Viterbo CRONACA RACCONTATA Come per tutti musicisti, servì un centesimo per farlo cominciare e un milione per farlo smettere
di Zampa

 

Visto che, ormai, anche in Italia si festeggia la notte precedente Ognissanti con simboli e travestimenti legati alla morte, ai fantasmi e al mondo dell’occulto, la strega Zampa vi regala una storia che non vi farà dormire, trovata anche questa nella carrozza di un treno e riproposta in prima persona, così come mi è stata raccontata.

La musica maledetta

La prima volta l’ho sentita in un film, più con l’anima che con l’udito, accompagnava il mitico cavaliere Parsifal nella perigliosa ricerca del Sacro Graal, unica possibilità di redenzione per i cavalieri della tavola Rotonda.

Una musica suggestiva, dal ritmo incalzante, cantata in latino, con tono solenne, dapprima da un gruppo di solisti e poi da un coro, in potente crescendo, con un maestoso accompagnamento orchestrale, che agganciava il battito cardiaco e lo trascinava in un’accelerazione spasmodica, fino alla liberazione del vocalizzo finale, incorniciato dall’enfasi strumentale che si concludeva con uno stacco netto, simile a un salto nel vuoto.

Era splendida ed impetuosa, ma conteneva un accento tragico che suscitava commozione e smarrimento. Il testo non era comprensibile, ma si intuiva che fosse importante.

Ne parlai con mio padre, in uno di quei momenti di chiacchiere notturne, ormai  abituali da anni, nelle notti estive in cui, ambedue affetti da insonnia e mal sopportazione del caldo, ci incontravamo sul terrazzino della cucina, per fumare una sigaretta e raccontarci qualche fatto quotidiano.

Negli anni, quei momenti di confidenza al chiaro di luna, sospesi al di fuori dei ruoli e doveri giornalieri di ognuno, mi avevano consentito di conoscere meglio mio padre, nella sua dimensione di persona colta e fantasiosa, seria, ma dotata di un sottile ed irriverente senso dell’ironia, capace di trasformare, in un lampo, un serissimo discorso in una gag  da cabaret. Le risate incontenibili che ne derivavano, finivano per svegliare anche mia madre e mia sorella che, raggiungendoci scarmigliate e ad occhi chiusi, prima ci davano dei matti e incoscienti che avrebbero svegliato tutto il palazzo, poi si univano a noi, per il caffè delle tre di notte e una fetta di zuppa inglese che, a casa nostra, non poteva mai mancare.

L’ultimo giorno di ferie, mentre pranzavamo insieme prima di accompagnare papà all’aeroporto e vederlo sparire verso il cantiere africano in cui lavorava, in TV andò in onda una pubblicità in cui era inserito proprio quel brano musicale. Quasi mi soffocai, lasciando cadere la forchetta e dissi concitatamente a mio padre: - eccola, Papà, è lei, la MUSICA! – Lui ascoltò e vidi che rimaneva turbato almeno quanto lo ero stata io al primo ascolto. Concluse che era davvero particolare, ma che era sicuro di non averla mai udita prima. Si sarebbe informato, attraverso un suo caro amico che lavorava con lui in Africa, amante della musica medioevale e barocca e con un fratello musicista.

In quel periodo ero stata assegnata ad un nuovo settore aziendale e avevo fatto amicizia con Pierangelo, un mio coetaneo dagli occhi buoni, ma con un riflesso di malinconia che rivelava la presenza di qualche peso sul cuore. Conobbi anche gli altri pochi amici che frequentava fuori dal lavoro e lo convincemmo ad organizzare la sua festa di compleanno in casa che, scoprii allora, sarebbe stata la prima dopo cinque anni dalla scomparsa della sua amatissima mamma.

In una grande casa elegante e silenziosa, vivevano soli, lui e suo padre, un musicista in pensione, dall’aspetto bonario, ma velato di tristezza, che non aveva più toccato i tasti del pianoforte dal giorno in cui aveva perso l’angelica voce della sua adorata compagna d’arte e di vita.

Trascorremmo quel sabato mattina a pasticciare in cucina, uno più imbranato dell’altro, con il papà che, alla fine, era uscito dal suo isolamento e si era rassegnato a darci una mano, compiaciuto di vedere suo figlio, per una volta, allegro e spensierato. Fu una bella festa e alla fine, dopo aver ripulito alla meglio la sala da pranzo, ci meritammo una tarda serata in poltrona, a chiacchierare tutti e tre, del più e del meno.

