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La tradizione carnevalesca attraversa l’inesorabile flusso del tempo, dalla società arcaica fino ai giorni nostri, passando per Medioevo e Rinascimento. Mutano le grammatiche e si rimodellano le forme di una festa che, a fasi alterne, si è presentata al genere umano come un rito religioso, piuttosto che come un folklore pagano.

Generalmente l’inizio del Carnevale cade due settimane prima del Mercoledì delle Ceneri, anticipando la Quaresima. Martedì Grasso sarebbe il giorno che, per l’appunto, precede il Mercoledì delle Ceneri. L’associazione con il culto cristiano viene evinta dall’etimologia stessa del termine; Carnevale deriva infatti da “Carnem levare”, per invitare i fedeli ad astenersi dal mangiare la carne, per prepararsi alla Pasqua, mediante il digiuno. La cultura araba associa questo sacrificio dell’uomo credente alla propria tradizione religiosa del Ramadan.

Ancora una volta ritornano in auge i nostri avi, il loro legame con i morti e la Madre Terra. Il Carnevale si ricollega ad un periodo di purificazione in onore del dio Februus, presso gli Etruschi, e della dea Frebrua presso i Latini. In questo ponte tra l’inverno e la primavera si commemoravano i defunti. Nell’Antica Roma il Carnevale era vissuto come un rito propiziatorio per la fertilità del terreno. Le Saturnalia romane e le feste  greche Cronie e Dionisie, celebravano il ritorno della fertilità dopo l’austerità invernale.

Gli archivi della Tuscia ed il centro studi sul teatro medioevale e rinascimentale, attraverso gli studi del Professor Quirino Galli, mostrano come la tradizione del Carnevale, abbia rappresentato un continuum nella storia della Tuscia, ricollegandosi agli schemi arcaici e sviluppando forme nuove, attraverso la maschera ed il teatro. Il Galli sottolinea come lo scarso interesse per il periodo medioevale, a lungo relegato ad epoca buia per la storia dell’uomo, abbia comportato l’abbandono di aspetti preziosi della tradizione sociale e culturale dell’umanità intera.

A cavallo tra Medioevo e Rinascimento gesta quel simbolismo che trova una forma onirica nelle maschere del teatro e della commedia, riallacciandosi con la tradizione del Mediterraneo arcaico. Nella Tuscia viterbese, ad esempio, si mescolano aspetti religiosi con aspetti pagani, e lo fanno attraverso il ponte della superstizione. Come spiegare dunque il salto concettuale del Carnevale, che dal suo legame con la Madre Terra ed il culto dei morti, giunge ad essere quanto di più anti religioso possa esserci, per poi divenire addirittura un araldo per la Santa Pasqua? La risposta va ricercata, semplicemente, ma non banalmente, nella cultura popolare.

Il popolo crea la superstizione per spiegare ciò che non comprende e prendere le distanze da ciò che teme. A Caprarola vediamo un trattore che traina un carro con sopra un grosso asino e dei “carnevalari” mascherati da capre, ostentando i vizi e le virtù della comunità paesana. A Grotte Santo Stefano si passa dalla commedia grottesca al dramma vero e proprio. Qui la rappresentazione popolare di Lucifero, Bucefere, viene condotto a morte ed impiccato sulla piazza. In entrambe le rievocazioni, a Caprarola e Grotte, viene data ampia importanza alle abilità mimiche degli attori, più che alle maschere in sé.

Quante similitudini, dunque, con la tradizione greco-romana, dalle dionisiache ai saturnali. I temi prevalenti della Tuscia carnevalesca sono quelli legati alla tradizione bucolica ed agreste. Il tema religioso è presente sempre, anche se spesso, come nel caso di Grotte, vissuto in maniera fantasiosa e spiccatamente pagana. A Caprarola e Grotte Santo Stefano si insiste sul tema del male che emerge dagli inferi e degli uomini che, eleggendo un loro “eroe”, riescono a ricacciarlo nel mondo dell’oltretomba. Le grammatiche evocative richiamano i Lupercalia romani, nei quali un Dio lupo invadeva, allo stesso modo di Bucefere, il mondo terreno infestandolo con demoni e diavoli.

Il Carnevale Falisco, che originariamente comprendeva Sutri, Capranica, Nepi, Calcata, Civitacastellana, rimane più legato all’aspetto agreste, del mangiare e del bere. A Sutri e Soriano emerge il culto di Sant’Antonio e la statua di questi è portata in giro per il Paese in festa. Ronciglione si caratterizzava per l’ingresso in pompa magna, il giorno di Martedì Grasso, di Re Carnevale, con un elegante completo in frac. Il Carnevale di Ronciglione appare colorato e festoso come quello romano, mentre ad Acquapendente primeggiano eleganza e sobrietà, che si accostano maggiormente alla cultura rinascimentale fiorentina.

In questa breve panoramica del Carnevale viterbese notiamo come gli aspetti più cari all’uomo antico e moderno, la facciano da padroni. Il sesso, il gioco, la convivialità del mangiare e del bere, fanno da sfondo al tema centrale della vita. La perenne battaglia dell’uomo contro le sue paure e la sua finita realtà di essere mortale. Il Carnevale è un occasione, per il popolo, di fare i conti con le sue debolezze, di metterle a nudo in piazza, ma di celarle al contempo dietro una maschera. I vizi e le virtù umane si confondono nelle strade in festa perché, in fondo, sono la stessa cosa e non hanno un volto proprio, se non quello delle maschere dietro le quali si nascondono.

Alessandro Gatti