Viterbo STORIA Nono incontro con i lettori de La Città (www.lacitta.eu)
Maurizio Pinna

5ª elementare Viterbo, piazza Crispi n.2, chiostro di santa Maria della Verità
anno scolastico 1932-1933. Maestro Tito Salvati

I precedenti articoli
8 - Ventennio: Fu propaganda o comunicazione? Mussolini non ha effettuato studi specifici, eppure…
7 -
Ventennio: Fu propaganda o comunicazione? Un uomo amato e odiato, che non passò inosservato
6 - Ventennio: Fu propaganda o comunicazione? Gli errori restano errori, così come il bene resta il bene

5 - Ventennio: Fu propaganda o comunicazione? Dal Ventennio a oggi nulla è cambiato

4 - I bombardamenti sembrano una festa. Ma è propaganda militare
3 - I bombardamenti su Viterbo. Incursioni aeree di febbraio 1944
2 - La persecuzione degli ebrei
1 - Bombardare Viterbo! 1943-1944. Un volantino rarissimo svela i metodi della propaganda

Siamo giunti alla penultima parte dell’argomento in corso e tra qualche giorno andremo a leggere nel libro “Viterbo dal fascismo alla guerra con uno sguardo ai nostri giorni”, le informazioni e le curiosità che sceglierò per appassionare i lettori de La Città, entrando nel clima della Viterbo del Ventennio e dei fatti e personaggi di quell’epoca.

 

Con l’amico Mauro Galeotti, a ogni uscita, monitoriamo gli accessi e le pagine visitate. Grazie al gradimento dimostrato, anche attraverso le condivisioni sui social, proseguirò con piacere questo sereno viaggio per i più fedeli lettori.

 

Come nei mercati azionari le “quotazioni” salgono e scendono

Già nel 1924, dopo soli due anni di Governo, Mussolini ebbe modo di dire: «Il popolo per quante volte lo avvicinassi, mai chiese a me di liberarlo da una tirannia che non sente, perché non esiste: mi ha chiesto ferrovie, case, ponti, acqua, luce e strade!» (M.Sarfatti, DVX,p. 141). Continuando nell’ascesa, poi, gettò le massime attenzioni al colonialismo.

«Il capolavoro dell’apparato propagandistico fascista fu senza dubbio la preparazione e la conduzione della guerra d’Africa», scrive Ceserani, poiché si riuscirono a fornire valide giustificazioni al popolo, per condurre una guerra che gli italiani non volevano del tutto.

I risultati ottenuti furono notevoli, le conquiste furono portate a termine in breve tempo e il consenso registrò per Mussolini un picco verso l’alto che De Felice sintetizza: «Gli ultimi mesi del ’35 e la prima metà del ’36 videro il popolo italiano stretto attorno a Mussolini e al regime come non mai, in una sorta di esaltazione e di entusiasmo collettivi, crescenti via via che le vittorie militari e le difficoltà nelle quali si dibattevano la Società delle Nazioni e i Governi di Londra e di Parigi davano esca alla esaltazione patriottica e all’orgoglio nazionale».

La terra promessa presto arrivò e Ceserani ricorda: «L’Etiopia divenne il paese nel quale i contadini italiani avrebbero finalmente avuto quella terra che era l’atavico sogno della nostra povera gente». E Corrado Alvaro, nel suo diario, appunta: «I fanti italiani partirono per l’Africa portando con sé un sacchetto di sementi d’una specie selezionata e familiare».

Un contorno... indigesto che deve essere considerato

Per meglio comprendere in che situazione spesso si trovava il Duce, rimanendo in tema con la decisione di entrare o meno in guerra con l’Etiopia, Ceserani, prendendo spunto da un lavoro di Melograni, riferisce che Mussolini aveva incaricato l’OVRA, la polizia segreta, di raccogliere i rapporti circa il pensiero degli italiani ad una eventuale guerra. Il capo della Polizia, Bocchino, riferirà sinteticamente al Capo del Governo che: «Il popolo italiano, nella sua stragrande maggioranza, non era preparato per una guerra e la paventava».

Subito dopo Bocchino, entrò nell’ufficio di Mussolini il segretario del partito, Starace, riferendo l’esatto contrario: «Il popolo italiano è ansioso di gettarsi nella mischia».

