Viterbo POLITICA
Luigi Telli, Comitato Lavoro e Beni Comuni

“Probabilmente l’oscuramento delle menti operata dal pensiero unico dominante del neoliberismo economico impedisce di giudicare come positivi i provvedimenti amministrativi che perseguono finalità non economiche, ma di crescita culturale e personale dei cittadini”, così scrive Paolo Maddalena, ex vice presidente della Corte Costituzionale e fine giurista al fianco della battaglia per il riconoscimento giuridico e politico dei ben comuni, in nome di un uso civico collettivo di questi ultimi.

Un sindaco, in nome dei valori della carta costituzionale, può dare in assegnazione diretta degli spazi pubblici destinati altrimenti al degrado e all’abbandono e l’assegnazione diretta di uno spazio sociale abbandonato ad un gruppo di cittadini che se ne prenda cura in prima persona: non è reato, né la prefigurazione di un avvenire filo-sovietico!

Come Comitato che si riconosce nell’unità cittadina dei beni comuni ci interroghiamo su cosa possa significare tutto questo per la nostra realtà viterbese.

Il costituzionalista Paolo Maddalena ha più volte ribadito, assieme ad altri illustri studiosi come Ugo Mattei, Luca Nivarra e Maria Rosaria Marella, che «occorre precisare che i beni appartenenti al Comune sono beni in “proprietà collettiva demaniale” del popolo, nella specie del popolo viterbese, e che l’ente Comune, impropriamente considerato proprietario, è solo “gestore” di questi beni. Ne consegue che gruppi di cittadini che operino come “parte” della Comunità dei viterbesi, una “parte” non esclusiva ma inclusiva di chiunque voglia partecipare, possono utilizzare legittimamente tali beni, che loro appartengono, per fini di utilità generale, come prescrive l’articolo 118, ultimo comma, della Costituzione, secondo il quale “Stato, Regioni , Città metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”».

È doveroso inoltre ricordare che l’art. 42 della Costituzione distingue la proprietà in “pubblica” e “privata” e che la “proprietà pubblica” è la “proprietà collettiva demaniale” del popolo, una proprietà “fuori commercio”, diretta, in modo performativo, a soddisfare i bisogni del popolo stesso, secondo quanto prescrive, per l’appunto, il citato art. 42.

Non abbiamo altra scelta che prendere atto della presenza nella nostra città di un’ amministrazione cieca e arroccata su posizioni arcaiche e fallimentari!

E pure un’altra radicale domanda ci poniamo come Comitato Beni Comuni: siamo utopici sognatori? Ci pare di no, vista l’esperienza di altre città (Napoli, Pisa). Inoltre è chiaro e palese che la strada che vogliamo seguire è un percorso coerente con i valori della nostra Repubblica e della nostra Carta Costituzionale.

Infine vogliamo porre l’accento su quale legalità si concretizza nel governo amministrativo della città. Quale legalità si fa strada: le fideiussioni tossiche, il finanziamento dei privati e la svendita del patrimonio pubblico o un radicale atto di riconoscimento degli atti generativi della democrazia locale dei cittadini? Il Comune di Viterbo a questo riguardo che intenzioni ha? ... di seguire una pratica virtuosa o di tessere una guerra di logoramento con i propri cittadini?

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