal cardinalato al soglio pontificio una volta deceduto lo zio.

  Secondo  Colombo Bastianelli  lo spirito pratico e la sete di beni e potere di Olimpia,  non avrebbe   mai consentito di fatto alla donna,  di commettere una mossa tanto dispendiosa quanto insensata  visto che dopo la resa, il cognato Innocenzo X avrebbe potuto incamerare  la Città e  le proprietà di Castro per venderle o utilizzarle sia a  beneficio e a gloria dei Pamphilj, sia per reperire i fondi necessari al finanziamento dell’imminente giubileo del 1650 e al completamento del  Principato di San Martino  ai Monti (l’attuale San Martino al Cimino) la cui costruzione era allora sospesa per mancanza di fondi.

Di ciò ci dà infatti curiosa  conferma  la lamentela  indirizzata  dall’architetto militare Marcantonio De’ Rossi alla Pamphilj  il quale, mal tollerando oltre,  gli scarsi o nulli compensi  ricevuti per l’opera prestata nella edificazione del borgo di  San Martino,   proprio nel giorno in cui vennero stipulati i patti di resa di Castro ossia il 2 settembre 1649,  si lamenta con la Pamphilj perché ‘l’aria fresca’  che si respira nel borgo di San Martino non è certamente un risarcimento  adeguato ai mancati compensi…

A supporto della sua tesi, Bastianelli   ipotizza la ingerenza della Corona di Spagna nell’imporre la distruzione di Castro per fugare definitivamente  una futura e strategica presenza farnesiana a ridosso dello Stato Pontificio e cita la notizia, riportata da   un commentatore del tempo, secondo cui  la Pamphilj si sarebbe lagnata con il segretario di Stato pontificio, il Cardinale Giovanni  Giacomo Panciroli della ‘scellerata decisione del cognato” a riguardo di Castro.

La totale irreperibilità ad oggi  di documenti e indizi che possano gettare luce sulla   brutale fine di Castro  attuata a tempi record e a dispetto dei patti di resa  firmati,  sollecita future ricerche vòlte a dare conto di  un vuoto documentario creato forse ad arte per nascondere ai posteri le gravi ragioni di una scelta scellerata che forse dispiacque allo stesso modo sia alle vittime che ai presunti carnefici,  forse pedine entrambi di   potenti strategie politiche avverse  ….

Il dibattito-incontro fa parte dell’ormai noto progetto culturale “Sulle orme di  Olimpia” promosso dalla Confraternita del SS. Sacramento e S. Rosario di S. Martino al Cimino coadiuvata dalla Pro Loco e dalle associazioni sammartinesi per sensibilizzare l’opinione pubblica e le forze politiche, sulla necessità di riaprire il Palazzo Doria Pamphilj di S.Martino al Cimino, chiuso dal 2012.

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