Ero orgogliosa di aver contribuito a strappare il velo scuro che aveva soffocato così a lungo quella casa e non seppi resistere alla tentazione di abbattere l’ultimo tabù: pregai il papà di Pierangelo di concedermi una sua esibizione al pianoforte. Il mio amico smise di respirare ed io avrei voluto sprofondare sotto il pavimento, un attimo dopo aver visto la fitta di dolore negli occhi di suo padre. Dopo una terrificante pausa di silenzio, l’uomo abbozzò un sorriso e andò a sedersi al piano. Aveva compreso il significato della mia richiesta e, finalmente, capito che suo figlio si sarebbe ripreso il diritto di vivere la sua vita solo se lui stesso fosse tornato alla normalità.

Come per tutti musicisti, servì un centesimo per farlo cominciare e un milione per farlo smettere.

Mentre ascoltavo il piacevole medley di musiche melodiche, mi tornò in mente la musica misteriosa: chi meglio di quei due musicofili  avrebbe potuto darmi la risposta?

Appena ebbi formulato la domanda, cercando di fornire elementi utili, quali il titolo del film nella cui colonna sonora era inserito il brano, il pianoforte tacque, i due si guardarono con una strana espressione di sofferente intesa e il mio amico andò a prendere un cd dalla libreria. Lo inserì nel lettore digitale, trovò la traccia e LEI si diffuse nella stanza. Prima sommessa e solenne, poi in crescendo trionfale di voci e orchestra, per concludersi di colpo, con il solito effetto di salto nel vuoto.

Al mio sguardo interrogativo, Pierangelo rispose:

- E’ uno dei Carmina Burana, il più famoso. Si intitola “O Fortuna”

Con un’espressione vaga e distante, il padre riprese a suonare, mentre il mio amico mi raccontava la storia del brano che mi aveva tanto impressionato:

- “O Fortuna” è un testo poetico che appartiene a una collezione di poemi goliardici scritti nel dodicesimo secolo dai clerici vagantes, monaci studiosi e nomadi che, nel medioevo, peregrinavano tra i monasteri, lasciando qua e là importanti produzioni artistiche, che potevano essere carmi, copie di testi latini o miniature. I Carmina Burana erano chiaramente destinati ad essere cantati, ma la traccia musicale era scritta secondo una notazione diversa da quella in seguito divenuta universale e, quindi, di difficile e imprecisa interpretazione. Nei secoli seguenti, diversi compositori ne interpretarono e ricostruirono la musica.

Nel 1937, il compositore tedesco Carl Orff musicò alcuni brani dei Carmina Burana, realizzando un'opera omonima. “O Fortuna” apre e chiude l’opera ed è il brano più celebre della composizione. Nella versione di Orff è diventato molto popolare  e utilizzato in numerosi film e programmi televisivi, quando una situazione appare apocalittica o prepotentemente drammatica.

Il testo spiega come la fortuna, intesa come “ sorte”, da favorevole possa improvvisamente diventare avversa, fino ad annientare l’essere umano e come essa comandi su qualunque elemento. -

Confesso che rimasi allibita e un po’ contrariata dall’anatema contenuto nel testo, ma non potei fare a meno di ammirare l’abile traduzione in musica, di grande impatto sulla sensibilità dell’ascoltatore.

Era tardissimo e chiesi al mio amico di accompagnarmi a casa. Mentre eravamo in auto, lui ruppe il silenzio all’improvviso e mi rivelò che Il disco che avevamo ascoltato era stata l’ultima incisione a cui sua madre aveva partecipato come solista. Poi si era ammalata, proprio quando la sua carriera era decollata ed era molto richiesta da importanti compositori, soprattutto per le colonne sonore dei film.

Non feci caso alla singolare corrispondenza tra il significato del brano musicale e l’ingrato destino dell’artista, anche perché non sono mai stata superstiziosa. E, infatti, quando scrissi a mio padre la solita lettera mensile, mi limitai a riferirgli il titolo e l’autore della musica che tanto ci aveva incuriosito.

Arrivò la notte di San Silvestro. Mi divertii moltissimo, fu senza dubbio il migliore Capodanno della mia vita ed aspettavo con ansia il ritorno di papà dall’Africa, per il giorno seguente, con l’intenzione di passare insieme gli ultimi giorni di ferie invernali a passeggiare e a raccontarci tutti gli eventi degli ultimi mesi. Saremmo anche andati a comprare il cd dei Carmina Burana per ascoltarlo insieme.

