La Chiesa di santa Maria delle Fortezze
colpita dai bombardamenti nel 1944

L'amministrazione Michelini per la ricorrenza
farà qualcosa per rivalorizzarla?


Viterbo
STORIA


La Chiesa di santa Maria delle Fortezze compie 500 anni e li dimostra tutti. Molto è dovuto ai bombardamenti subiti nel 1944, che la ridussero a meno della sua metà, e il resto alla trascuratezza delle amministrazioni che si sono succedute nel tempo, non trova scampo l'attuale. Gli affreschi, ancora superstiti, sono preda di chiunque voglia rovinarli, nessuna protezione, nessun utilizzo di quell'area, pur avendo avuto la improbabile destinazione di teatro all'aperto.

Ma voglio raccontare la sua storia, perché santa Maria delle Fortezze merita maggiore rispetto dai Viterbesi, da chi ama l'arte, da chi ama la propria città.

Chi ha qualcosa da dire in merito, bella o brutta, mi scriva alla email Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

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La Chiesa di santa Maria delle Fortezze, detta anche di san Francesco di Paola o dei Paolotti o della ss. Annunziata, sorge a ridosso di Porta san Leonardo, fu eretta per iniziativa del Comune di Viterbo, e Feliciano Bussi asserisce che «la medesima è architettura del celebre Bramante».

In merito al nome Fortezze, si fa riferimento alle fortificazioni erette a Viterbo, in tal proposito scrive Francesco Cristofori (1888), «La Bastia eretta presso l’antica Vegezia Romana da Enrico IV nel 1080 circa, e dal quale fortilizio poi la chiesa S. Maria delle Fortezze prese nel sec. XV circa il nome».

La posa della prima pietra della chiesa avvenne il 21 Giugno 1514 per mano del vescovo di Viterbo Ottaviano Visconti Riario; mastro Vincenzo Danese da Viterbo, scalpellino, fu l’esecutore dei conci necessari per la costruzione, scrive Enzo Bentivoglio (1987) che quest’ultimo ebbe rapporti di lavoro con Donato Bramante (1444 - 1514) e, aggiunge «La circostanza che la prima pietra fu gettata il 21 giugno 1514 e che Bramante morì l’11 marzo di quello stesso anno non esclude la possibilità di una provenienza diretta del progetto dall’artista o dalla sua cerchia».

In questo luogo era già una cappellina dove era venerata l’immagine della Madonna delle Fortezze.

Se questa è una città d'arte,
io sono figlio di un prete!

 

Architetto fu mastro Battista di Giuliano da Cortona e costruttore mastro Ambrogio di Bartolomeo da Milano. Ciò è confermato da un istromento del 23 Giugno 1517, che ritrovò Cesare Pinzi nel protocollo VII del notaio Spinello Altobelli, con cui si invitavano i predetti mastri ad accelerare i tempi di ultimazione della costruzione. Per ricavare i fondi e affrontare con tranquillità tutte le spese necessarie, nel 1515 e 1517, furono venduti alcuni orti.

La costruzione, comunque, si protrasse fino al 1521, anche perché in quell’anno tra i due mastri ci fu una lite. Fu necessario, nel 1525, vendere anche un terreno per pagare sia il costruttore che l’architetto. In quest’ultimo anno mancavano ancora il tetto, la cupola e le decorazioni.

Nel 1531, e poi ancora nel 1535, la chiesa fu ricusata ai Carmelitani e fu concessa ai Monaci di Montecassino.
Ivi era la sede della Confraternita di san Michele arcangelo che, nel 1579, si unì con la Confraternita del Crocifisso, la quale aveva il sacco di color turchino e nel 1607 si aggregò alla Confraternita di santa Maria del Pianto di Roma.

Il tetto fu terminato nel 1532 assieme alle volte come riferiscono le Riforme, in data 26 Novembre di quell’anno.


Se questa è una città d'arte,

io mi vergogno di essere Viterbese!

Importa più la Cronaca Nera...
"nera" come queste due cappelle
mangiate dal fumo e dal fuoco.

 

Essendosi mosse le travi, la riparazione al tetto fu eseguita nel 1603 con un contributo di cinquanta scudi del Comune in data 25 Novembre. Il 10 Settembre 1623 i frati di santa Maria delle Fortezze chiedono di «darli a livello una torre attaccata al loro Barbacane per potere farci una cantina in essa per commodità del Convento». Esaminata la richiesta fu accolta in data 16 dello stesso mese.

Il 25 Luglio 1632 «i Padri delle Fortezze con un memoriale che danno desiderano il Torrone delle mura della Città vicino all'horto loro e livello per farvi una cantina. Anzi havendo già ottenuto quello senza potersene servire desiderano, che si conceda loro una cantina vecchia ripiena, che sta fuori della porta di S. Sisto e confinante con l’horto loro».

