Viterbo STORIA Una chiesa dedicata a san Valentino e sant'Ilario a Viterbo, nel Quartiere Villanova, c'era e voglio raccontare la sua storia. Oggi la Chiesa dei santi Valentino e Ilario è stata ricostruita certo più bella, più grande, ma le origini sono sempre importanti. Dedico queste memorie agli innamorati.
Mauro Galeotti

 

Don Armando e Bruno Marini

Chiesa dei santi Valentino ed Ilario, memorie scritte nel 2002 tratte dal mio libro "L'illustrissima Città di Viterbo".

La chiesa è in Via Bonaventura Tecchi n° 7 ed è stata eretta parrocchia dal vescovo di Viterbo Luigi Boccadoro in data 11 Aprile 1971 con riconoscimento ufficiale agli effetti civili il 10 Maggio 1972.

Fu suo primo parroco il mio eterno amico don Armando Marini (3 Giugno 1940 - 21 Febbraio 1996), il quale ricevette dalla Curia un terreno di 16000 metri quadrati ove costruire la chiesa, la casa parrocchiale e gli annessi.

Don Armando iniziò le pratiche per la realizzazione del complesso religioso firmando i primi documenti sul sedile della sua Lambretta, infatti, non esisteva nulla, neppure quell’appartamento da adibire ad abitazione scritto e promesso sul suo decreto di nomina.

Le prime messe le celebrò nella Cappellina della Villa Cecchetti, poi si trasferì in un garage in affitto. Visto che doveva affrontare le spese da solo, don Armando nel 1973, contro la volontà della Curia, decise di acquistare in via provvisoria un capannone in cemento prefabbricato, in attesa che si realizzasse il progetto degli architetti Orseolo e Furio Fasolo.

Oggi [2002] è rimasto ancora il capannone - chiesa che non è il meglio per rappresentare una vasta comunità religiosa come quella di Villanova, ma esiste ed opera, anche grazie al sudore di Armando Marini, prima uomo e poi prete. Infatti, assieme al fratello don Bruno, ha fatto il muratore, il fabbro, il falegname e il facchino. Non meno sono stati i loro genitori che hanno aiutato con i propri averi i loro figli preti a realizzare la casa del Signore, casa che sin dal 1976 accoglie i fedeli del quartiere.

L’altare maggiore, il fonte battesimale fiancheggiato da angeli, opera di Clori Anselmi, e la struttura della lampada votiva del santissimo Sacramento, sono caratterizzate da blocchi di travertino trasportati dal luogo ove fu innalzata l’antica chiesa edificata in onore dei santi Valentino ed Ilario.

Il basolato davanti al fonte battesimale, che è formato da una pietra romanica e che nella parte superiore ha per copertura parte di un coperchio di sarcofago etrusco, è parte del basolato dell’antica Strada Cassia.

Al centro dell’abside è un Crocifisso, opera eseguita in lamina nel 1976 dallo scultore Alberto Corinti. Le stazioni della Via Crucis sono state progettate da don Angelo Gargiuli, in arte Angar, e realizzate da Luigi Poletto. 

La facciata della chiesa tra il 1997 ed il 1998 è stata rivestita in peperino e arricchita da due bassorilievi raffiguranti i santi titolari della chiesa, opere di Clori Anselmi. La stessa scultrice ha eseguito le due lastre di marmo ai lati del presbiterio raffiguranti a sinistra il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, a destra il miracolo delle nozze di Canan.

Claudio Morucci e Franco Fantinelli hanno realizzato le acquasantiere e l’ambone che porta i simboli degli evangelisti e un drago sulla pedana.

Ma dove furono uccisi Valentino e Ilario?
Sul Ponte Camillario.

Il Ponte Camillario è costruito in blocchi di travertino in opus quadratum e si può far risalire al I secolo dopo Cristo. E’ largo 12,95 metri ed ha una luce di 2,19 metri a monte, e 2,30 a valle.
Su di esso transitava la strada consolare Cassia.