Andai a dormire all’alba, ma fui presto svegliata dal telefono. Era mio padre, ma la linea era molto disturbata e mi disse frettolosamente che non sarebbe arrivato perché aveva perduto l’aereo e non c’erano posti liberi fino al cinque gennaio. Ci rimasi davvero male  e mi misi a piangere, con una reazione piuttosto infantile e ingiustificata. Non sapevo perché la prendevo così, neanche fosse stata l’ultima vacanza insieme!

Mi rimisi a letto e mi sentii male. Nonostante non fossi mai stata incline alla febbre, nemmeno durante l’influenza, passai due giornate con la temperatura altissima, in uno stato di semi incoscienza. Ogni tanto mi risvegliavo, soprattutto quando la televisione, che mia madre teneva costantemente accesa in cucina, trasmetteva il messaggio pubblicitario accompagnato da quella musica e finivo per avere degli incubi con colonna sonora incorporata.

Mi rimisi in piedi il giorno del ritorno di papà, ma l’uomo a cui aprii la porta gli somigliava solo vagamente e dimostrava almeno vent’anni in più. Era inequivocabilmente malato, ma l’ospedale a cui ci rivolgemmo non intendeva ricoverarlo e i medici ci rivelarono, a sua insaputa, che non c’era più nulla da fare. Convincemmo lui e chi veniva a trovarlo, che una malattia tropicale lo aveva seriamente danneggiato e che ci sarebbe voluto tempo e cure. Alimentavamo la sua illusione di guarigione, sperando si addormentasse in pace. Lui si rammaricava della sfortuna di essere arrivato così vicino all’obiettivo di andare in pensione avendo terminato di pagare la casa, quando questa malattia rischiava di fargli perdere il lavoro.

Un giorno, si presentò a noi l’amico musicofilo di papà, di ritorno dall’Africa. Alla fine della visita, lo accompagnai fuori, lui mi strinse un braccio, disse che aveva capito di averlo veduto per l’ultima volta e che mi era vicino, avendo anche lui, poco prima, subito un lutto come il mio. Suo fratello, il maestro di musica, lo aveva raggiunto in Africa per le ferie estive ed era morto per uno strano e stupido incidente.

Mi salutò, fece per andarsene, poi si rammentò di qualcosa, mise una mano in tasca ed estrasse un cd con la copertina su cui era raffigurato un coro di ragazzi e suo fratello, di spalle, che li dirigeva.

Disse: - Questo l’avevo portato per tuo padre, glielo avevo promesso. E’ la registrazione del saggio di fine anno, in cui mio fratello è stato premiato, insieme ai suoi studenti, per aver vinto un concorso musicale. E’ stata la sua ultima esibizione. Mi piacerebbe che lo tenessi tu!

Accettai di buon grado, mi congedai e, mentre rientravo in casa, guardai la copertina del disco, senza riuscire a credere ai miei occhi: c’era proprio scritto “Carmina Burana”. Girai la copertina e, sul retro, era riprodotta la traduzione del testo del brano principale: “O Fortuna”.

Alcune terribili frasi mi colpirono:

… Sorte possente e vana, cangiante ruota, maligna natura, vuota prosperità che sempre si dissolve,

ombrosa e velata sovrasti me pure; ora al gioco del tuo capriccio io offro la schiena nuda

Le sorti di salute e di successo ora mi sono avverse, dolori e privazioni sempre mi tormentano.

a caso ella abbatte il forte, piangete tutti con me.

Vi riconobbi il percorso accidentato che aveva caratterizzato la vita di mio padre  e la negazione, da parte del fato, di un riscatto finale. Mi mancavano solo le macabre coincidenze! Ero già troppo infelice per lasciare spazio anche alle superstizioni. Lo buttai in un angolo e non ci pensai più.

Non ho mai ascoltato quel cd, ormai quella musica era legata a troppi ricordi tristi e, nonostante subissi ancora il suo fascino perverso, la mia anima aveva bisogno di pace. Fortunatamente anche i pubblicitari ed i registi cinematografici, per un lungo periodo la considerarono troppo inflazionata e sparì nel nulla, fino a che mi dimenticai del tutto della sua esistenza.