Dopo che Mussolini informò Starace delle parole di Bocchino, i due si incontrarono  nell’anticamera dell’ufficio del Duce, risolvendo la questione con una violenta discussione rasente il pugilato. Con questo aneddoto, Melograni, fa distinzione tra il mussolinismo che cerca per gli italiani soluzioni politiche in grado di assicurare successi, mentre il fascismo vorrebbe forgiare un popolo di guerrieri.

Ma curiosità a parte, quel consenso costruito a fatica si affievolisce, e De Felice ritiene concausa al declino dell’immagine del Duce il fatto che lo stesso Mussolini perde di vista la quotidianità interna del Paese per dedicarsi alla politica estera.

Ai fini della comunicazione, il Duce, allontanandosi dalle strade e dalla gente commise certamente un errore. Ma oggi, anziché pensare a un accecamento da potere o da sole dell’Africa Orientale, si potrebbe anche supporre che Mussolini, per tale delicato incarico, con molta probabilità, non poteva fare affidamento su altri se non su se stesso.

Un accentratore? Forse, sicuramente l’autore, l’architetto, l’ingegnere, il progettista, il muratore, lo stratega e, soprattutto, il garante dell’esecuzione corretta della sua idea di Stato sociale e, successivamente, di Impero.

 

Un Mussolini antiborghese nel sangue

Mussolini collezionò anche un insuccesso al quale si dovette presto arrendere. Romagnolo e socialista di provenienza, privilegiava la campagna e la massa rurale, combattendo il consumismo tipico dell’alta borghesia. Ceserani spiega che il fascismo finirà per mettere in crisi il modello dell’imitatio, in quanto il consumo decolla nelle società che tendono ad imitare i modelli, gli esempi consumistici definiti superiori, come accesso al mondo ricco e privilegiato; il classico status symbol.

L’Italia, non dimentichiamolo, era da poco uscita in brandelli da una Prima guerra mondiale vinta senza trofei. Nel 1929, inoltre, ci fu una gravissima crisi economica mondiale, seguita dalle sanzioni inflitte all’Italia dopo l’invasione dell’Etiopia. La risposta italiana alla crisi fu una politica autarchica, già avviata da Mussolini prima delle sanzioni, poi divenuto uno stile di vita sorretto dagli slogan «Acquistate prodotti italiani!».

Nonostante ciò, nel pensiero di Mussolini era viva la volontà di forgiare ciascun italiano sull’esempio delle sue virtù, così elencate da Ceserani, p.158: «Con un capo dello Stato che afferma orgoglioso di non fumare e di non bere, di andare a letto alle 23 e di alzarsi alle 7, di dedicare quasi tutta la giornata al duro lavoro ed agli esercizi fisici (…)».

Già nel ‘26, una sua redattrice del Popolo d’Italia, Margherita Sarfatti, rimase esterrefatta dai tempi delle sue giornate tipo, tanto da scrivere nel suo libro DVX, p. 204: «Il suo originale modo di riposare fu sempre questo: di sforzare la mente, i muscoli o i nervi nel senso di una violenta fatica nuova. Osservandolo, mi sono convinta del relativismo alla Einstein. Il tempo non esiste, esiste l’energia che lo estende e lo allunga.

Non è possibile che le due ore del pomeriggio, durante le quali il pensionato gioca a domino nel caffè di provincia, la dama elegante si abbiglia, e il giovanotto leggiucchia, sbadigliando, il giornale, siano lo stesso lasso di tempo impiegato dal presidente del Consiglio a pranzare, telefonare ordini a un prefetto, scorrere tutti i giornali d’Italia, tornare a palazzo Chigi, dettar dispacci per gli ambasciatori, sbrigare otto seccatori, e discutere con tre persone intelligenti tre diversi problemi importanti».

Con simili esempi di vita, quindi, c’era poco da aspettarsi. Colui che conduceva una bella vita animata da vizi, secondo Mussolini mostrava i simboli dell’agio borghese, quindi doveva essere considerato il più pericoloso avversario dello spirito fascista.

Per la mancata risposta del popolo italiano a queste sue richieste di imitarlo, si dichiarò deluso e si lasciò trascinare dallo sfogo esclamando: «La razza italiana è una razza di pecore. Non bastano 18 anni per trasformarla. Ce ne vogliono 180, o forse 18 secoli».

