Viterbo STORIA Per quanto ci troviamo nel continente americano, tutti i riferimenti di seguito riportati si riferiscono certissimamente a s. Rosa da Viterbo e non a s. Rosa da Lima
di Alessandro Finzi
Centro Studi santa Rosa da Viterbo, onlus

 

Alessandro Finzi e Stefano Barbacci Aviani

Alcuni anni fa, al termina di una conferenza sulla diffusione del culto di santa Rosa al di fuori dei confini italiani, Stefano Barbacci Aviani, medico viterbese, presentandosi, mi narrò come, viaggiando come turista, aveva casualmente trovato una statua di santa Rosa da Viterbo nella chiesa dei francescani a Salta in Argentina.

Gli risposi divertito che, viaggiando per attività di cooperazione, anch’io casualmente avevo trovato, proprio a Salta, un importante collegio femminile intitolato a santa Rosa; fra l’altro vi si conserva un guanto delle dimensioni della mano di Rosa con la quale era stata posta a contatto come da documento autenticato dalla badessa.

Queste reliquie da contatto sono ben note e a Viterbo vi sono anche dei collezionisti, ma di un reperimento così lontano non si aveva notizia.

Misura della mano di s. Rosa. Salta, Chiesa di s. Francesco

Salta è una città sperduta nel nord-ovest argentino, non lontano dalle pendici andine e considerammo, sorpresi, le scarse probabilità che entrambi, casualmente, trovassimo due diverse testimonianze del culto di santa Rosa nel medesimo luogo di quel lontano Paese.

È ben vero che il caso crea impreviste coincidenze, ma altre tracce portavano a considerare che il culto di Rosa nell’America latina era più diffuso di quanto si potesse immaginare e dunque, per quanto improbabile, poteva capitare di trovarne più testimonianze anche nella stessa città.

Meritava tentare una ricerca sistematica e da allora Stefano si è messo in caccia con straordinario impegno, intuito e anche con un po’di fortuna, trovando in Argentina nuove molteplici tracce riferibili alla Patrona viterbese. Il merito di questa ricerca è essenzialmente suo.

E’ bene chiarire subito che, per quanto ci troviamo nel continente americano, tutti i riferimenti di seguito riportati si riferiscono certissimamente a s. Rosa da Viterbo e non a s. Rosa da Lima. I risultati della dettagliata indagine triennale che si colloca nell’ambito delle attività del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo sono stati recentemente pubblicati sulla rivista internazionale dei Francescani che ha il supporto anche dell’Università Cattolica (Stefano Aviani Barbacci e Alessandro Finzi: “Evidenze” della diffusione del culto di santa Rosa in Argentina, in Frate Francesco, Anno 81, Aprile 2015, pp. 105-130).

Il lavoro si pone come approfondimento in uno specifico ambito nazionale nel quadro delle ricerche che hanno ormai dimostrato come, nei secoli XV e XVI, a partire dalle penisola iberica, e quasi contemporaneamente, il culto di santa Rosa si sia diffuso in tutta l’America latina, a cominciare dai territori poi inglobati negli Stati Uniti, come la Florida e l’Arizona a nord, fino all’estremo meridionale del continente Sudamericano, vale a dire il Cile e, appunto, l’Argentina.

Con riferimento a quest’ultima, l’identificazione dei luoghi in cui sono state ritrovate le testimonianze è stato particolarmente utile perché ha consentito di marcarli su una mappa (il numero dentro ai circoli indica quante sono le occorrenze rilevate in ciascuna località). Il risultato è stato sorprendente e del tutto imprevisto.

Come si vede quasi tutte le tracce si dispongono lungo un percorso che arriva fino all’odierna città di Buenos Aires partendo dalle Ande dove, nel territorio del Cuzco, oggi compreso fra il Perù e la Bolivia, si venne a costituire il primo nucleo del dominio spagnolo.

La linea continua in rosso su cui si dispongono i ritrovament non è altro che il Camino Real, cioè il percorso seguito dagli spagnoli nel processo di colonizzazione in cui, oltre agli insediamenti militari, quasi contemporaneamente si affermavano quelli commerciali e religiosi. E i francescani, arrivati al seguito delle truppe, e a volte addirittura precedendole, trovavano in santa Rosa un potente strumento di evangelizzazione delle popolazioni autoctone.