In qualche modo, col tempo, la vita riprese il suo corso e la nascita di mia figlia Anna restituì anche a mia madre la gioia di vivere. Dieci anni passarono in un lampo. Avevo un lavoro impegnativo, ma la completa dedizione di mia madre alla nipote mi consentiva di cavarmela bene, senza che la bambina ne risentisse.

Ricordo che era l’ultimo sabato di luglio. Mancava una settimana all’inizio delle ferie estive ed io stavo preparando gli abiti da portare in vacanza. Anna giocava, correndo in giro per la casa, cantando insieme ai bambini di un programma televisivo.

Ad un certo punto non la sentii più e, temendo avesse combinato un guaio, corsi in cucina e vidi qualcosa di molto strano: era lì, in piedi, con la schiena appoggiata al mobile alto che ospitava la televisione. Aveva il visino rivolto all’insù, ascoltava con lo sguardo perso nel vuoto  e le guance rigate di lacrime silenziose. Prima che potessi parlare o fare un gesto, si girò verso di me e disse, con un tono tra il malinconico e l’estatico, assolutamente estraneo ai suoi soliti modi vivaci: “ Mamma! Quanto è bella, ma quanto è triste!”.

La udii anch’io e, per la prima volta, mi atterrì! LEI era tornata, nonostante i miei inconfessati tentativi di seppellirla nell’oblio e non mi piaceva per niente vederla aleggiare intorno all’essere che più amavo al mondo.

Mi vergognai immediatamente del mio scivolone nella superstizione, mi costrinsi a calmarmi e quando, finalmente, si spense il travolgente finale, Anna si riscosse, si asciugò i grandi occhi azzurri ereditati da mio padre e cominciò a riempirmi di domande su quella musica ”piena di fate e di streghe”.

Le raccontai la favola di una musica antica, che esprimeva sia la grande voglia di vivere che il timore di essere allontanato dai propri affetti ed era stata composta talmente bene che si faceva capire anche da chi non conosceva la lingua in cui era cantata.

C’è poco da essere razionali, quando si tratta dei propri figli! Passai una settimana orrenda, torturando mia madre col telefono perché controllasse Anna ogni secondo. Quando era in casa con me, facevo sparire ogni oggetto potenzialmente pericoloso e le negavo persino le caramelle con forma sospetta per timore di un possibile soffocamento.

Finalmente, la sera del venerdì recuperai Anna da mia madre, la portai a gozzovigliare al fast food e tornammo a casa, assonnate e contente. Erano ufficialmente cominciate le ferie estive!

Aprii la porta di casa, pigiai l’interruttore, ma non accadde nulla. Buio completo. La casa era piccola e il quadro elettrico era a portata di mano. L’interruttore era stranamente sospeso a mezz’aria, ma ritornò docilmente al suo posto e la luce fu!

Per prudenza controllai tutte le prese elettriche della casa, ma era tutto in ordine.

Mentre Anna correva nella sua camera a cercare il pigiama ed io entravo nella mia per cambiarmi, il mio cervello registrò che, quando avevo azionato l’interruttore, si era sentito un suono ovattato, una sorta di “puff!”. Per pura, pedante, maniacale, prudenza, decisi di ripetere il controllo.

Tornai nel soggiorno/ingresso che costituiva anche l’unica via d’uscita di un appartamento le cui finestre affacciavano sul ripido versante di una collina e vidi la presa multipla che alimentava televisione e computer sprigionare fiamme altissime, che lambivano la fodera del divano e le tende. Strappai la spina dalla presa e trascinai il piccolo rogo sul terrazzino della cucina. Ancora pochi minuti e avremmo fatto la fine del topo.

L’alter ego superstizioso mi suggerì che l’avevo sconfitta, quella musica maledetta, era bastato tenerla d’occhio! La mia parte razionale concluse che l’interruttore del quadro era forse troppo vecchio e non reagiva più ai corti circuiti.

La tanto agognata vacanza non arrivò mai.

Mia madre aveva nascosto per molti giorni i sintomi dolorosi di una peritonite, per motivi che non ebbe mai più modo di spiegare.

Sono passati altri dieci anni e, di nuovo, vengo costretta a ricordare, a causa di un messaggio pubblicitario che inneggia ai benefici della Comunità Europea, grazie alla quale non ci sono più state guerre che ci abbiano coinvolti dopo il secondo conflitto mondiale.

Vi lascio immaginare quale sia la colonna sonora del lungo filmato…

Traete le vostre conclusioni, io so solo che il mio gatto nero si sta grattando!

Buon Halloween da Zampa

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