Qui mi ricordo di un appunto scritto da Donna Rachele sul suo diario, dopo l’uccisione del marito e la caduta del fascismo, sul quale tornerò in altro capitolo: «Presso il comando americano, fui ricevuta da un ufficiale che parlava italiano (…). Era nervoso e mi parve molto preoccupato per la situazione. Ad un certo momento mi chiese: “Ma come ha fatto Mussolini a governare questo popolo per venti anni?” Mi raccomandò di non preoccuparmi per i bambini (...)».

 

Il popolo gli fu fedele più dei gerarchi

Che qualche risentimento covasse tra Mussolini e i suoi gerarchi, Ceserani lo dimostra con queste citazioni: «Nel 1932 Polverini inviò questo telegramma ai prefetti: “Alcuni quotidiani hanno pubblicato articoli laudativi su gerarchi viventi Stop Prego avvertire direzioni giornali et periodici fascisti locali che simili incensamenti non sono di stile fascista”.»

Mussolini, senza mezzi termini, nella seduta costitutiva del Gran Consiglio del Fascismo – quell’assemblea che nel 1943 lo tradì provocando il suo arresto, disse: «L’Italia sopporta al massimo un Mussolini, non parecchie dozzine». E Balbo, scrive Ceserani, assai seccato ribatté: «Ma la rivoluzione è stata fatta per te o per tutti noi?»

Conoscendo l’epilogo di quel periodo è lecito pensare che il tradimento, così come lo racconta Donna Rachele nel suo diario, era già in incubatrice.

Analoga conferma si ritrova tra i ricordi di molte persone che, avendo vissuto in quel periodo, concordano che  Mussolini fu ingannato anche riguardo l’esatta entità degli scarsi rifornimenti delle truppe in zona di guerra, così come dell’insufficienza di armi, aerei e mezzi a disposizione in ogni teatro di battaglia. Fu un incosciente comportamento dei suoi collaboratori che falsavano la verità per mostrarsi sempre efficienti al cospetto del Duce e all’altezza del ruolo ricoperto? Oppure furono già innescati i contorti meccanismi che portarono all’arresto del Duce e alla sua sostituzione con il Maresciallo Badoglio?

Prima di rientrare nel tema di questo capitolo, però, c’è ancora una pubblicazione che potrebbe aiutarci a distinguere il mussolinismo dal fascismo. Per questo riferimento prenderò spunto da “Il tempo del bastone e della carota”, B.Mussolini, 1944: «Dalla mattinata del 26 luglio 1943 in poi nessun fascista poteva nutrire il minimo dubbio sul carattere, sugli scopi, sulle intenzioni del Governo Badoglio; era il Governo che si proponeva puramente e semplicemente la distruzione di tutto ciò che nelle idee, negli istituti, nelle cose era stato creato da venti anni di fascismo. E a questa bisogna miserabile si prestarono uomini che sino alle 21 e 29 minuti del 25 luglio si dichiaravano fascisti (…).

Fu il mese della “libertà”. Una libertà col coprifuoco e lo stato d’assedio; una libertà che consisteva soltanto nella diffamazione di tutto quanto era stato Fascismo. Nessuno fu risparmiato. Non vi fu gerarca che non avesse almeno nascosto un lingotto d’oro e viveri di frodo nelle cantine.

Gli Inglesi salutarono la caduta di Mussolini come la più grande vittoria politica conseguita durante tutta la guerra ed effettuarono nel mese di agosto bombardamenti di una violenza eccezionale, allo scopo di “ammorbidire” la resistenza morale del popolo e renderlo maturo per la resa di cui già si parlava».

Nella prossima uscita:

Il consenso a Mussolini fu spontaneo

C’era chi creava i consensi e chi li distruggeva

Mussolinismo e fascismo, una selezione naturale

L’importanza della propaganda si manifesta in trincea

I dischi in vinile con i discorsi del Capo del Governo

 

Maurizio Pinna

 (Fonte e riferimenti bibliografici: Viterbo dal fascismo alla guerra con uno sguardo ai giorni nostri, Maurizio Pinna, 2011).