La cantina fu loro concessa col patto che non «guastino e non rompino la strada e che non si cavi sotto le muraglie della Città». Quest’ultima disposizione voleva assicurare che lo scavo non potesse essere utilizzato dai nemici della città per penetrarvi senza essere visti e allo stesso tempo per non compromettere la stabilità della cinta muraria.

La facciata era rivolta verso la Torre di san Biele da cui entrava la Strada Romana, nel 1550, per miglior comodo, fu proposto di costruire l’ingresso alla chiesa dalla parte interna della città, ma la proposta non fu presa in considerazione. Nel 1565 fu redatto un progetto per tale fine, proponendo di fare la porta dove sta il Crocifisso dipinto su Porta san Leonardo. Ma anche questa volta non se ne fece nulla.

Solo nel 1570 l’ingresso fu spostato nel lato della chiesa che guarda Porta di san Sisto, l’attuale Porta Romana, perché da questa usciva la nuova strada per Roma. Sulla porta principale, essendo legato della città il cardinale Alessandro Farnese, fu collocato lo stemma dei Farnese, mentre al di sopra dell’architrave fu posto quello del Comune di Viterbo. Quest’ultimo, risalente al 1577, è ricordato da Francesco Cristofori, era:
«nella porta principale di S. M. delle Fortezze con la palma ed il vessillo imperiale, […] senza il globo quadripartito, sotto la branca destra».


Se questa è una città d'arte,

l'Arte non è per i Viterbesi!
Ce ne fosse uno che grida
soccorso per questi affreschi!

Importa più la Cronaca Nera...

 

Il 28 luglio 1577 i Frati Minimi dell’Ordine di san Francesco di Paola, che così rinominarono la chiesa, ne presero possesso grazie all’autorizzazione concessa dal cardinale de Gambara.

I frati ebbero anche l’autorizzazione di costruire il loro convento sull’area compresa tra la chiesa e le mura castellane. In un inventario del 1° Agosto 1577 risulta un quadro raffigurante il Crocifisso e i ladroni.

Nel 1578 viene nominata la Cappella di san Francesco da Paola, di fronte alla quale, il fedele Domenico Costa, promette di far dipingere la Natività di san Giovanni Battista.
L’innalzamento della cupola ottagona, eseguita su disegno di Francesco Monaldi, avvenne con appalto del 1582. 

La prima pietra fu, infatti, posta il 16 Ottobre di quell’anno e la costruzione fu portata a termine nel 1618. I lavori furono eseguiti per centoottanta scudi da Bernardo Giannini di Lagomaggiore e Martino Dominici. Il 4 Aprile 1618 i frati chiesero al Comune un sussidio per dipingere i Quattro Evangelisti nella loro cupola.

Il cottimo per una campana, da collocare sul campanile a vela, si ebbe nel 1646 e la chiesa fu consacrata nel 1649.

Enzo Bentivoglio nella Biblioteca apostolica vaticana ha ritrovato un disegno autografo di Francesco Borromini, il quale sembra sia stato a Viterbo tra il 1651 ed il 1652, «dove al rilievo planimetrico di uno stato di fatto [della Chiesa di santa Maria delle Fortezze], si somma una proposta progettuale di “ampliamento”». Il Borromini (1599 - 1667) aveva previsto, per la ristrutturazione della chiesa, la realizzazione a settentrione di una nuova facciata e di absidi.

Oggi la chiesa conserva due campanili a vela: uno sulle mura castellane e l’altro sul fianco, verso Porta san Pietro. Nel collocare sull’Altare di san Francesco di Paola un quadro della Madonna, fu scoperto un Ecce homo con due farisei di rara bellezza. Lo ricorda anche Filippo Giannoni, argentiere, nelle sue Memorie:
«A dì 20 di luglio 1696. di Venardì a ore 22 nela Chiesa dele forteze S. Francesco di Pavola nel metece il quatro dela madona ne trovono Vacono casco muro si scopri ecce omo et dui fareseij di molta sua beleza come fuse fato di fresco».

Chiuso il convento dal Governo napoleonico, verso il 1810, e poi ceduto al Seminario, il complesso cadde in rovina insieme alla chiesa, il vescovo Gaetano Bedini (1861 - 1864) voleva restaurarla, ma la sua morte troncò tale volontà. Era stata avanzata la proposta di aprire sulle mura castellane l’ingresso della chiesa, per far accedere i fedeli dalla città, evitando loro di dover uscire dalle mura stesse. La richiesta fu avanzata dal canonico Giovanni Temperini.

Il 21 Agosto 1847 Domenico Moscatelli, dal Seminario di Viterbo, prese in affitto i locali dell’ex Convento dei Padri Paolotti per il commercio di chincaglierie, pellami e la fabbrica dei zolfanelli fosforici.

