Viterbo STORIA A Montauto l’uomo preistorico deve aver soggiornato a lungo, durante uno dei periodi di quiete dei vulcani e magari girovagato nella Tuscia
Federico Gattini

Il fiume Fiora

Lungo il corso del fiume Fiora, su di un pianoro in località Montauto, presso Vulci, nel 1979 vennero rinvenuti numerosi manufatti in pietra, 799 per l’esattezza, dei quali 278 ritenuti strumenti veri e propri, mentre 521 considerati frammenti, schegge non ritoccate, scarti di lavorazione.
Questi 278 utensili dell’uomo preistorico vennero ulteriormente divisi in due categorie: strumenti su ciottolo, 133 e strumenti su scheggia, 145.
 
I primi comprendono diversi tipi di choppers, manufatti ottenuti su ciottoli fluviali, di peso e dimensioni molto variabili, ricavando un margine tagliente pressappoco rettilineo mediante percussione diretta o bipolare; la prima tecnica consiste nel percuotere il bordo del ciottolo con un’altra pietra fino ad ottenere il distacco di una o più schegge su uno o entrambi i lati, mentre la seconda vuole il ciottolo poggiato su una superficie molto dura che serva da incudine, tenuto verticale con una mano e colpito sul bordo superiore con un percussore altrettanto duro, così da provocare il distacco delle schegge.
 
Queste ultime, il più delle volte, non venivano gettate via, bensì ritoccate sui bordi con maggior precisione e spesso con materiali diversi, tipo legno duro, corno, osso per ricavarne altri strumenti, come grattatoi, raschiatoi, perforatori, denticolati.
 
Di tutti questi strumenti l’uomo preistorico si serviva per svolgere le attività della vita quotidiana, vale a dire tagliare la carne delle prede, preparare radici e tuberi, raschiare e ammorbidire le pelli con cui si copriva, rompere grossi rami per il fuoco, oltre che appuntire i bastoni e le lance necessarie tanto per procurarsi il cibo, quanto per difendersi dagli altri predatori.
 
Nel corso dell’evoluzione, l’uomo ha migliorato le tecniche di lavorazione della pietra, grazie al progressivo sviluppo del cervello e quindi dell’intelligenza, alle migliorate capacità di comunicazione tra individui e tra gruppi, a maggiori e migliori conoscenze dei materiali a sua disposizione.
 
Per quanto riguarda l’uomo preistorico che visse lungo il corso del Fiora, non avendo la possibilità di dargli un orizzonte cronologico accettabile ottenuto da resti scheletrici, che ci possano dire per esempio a quale fase dell’evoluzione si trovasse, oppure da ossa della fauna cacciata che ci possano indicare in quali ambienti e quindi in quale periodo sia vissuto, dobbiamo fare confronti con altre località italiane per le quali si hanno maggiori informazioni cronologiche e che hanno restituito strumenti in pietra simili a quelli trovati a Montauto.
 
Grazie a sistemi come questo, si possono con buona approssimazione stabilire dei limiti cronologici accettabili, entro i quali collocare il popolamento umano, aiutandosi poi con delle considerazioni relative al territorio in genere, alla geologia, al clima, alle risorse che permettevano o meno la permanenza di gruppi umani nella Preistoria.
 
Permanenza e popolamento infatti sono rese possibili da molti fattori, ben diversamente da una occasionale frequentazione, stagionale per esempio o di passaggio per raggiungere altri luoghi più promettenti. Prendiamo quindi alcuni siti che si trovano a Nord e a Sud della nostra bella Tuscia, per renderci conto della presenza dell’uomo arcaico nell’Italia centro-occidentale e saperne un poco di più.
 
Nel territorio di Frosinone, nelle località di Arce e Fontana Liri, poi presso Livorno a Collinaia e Bibbona, sono stati rinvenuti numerosi strumenti in pietra attribuiti al periodo compreso tra le glaciazioni di Gunz e Mindel, secondo una vecchia denominazione che oggi è passata in disuso ma che comunque colloca i ritrovamenti a 600.000 anni.
 
Proprio in quel periodo si verificano parte delle attività vulcaniche di quelli che oggi sono il Lago di Bolsena e il Lago di Vico: il primo iniziò l’attività circa 800.000 anni fa e terminò 150.000 anni fa, il secondo anche iniziò 800.000 anni fa  ma terminò circa 90.000 anni or sono.  
 
Pertanto, anche se entrambi i vulcani attraversarono periodi di inattività, lunghi anche 50-60.000 anni, durante i quali il territorio doveva nuovamente essere coperto di vegetazione e popolato da animali e uomini, le attività eruttive riprendevano e duravano 20-30.000 anni.
 
In questi lunghi periodi tutta quella zona compresa tra il monte Amiata, la valle del Tevere fino ad Ostia e la costa del Tirreno doveva essere poco vivibile, sia per le eruzioni e i terremoti a queste associati, che per le nubi di gas tossici e le ricadute di ceneri che accompagnano le attività vulcaniche in genere e che spesso si spingono a notevoli distanze dal centro eruttivo.
 
La vegetazione in gran parte spariva, con essa gli animali e l’uomo, che per trovare sostentamento migrava in cerca di posti più tranquilli, magari a Nord, verso l’odierna Livorno, o a Sud verso la Ciociaria.
 
Gli strumenti di Montauto si possono considerare quindi, per i loro caratteri arcaici, prova di una presenza umana nella Tuscia già 600-500.000 anni or sono, pur se questa è difficile da valutare quantitativamente sia  per la natura vulcanica, sia per la semplice constatazione che i depositi di ceneri vulcaniche all'origine dei tufi, hanno coperto eventuali altre testimonianze paleontologiche.
 
Montauto, per la sua posizione prossima alla costa, risentì certamente in misura molto ridotta delle conseguenze dell’attività eruttiva del complesso vulcanico Bolsena-Vico, rendendo così possibile il ritrovamento di questa unica ma preziosa testimonianza della presenza dell’uomo antico nella Tuscia.
 
A buon titolo si può parlare di presenza, perché 799 tra strumenti e scarti di lavorazione testimoniano di una certa attività protrattasi nel tempo, giacché uno strumento in pietra viene usato non certo per un singolo episodio alimentare o produttivo in genere, pertanto questa quantità ci deve far supporre che a Montauto l’uomo preistorico deve aver soggiornato a lungo, durante uno dei periodi di quiete dei vulcani e magari girovagato nella Tuscia per qualche generazione, sebbene sia difficile stabilire quanto a lungo e quali fossero i luoghi delle sue attività di caccia, raccolta e dove fossero  i suoi accampamenti.
Federico Gattini

 

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