Gli spagnoli, scesi lungo la cordigliera andina fino all’attuale Cile, erano poi rientrati nei territori dell’odierna Argentina partendo dalla città di Santa Rosa de los Andes (l’attuale Los Andes) e dal passo di Curimón dove, da un primitivo insediamento volto alla conversione degli indio intitolato a santa Rosa da Viterbo, aveva avuto origine un importante convento di santa Rosa di rilevanza anche storica perché vi si erano acquartierate le truppe provenienti dall’Argentina per avviarsi a combattere per l’indipendenza del Cile.

Da lì, come si vede dalla mappa, la penetrazione si era diretto verso Rio Cuarto per il Camino Real del Oeste fino a ricongiungersi al percorso principale all’altezza di Córdoba.

Nella mappa sono riportate le trentuno ‘evidenze’ (termine utilizzato per designare materiali anche di diversa natura, ma comunque idonei a testimoniare la diffusione del culto della Rosa viterbese).

Esse consistono in dieci opere figurative: sei statue, due quadri, una vétrage ed un mosaico. Vi sono poi una città, tre importanti collegi, due luoghi di culto, ben sei confraternite di “terziari” (di cui quattro ancora attive), due biografie, cinque menzioni documentali, una settecentesca concessione papale di indulgenze ed un ex voto.

Nelle more della pubblicazione ne sono stata individuata altre due, non indicate nella mappa: un insediamento indio, di cui i lettori di questo giornale conoscono la straordinaria storia del conflitto con Benetton che ne ha comprato le terre per poi cacciarli, e una trentatreesima di cui parleremo prossimamente.

È del tutto evidente che, data la facilità con cui le evidenze vengono trovate e continuano a trovarsi, sia stata rilevata solo la punta dell’iceberg, forse nemmeno il 10% del totale, e chissà quante altre documentazioni sarebbero rintracciabili attraverso una ricerca sistematica in situ, qualora la pubblica Autorità viterbese decidesse di supportarla.


Santa Rosa: Chiesa di s. Francesco a Córdoba.

Fra le ipotesi che tentano di spiegare la straordinaria fortuna di santa Rosa come protagonista del processo di evangelizzazione vi è il fatto che i cappuccini, che spesso difendevano le popolazioni indigene, pur poveri e mal vestiti quali apparivano, sembravano godere di una autorità superiore perché ricevevano tuttavia il reverente omaggio delle arroganti autorità spagnole, mentre la predizione della morte dell’Imperatore Federico II era vista dagli indio, per analogia, come se la Santa fosse in grado di proteggerli dai detentori del potere politico.

Da queste prime ed ipotetiche radici che trovano riscontro in una antica confraternita rioplatense formata da indio e mulatti, il culto di santa Rosa si è poi radicata, come si vede, nella società argentina, con evidenze che vanno con certezza dal 1600 al 1900 e sono ancora dinamicamente presenti.

Si deve però ricordare che le testimonianze non compaiono immediatamente, ma prima si diffonde il culto e solo dopo anni incominciano a prendere corpo le evidenze materiali; le più antiche, inoltre, vanno facilmente perdute per cui è ragionevolmente presumibile che l’introduzione del culto risalga direttamente alla prima colonizzazione cinquecentesca.

La diffusione del culto di santa Rosa in Argentina è dunque un fenomeno antico ed operato dagli spagnoli. Gli italiani, arrivati nell’ottocento, non sembrano avervi contribuito, mentre un insediamento tardivo, indicato in verde nella mappa, leggermente eccentrico rispetto al percorso di diffusione, corrisponde ad un convento dedicato a santa Rosa da Viterbo, ma fondato solo nel 1900, inaspettatamente, da suore slovene.

La trentatreesima evidenza si riferisce alla presenza di riferimenti alla figura di santa Rosa in un testo letterario non agiografico, cosa del tutto imprevedibile, tanto più che si tratta di un racconto fra i più noti di Jorge Luis Borges, il massimo scrittore argentino. L’argomento è già stato presentato al XXXVII Congresso Internazionale di Americanistica e, appena pronta una stesura divulgativa, non mancheremo di tenere informati i nostri lettori.

Alessandro Finzi
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