A proposito una pasquinata affermava che al mondo solo due cose erano infallibili: Pio IX ed i fiammiferi di Moscatelli. Domenico morì nel 1850 e, verso il 1855, il figlio Scipione Moscatelli (1813 - 1907) rinnovò il contratto d’affitto. Di lì a poco tempo vi impiantò anche una fabbrica di carte da gioco, chiudendo in seguito quella dei fiammiferi. 

La condurrà personalmente fino alla fine di quel secolo e le carte da gioco prodotte, per la loro particolarità nel disegno, furono dette carte viterbesi; vennero diffuse e commerciate in tutta la penisola. Lasciata l’azienda da Scipione al figlio Nicola, questi chiuse la fabbrica e cedette la licenza a Guglielmo Murari di Bari, con il patto di mantenere la ragione sociale e le caratteristiche delle carte viterbesi. Murari, già nel 1884, produceva carte da gioco. 

Ma le cose non ebbero un esito favorevole, infatti, verso il 1914 i figli di Scipione, Cecilia e Nicola, vendettero i macchinari, per fabbricare le carte, ai tipografi Enrico e Giulio Agnesotti, ai quali si associarono, fino a verso il 1920, Crispina Danna con il consorte Riccardo Marini.

L’ex Convento delle Fortezze fu donato da Nicola Moscatelli, morto nel 1932, all’Ospizio di san Carlo. Prima dell’ultima guerra la chiesa fu adibita a rimessa dei carri funebri. Oggi, dopo i bombardamenti del 1944 che l’hanno colpita in pieno, è rimasto in piedi solo un terzo della sua originale estensione.
Il degrado è continuo ed inesorabile. Sono addirittura rimasti in balìa delle intemperie e della deturpazione, gli apprezzabili affreschi cinquecenteschi.

La chiesa di architettura classica, è stata fondata su una pianta a croce greca; nell’abside sinistra conserva ancora oggi un bell’affresco, purtroppo assai deteriorato, ma che vedo bene in una foto del 1910 che conservo nel mio archivio fotografico, raffigurante la Madonna in preghiera tra due angeli che suonano la tromba e sotto di lei sono numerosi santi. Nel catino è l’Incoronazione della Vergine fra uno stuolo di cherubini in una cornice ovale e angeli musicanti, mentre sul fronte sopra al catino stesso è l’Annunciazione. Ai lati dell’abside sono dipinti due stemmi simmetrici della famiglia Colonna.

Nella cappella a sinistra dell’abside di sinistra è un bell’affresco raffigurante la Natività di nostro Signore con tutti i personaggi classici dell’evento. Alcuni di questi hanno il volto e le mani strappati perché qualche delinquente li ha tolti con lo scalpello forse per realizzare qualche icona.
Sul catino della medesima cappella è l’Eterno benedicente incorniciato da una sequenza ovale di cherubini e affiancato da due angeli oranti. Sul fronte sono:

a sinistra, la Sibilla Cumana e la scritta
Hte quoque de Cri / sto dixit Cumea Si / billa magnus abî / tegro seclorum / nascitur ordo,

a destra, la Sibilla Eritea con scritto
Edita Erithreis va / tes Babilonis in glo / ris hebrea / dixit veniet / de Virgine prîceps.

Nella nicchia a destra dell’abside destro, sono eleganti stucchi, anneriti dal fumo creato dai fuochi accesi per riscaldarsi, dai barboni e dagli zingari che avevano allestito delle baracche e vi hanno dormito fino agli anni ‘70 del secolo XX. Sono ancora ben percettibili gli apprezzabili volti, in affresco, della Madonna e del Bambino, entrambi rivolti con lo sguardo verso sinistra.

Sul pilastro di destra, per chi si mette di fronte alle tre arcate della chiesa, sul lato che guarda Porta Romana, è inciso sulle lastre di peperino:
Obligo in questa chiesa in perpetuo / da dirsi tutti venerdì del anno nell’ / altare di S. Francesco di Paula da suoi / frati un offitio et una messa cantata de / morti per l’anima dei sig. cap. Cesare Gazzi­ / e l’altre messe ad hoñre del pred. Sã(n)to / come costa nel primo codicillo fatto / dal sig. Pietro Paulo Smirla notaro / il dì III di Sette(m)bre MDCCXX.

Sul fascione che si snoda sopra alle cappelle, dopo i bombardamenti, è rimasta la scritta:
[…] d et est mirabile in oculis nostris elegit et sancti fi […].

Mentre nel sott’arco, che si apre tra le due cappelle, leggo:
In me omnis qui petit accipit et qui querit invenit vitam.
Nel 2002 sono stati intrapresi lavori di ripristino delle strutture murarie, la tinteggiatura ed è stato rifatto il tetto.

Mauro Galeotti

Tratto dal mio libro "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo 2002