Il Comune nel 1636 concesse alcune pietre del ponte, per la costruzione della Chiesa di san Leonardo in Via Cavour.
E’ stato riportato alla luce, perché sommerso dai rovi e dalla vegetazione, nel Marzo del 1994.
Per volontà ed opera del sacerdote don Armando Marini (1940 - 1996), mio eterno amico, a monte del ponte è stato attivato il percorso religioso, itinerario di fede, che conduce, si dice, nei luoghi ove, nel 306 d.C., subirono il martirio i santi Valentino ed Ilario.

Nei pressi è l’edicola innalzata nel 1696, probabilmente su altra, in ricordo della protezione da parte dei martiri durante un terremoto avvenuto a Viterbo l’11 Giugno 1695. 

Protezione fu chiesta ai martiri anche per il terremoto che colpì la città il 14 Gennaio 1703, leggo sul periodico locale Speranze Nuove del 27 Gennaio 1903:

«S’invocarono i nostri Santi, e non si ebbe a lamentare alcun inconveniente. Perciò ai 14 di Febbraio [1703] il Consiglio generale deliberò che per sette anni la Vigilia della festa dei Ss. Valentino e Ilario i fedeli digiunassero, e si ripigliasse per lo stesso tempo l’uso della processione delle Sante Teste. 

Tal voto fu approvato e confermato dal nostro Vescovo Cardinale Sª Croce. Compiuti i sette anni il voto fu rinnovato per altri sette anni, spirati i quali, si lasciò di fare quella Processione. Ma ai 28 di Agosto dello stesso anno un terribile terremoto scosse soltanto la nostra Città.

I Viterbesi esterrefatti corsero presso le Sante Reliquie al Duomo: la domenica seguente vollero portare processionalmente le Sante Teste, e determinarono di fare ciò ogni anno in perpetuo, come ancora si costuma: soltanto che a cagione de’ tempi è più ristretto il giro della processione, e invece, delle S. Teste si portano in processione due particelle dei crani de’ nostri Santi».

Sotto l’attuale pittura è nascosta la loro effige affrescata e protetta da un cancelletto con la scritta:
Questa edicola, eretta presso il luogo del martirio e del sepolcro dei SS. Valentino ed Ilario, fu restaurata dai fedeli l’anno 1903, VI centenario della traslazione delle ossa dei santi nella Cattedrale di Viterbo.

La grossa pietra, proveniente dal Ponte Camillario, posta avanti all’edicola, vuole rappresentare un altare.
Fino agli inizi del secolo XX vi erano dipinti i martiri in piedi con la palma in mano e sopra a loro un angelo con la corona dei vincitori e vi era la scritta:
«MDCXCVI Ss. Martyres / Valentinus et Hilarius / siste viator, quisquis sis, venerare figuras / sanctorum quorum nomina scripta vides. / Corpora, quae postquam dirum passa sunt tyrannum / hic latuere diu, nunc Cathedralis habet».

Ossia: Fermati, o viandante, chiunque tu sia, venera le immagini dei Santi i cui nomi vedi scritti. Quei corpi, che dopo aver sofferto i martìri di empio tiranno, qui giacquero per lungo tempo nascosti, ora sono conservati nella Cattedrale.

La pittura per l’incuria e per il tempo era quasi cancellata e l’affresco, danneggiato anche per la caduta di un fulmine, nel 1903 fu ripreso dal pittore Enrico Canevari di Viterbo (1861 - 1947), in occasione del VI centenario della traslazione dei corpi.

La pittura restaurata dal Canevari, dietro un compenso di cento lire, si può vedere in una foto riportata sull’opuscolo relativo ai santi Valentino ed Ilario edito nel 1903 da Giuseppe Pierotti.

Il muratore Angelo Fiorucci riparò il tetto, le cornici del timpano, adattò e collocò una croce di ferro sopra al timpano dell’edicola e vi costruì un palco per «prendere la fotografia dell’affresco». Le notizie le leggo sul periodico Speranze Nuove del 27 Gennaio 1903.

Il dipinto su tela che si vede oggi è opera di don Angelo Gargiuli eseguita per volere di don Armando Marini, parroco eccellente della Chiesa dei santi Valentino ed Ilario, mentre la vecchia raffigurazione dei Santi, come ho scritto, è nascosta dietro al quadro attuale a mo’ di protezione.

Mauro Galeotti