Viterbo LIBRI
Leonardo Vietri

“Capire una fotografia” di John Berger (Contrasto). Un grande “storyteller” interroga foto celebri e svela alcuni segreti dell’arte della fotografia.

Del terzetto di autori da cui prende le mosse la riflessione contemporanea sulla fotografia, Roland Barthes (“La camera chiara”), Susan Sontag (“Sulla fotografia”), John Berger (“Sul guardare”), sicuramente fu quest’ultimo ad essere in debito con gli altri, sia per l’importanza accademica rivestita dagli altri due autori, sia per motivi puramente anagrafici.

L’antesignano in questa tipologia di indagine per immagini fu ovviamente Walter Benjamin che nella “Piccola storia della fotografia” (1931) e ancor più nel suo famosissimo saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” poneva le basi sia per la cosiddetta Scuola di Francoforte sia per tutta la massmediologia e gli studi dell’industria culturale che dagli anni ’60 e ’70 invasero le università e i centri di ricerca in tutto il mondo.

La ricchezza teorica che risiede nello sguardo degli autori sopra citati (Benjamin, Barthes, Sontag e Berger) sta nel loro rapporto non esclusivo con la fotografia, che veniva quindi analizzata con l’approccio di scrittori e saggisti, quali erano a pieno titolo. In particolare sia Barthes che Berger avevano come obiettivo primario quello di esprimere l’essenza di una fotografia, o per dirla con Stieglitz, “l’idea di fotografia”. Con uno sguardo tutt’altro che asettico e impersonale Berger si immerge totalmente nelle fotografie prese in esame, fondendosi con il fotografo e la sua storia personale, prima ancora che tessendo le lodi per la tecnica o l’inquadratura riuscita.

È un’impostazione che deve molto al punto di vista politicizzato e socialista con cui Berger abbraccia il mondo, che lungi dal foderare gli occhi con il prosciutto dell’ideologia, serve all’autore per penetrare al meglio dietro le maglie della storia e della sua rappresentazione. Non a caso, il volume edito da Contrasto, che raccoglie una miscellanea dei suoi scritti rivisti e corretti per l’occasione, inizia proprio dalla foto del Che Guevara morente, imparentato visivamente al quadro di Rembrandt “Lezione di anatomia del dottor Tulp”, e infine al “Lamento sul Cristo morto” del Mantegna.

Se la fotografia, secondo Berger, è un’arte del disporre che si fonda sulla tensione tra ciò che viene inquadrato e quanto rimane fuori dall’inquadratura, è corretto aggiungere – citando Goethe – che “esiste una forma delicata di empirismo che si identifica così intimamente con il suo oggetto da trasformarsi in teoria”, ed è quanto emerge dalle foto di Sanders per il suo imponente progetto “L’uomo del ventesimo secolo” ma anche nelle foto di Strand quando cerca di trovare “una città in una strada, il modo di vivere di una nazione in un angolo di cucina”.

L’attività di ricerca, o meglio di lettura partecipata e raccontata da Berger è qualcosa di molto vicino alla poesia di D.H.Lawrence “Thought” (Pensare): “Pensare è guardare in faccia la vita, e leggere quel/che si può leggere/Pensare è un ponderare sull’esperienza, e arrivare a/ una conclusione/ Pensare non è uno scherzo, un esercizio, o un/ insieme di trucchi/ Pensare è un uomo intero che partecipa/ con tutto se stesso.”

Leonardo Vietri