Viterbo STORIA Due foto stimolanti di Doriano Pedica
di Mauro Galeotti

 

Foto Doriano Pedica di Fabrica di Roma

Le due foto che mi ha inviato il mio amico Doriano Pedica di Fabrica di Roma eseguite con una tecnica di cui Doriano è maestro, hanno stimolato in me la curiosità di vedere qualche presenza del cavallo nella storia di Viterbo.

Certo il cavallo è stato principale elemento della vita viterbese dei nostri antenati, qui appresso do qualche chicca della sua storia a Viterbo. Certo ce n'è tanto da raccontare, ma per ora mi limito a quello che leggerai.

Messer Pelagio, cardinale di Ravenna, nel 1391 tradì la Città di Viterbo e «Per tal tradimento li Viterbesi s’accordorno col prefetto Giovanni Sciarra [di Vico] facendolo entrare con gran festa in Viterbo» e alloggiò nel Palazzo di san Sisto, ove era già il cardinale predetto. E ancora della Tuccia scrive:
«E ferolo entrare in Viterbo per la porta di S. Lucia colla processione avanti; e giunto alla chiesa di S. Lorenzo smontò del cavallo e fessi mostrare il mento di S. Giovanni [Battista]; poi se n’andò a riposare a S. Sisto dov’era stato detto cardinale». Era il 10 Febbraio.

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La Congregazione di Sanità il 12 Giugno 1630 per timore del contagio, dispose «che si faccia uno steccato fuori della porta di S. Lucia sotto l’hosteria di S. Alessio», il quale doveva essere vigilato in continuazione da due soldati. Ordinò anche di fare una processione generale per «implorare l’aiuto divino».

Il 1° Luglio dello stesso anno intimò «Che si venda il cavallo di Politta confiscato per la contravvenzione de’ bandi e s’impieghi il prezzo in due tende alle porte di S. Lucia e di S. Sisto, per riparare il sole per quelli che assistono alla guardia di quelle».

Inoltre, stabilì, per maggiore sicurezza, «Che si facciano altri Cancelli alle due porte di S. Sisto e di S. Lucia dando facultà di farli fare al sig. Pierfrancesco Bussi et al sig. Domenico Sacchi».

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Fu stilato, in data 25 Novembre 1874, un regolamento comunale per il Prato Giardino che, tra l’altro, prevedeva l’apertura durante l’Estate dalle 5 alle 20,30 e l’Inverno dalle 9 alle 17, mentre in Autunno e Primavera dalle 6 alle 18. Inoltre veniva stabilito che «Ogni ceto di persone può accedere liberamente, esclusi gli accattoni, gli ubbriachi, la gente male in arnese ed i ragazzi che non abbiano chi ne possa rispondere.

E’ vietato espressamente l’ingresso ai cani che non siano legati, ai carrozzini ad un cavallo se non sono decenti, agli scozzoni con cavalli a sella, alle vetture tirate da puledri ed ai carretti d’ogni specie.

Le carrozze ed i cavalli a sella non potranno introdursi nei viali segnati dalle colonnette. 
A niuno è permesso di cogliere fiori, schiantar rami e piante e fare qualunque altro danno agli alberi e alle piantagioni, non che ai sedili, muri ecc. E’ proibito di passeggiare entro le aiuole o di attraversarle come pure d’intorbidare le acque delle fontane e di pescarvi i pesci che vi risiedono».
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Ed ora una fantastica storia.


La Cava di sant’Antonio e la vicenda di Giovambattista Spiriti e il suo cavallo

Lungo la Strada Signorino, che prende il nome dal nobile Signorino Signorini, proprietario dei terreni, poi passati alla famiglia Tedeschi, è una massa tufacea detta Cava di sant’Antonio, già conosciuta come la Cava di Gorga, che nel 1200 fu teatro di scontri tra Romani e Viterbesi. 

Pinzi riferisce che alla fine dell’800, la cava era detta «Cava di Sgorga, [ed] era situata vicino a poggio Gazzello, presso l’antica via di Pontesodo».

I Signorini discendevano da famiglia fiorentina che divenne nobile viterbese nel XVI secolo, lo stemma, secondo Mario Signorelli, è: d’oro, allo scaglione d’azzurro.

Ma quello che vedo in una serie di disegni settecenteschi di stemmi, conservati nella Biblioteca degli Ardenti, è differente, infatti, porta un cappello di cardinale nel campo.

Lungo la strada è un’edicola ricavata sulla parete tufacea, con affrescato l’avvenimento del Febbraio 1506, in cui il cavaliere viterbese Giovambattista Spiriti, al ritorno da Roma, inseguito dai banditi e raggiunto al Guado del Corgnalo, fu salvato per intercessione della Madonna della Quercia.

Infatti, sopraggiunto in prossimità della tagliata etrusca, «larga più di 10 braccia, e profonda più di 60», come leggo dal codice conservato dalla Fondazione Besso di Roma, trovandosi a percorrere i terreni soprastanti alla stessa, con alle spalle i banditi che lo pressavano davanti al burrone della strada etrusca, vistosi perduto, chiese aiuto alla Madonna della Quercia.
Sentì una voce, «Tieniti Spirito che io salto».

D’un balzo il cavallo, quasi fosse in volo, saltò dalla parte opposta della tagliata tufacea e salvò il suo cavaliere.

L’affresco, di cui sopra, è stato restaurato nel 1992 da Rolando Di Gaetani ed inaugurato il 4 Ottobre dello stesso anno; porta la scritta, «Fermati passegiero, il capo china, alla Vergine Maria nostra reggina 1854». Il miracolo è raffigurato in una lunetta del chiostro con la cisterna della Basilica di santa Maria della Quercia.

Note tratte dal libro di Mauro Galeotti del 2002,
"L'illustrissima Città di Viterbo"