Viterbo CRONACA E così il 3 settembre scorso non ho voluto perdere l’occasione di tornare a Viterbo

 

Arturo Vittori, autore di Fiore del Cielo, e la sua famiglia

Le festività legate al settembre viterbese sono sempre un occasione per tornare alle origini.

Soprattutto per chi, come lo scrivente, ha scelto ormai da anni per sua seconda cittadina adottiva il ridente Colle falisco, ossia Montefiascone.

Certo, le distanze non sono poi così incolmabili, ma spesso, credetemi, non è facile riempirle, presi come si è da mille impegni, occupazioni e date da rispettare.

E così il 3 settembre scorso non ho voluto perdere l’occasione di tornare a Viterbo.

Troppi erano i richiami, le sirene e le sollecitazioni che mi suggerivano il “rimpatrio”: l’ultimo anno del passaggio di “Fiore del cielo”, ma soprattutto la storica sosta in via Marconi proprio sotto quel balcone della casa dove ancora abita mia madre ottantenne e dove da ragazzino mi affacciavo tantissime volte, soprattutto per curiosare durante la partenza degli autobus della società Garbini allora ubicati in piazza del Martiri d’Ungheria.

Quanti ricordi in pochi giorni! La cameretta dove dormivo, la scrivania un po’ datata dove ero solito fare i compiti ed assolvere i miei doveri di studente. Qualche libro, la grammatica inglese delle scuole medie (che sfoglio pigramente alla ricerca di qualche messaggio … giovanile ormai sbiadito) e poi le foto: quella con i compagni delle elementari.

Quanta distanza fra generazioni: tutti in riga, ben pettinati, fiocco bianco e colletto rigido, sguardi marziali e sopra tutti lo sguardo severo del nostro maestro Ricci Raoul. Nulla a che vedere con le foto ricordo di oggi con fanciulli e fanciulle dagli sguardi sbarazzini e dai vestitini o tute tutte o quasi rigorosamente firmate.

Allora era un impresa titanica avvicinare un’amichetta all’interno dell’edificio scolastico. La bidella Giacinta ed il bidello Alvaro, tanto per ricordarne alcuni, facevano buona guardia. Ma ancor più guardinga era la maestra, corpulenta e ben piazzata, che ti avrebbe preso per le orecchie e ti avrebbe spedito subito dal Direttore didattico, l’ancor più marziale e più severo Durazzi. Non so se siano da rimpiangere oppure no quei tempi. Laudatores temporis actis! Ma paragonati ad oggi, credo che i nostri progenitori abbiano fatto un ottimo lavoro, sia da un punto di vista culturale, che, soprattutto, educativo.

Poi la passeggiata (la cosiddetta vasca) lungo il Corso Italia e piazza delle Erbe, ritrovo di tanti giovani e meno giovani, come momento per adocchiare qualche bella donzella interessante o semplicemente per passeggiare parlando del più e del meno. Ho incontrato di nuovo vecchi amici, con i quali ho scambiato qualche chiacchiera ed abbiamo parlato, manco a dirlo, delle nostre birichinate giovanili. La visita a Santa Rosa, l’antico profumo del Monastero, lo sguardo austero e raccolto delle suore clarisse che al tuo passaggio vicino all’urna di Rosa, la Piccola Santa viterbese, ti distribuiscono il santino devozionale con la relativa preghiera debitamente impressa ed approvata.

Infine, la visita al Quartiere medievale, il Palazzo dei Papi e la Cattedrale di S. Lorenzo: il cuore di Viterbo, quella Viterbo dove ho sposato ed abitato per vent’anni prima di trasferirmi, quella Viterbo che da ragazzino e da giovane ho percorso infinite volte da studente delle scuole medie e del ginnasio, quella Viterbo che non finirà mai di stupirmi, di parlarmi e di sussurrarmi infiniti ricordi, vecchi e nuovi, passati e presenti. Trasudano storia quelle nere pietre e ancor più vivo appare ai miei occhi quel peperino, che la ruggine del tempo sembra non aver mai sfiorato, miracolo d’amore che velano gli occhi di una lacrima di commozione, mentre un sorriso sfiora appena le labbra al pensiero di un ricordo che affiora per un istante, per poi subito scomparire al richiamo di una voce, sveglia impietosa ti riporta alla cruda realtà.

Ecco, tutto questo è il sentimento, il ricordo, la nostalgia, che come patrimonio ciascun viterbese porta racchiuso nel suo cuore al ritorno verso quella patria o città adottiva che, pur tenendoli con se, sa non essere la mamma e che perciò come figlio adottivo ha nostalgia delle origini e vuole, perciò, bere alla fonte di quel seno che lo ha visto nascere e lo ha nutrito. Una poesia resa ancora più bella dallo sforzo sovrumano che i Facchini hanno compiuto la sera del 3 settembre percorrendo via Marconi e verso i quali non mi stancherò mai di dire GRAZIE, per quanto hanno saputo e sanno donarci ogni anno, per intercessione di S. Rosa, e per quanto ancora vorranno donarci.

Solo una piccola, timida postilla ed una proposta per il Presidente del Sodalizio Mecarini e per il Capo facchino Rossi: per migliorare percorsi e quantità di pubblico, c’è sempre tempo. Mai dire mai ad un nuovo probabile passaggio per via Marconi. Per esempio perché non compierlo nel primo anno della Nuova Macchina o alla fine come è stato per Fiore del Cielo? Una timida proposta per raffreddare gli animi ed affidarsi, al tempo stesso, al saggio consiglio ed alla protezione della nostra piccola Santa viterbese.

Giuseppe Bracchi

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