Viterbo CRONACA
COORDINAMENTO ART1 PROVINCIA VITERBO

 

Si potrebbe dire che non esiste solo un “nocciolo della discordia” ma si vuole lanciare un appello accorato per la difesa del suolo e degli ecosistemi dall’uso spropositato e indiscriminato di diserbanti, e fitofarmaci nelle colture, nel mantenimento degli impianti fotovoltaici a terra che provocano inquinamento delle acque, eutrofizzazione dei bacini lacustri e moria delle specie animali.

Solo che in questa fase la cultura della nocciola è diventata un affare di speculazione internazionale, mentre la coltivazione del nocciolo è una delle eccellenze dell’agricoltura italiana: una coltura di certo meno celebre e apprezzata rispetto a quelli che sono dei veri e propri simboli del made in Italy, come il vino e l’olio.

La questione è un’altra. È quella di una multinazionale che deve diversificare le fonti di approvvigionamento di materia prima, e poi come l’approvvigionamento all’estero diventa insicuro, deve assicurarsi “in casa” la quantità necessarie al mantenimento delle sue produzioni. Ora per la Ferrero, alcuni paesi da dove era solita importare, non sono più sicuri come la Georgia, e non gli resta che espandere il coltivo in Italia: deve aggiungere altri 20.000 ettari ai già 70.000 esistenti. Il problema è la modalità della coltivazione e i conseguenti impatti sull’ambiente e soprattutto sulle falde acquifere e ancora peggio nei bacini lacustri e fluviali.

Questo era il problema che si è sviscerato ad Orvieto durante la conferenza sui “noccioli del problema”. “Non è tanto il nocciolo come pianta a preoccupare gli agricoltori ed i residenti urbani, quanto gli impatti che queste monocolture possono avere sulla salute delle persone e dell’ambiente che le ospita, del resto la pianta di nocciolo ha una grande utilità nel mantenimento della biodiversità, anche in esemplari singoli nei giardini.

Da quella conferenza è partita una amplia riflessione, sia sull’impatto della monocultura sulla qualità delle acque in quanto la quantità di pesticidi che verrebbe utilizzata sarebbe letale sia per il lago che per il fiume Marta e per il littorale di Tarquinia, tanto che in questo mese di aprile, una serie di prese di posizione si sono manifestate contro le conseguenze evidenti che si produrrebbero per un possibile aumento degli impianti e delle superfici loro destinati qui nel viterbese: cominciando da una presa di posizione del Sindaco di Bolsena che ne ha vietato la monocultura, e di altri sei Sindaci che si sono associati nella difesa del bacino del Lago. Anche il Vescovo Fumagalli è sceso in campo, forte dell’enciclica di Papa Francesco Laudato Si, e più di quindici associazioni hanno manifestato la loro solidarietà con una lunga lettera pubblicata giorni fa.

Nel frattempo, è sorta una minaccia di querela lanciata dal Presidente della Comunità montana dei Cimini, Eugenio Stelliferi, contro chi oserebbe attaccare la nocciolicoltura. “Perché il territorio del lago di Vico e di tutti i monti Cimini è diventato un vero e proprio esempio a livello internazionale per via delle nostre colture di nocciole. Non lo diciamo noi: lo dicono i dati di salubrità dell’acqua rilevati dall’Arpa e dalla Asl, e lo dicono gli esperti dell’Università della Tuscia, che da anni ci sono vicini e studiano gli effetti della nocciolicoltura”.

Posizione difficile da sostenere, dopo l’analisi approfondita delle acque del Lago di Vico presentata in Prefettura nel mese di maggio dell’anno scorso dall’Associazione medici per l’ambiente- Isde (International society of doctors for the environment) che indicava in sintesi che la problematica del degrado di questo importante ecosistema e bacino idrico, è legata principalmente all’uso ultradecennale e massiccio di fertilizzanti e fitofarmaci chimici nelle vaste aree coltivate a noccioleti in prossimità del lago che ha favorito le intense fioriture di alghe rosse nelle sue acque.

In oltre diceva, lo studio, “questi elementi tossici, sono presenti in una concentrazione così elevata nei sedimenti lacustri che sono diventati motivo di preoccupazione ambientale e sanitaria per il rischio derivante dalla loro possibile mobilizzazione e quindi rilascio nelle acque del lago rendendo le acque inadatte ad uso umano”. Questo è il danno prodotto dalla nocciolicoltura, la sola maniera di mettere in valore la Riserva, sarebbe di riconvertire le piantagioni a sistemi di coltivazione con tecniche biologiche.

Ed è proprio dall’esperienza prodotta dalla coricoltura dei Monti Cimini che si comprende cosa succederebbe nel Lago di Bolsena se sulle sue falde si moltiplicassero gli ettari destinati ad impianti di monoculture di nocciole, cosa che certamente succederebbe se i Sindaci del Bacino e le Associazioni dei cittadini, visto che il “Progetto Nocciola” della Ferrero “sollecita i produttori che operano in territori a rischio abbandono o utilizzati per colture a bassa redditività” per coprire i “500 nuovi ettari pianificati nella Tuscia entro il 2022” dalla multinazionale.

Mi è venuto in mente il racconto di un anziano signore novantenne nativo del bacino del Lago di Bolsena, che ricordava che da bambino “l’acqua del lago era da bere” e i pescatori, per mantenere i pesci, “l’acqua entrava nelle cantine dove i pesci erano mantenuti vivi e venduti direttamente al pubblico”. Continuava che con “lo sviluppo” che venne dopo la guerra, “è stata incoraggiata l’agricoltura che ha inquinato il lago con fertilizzanti e prodotti chimici.” Furono le Associazioni dei cittadini che difesero le acque del lago da progetti disastrosi e a spingere per la costruzione del collettore circumlacuale COBALB, che vari articoli pubblicati hanno ricordato la sua poca manutenzione data dalle autorità competenti. Ed è l’Associazione Lago di Bolsena che mantiene un monitoraggio costante delle sue acque e che ha già dato l’allarme per il loro l’avanzato grado di eutrofizzazione.

Noi vogliamo quindi concludere che in questa fase si deve entrare nell’ottica che questo territorio sarà difeso e mantenuto biologicamente sano solo se le Associazioni di volontariato degli abitanti non si manterranno in allerta e se con loro non si organizzerà un “Piano di gestione di Bacino” attraverso il Contratto del Lago di Bolsena cofirmato dai Sindaci del Bacino, del Fiume Marta e della Costa tirrenica di Tarquinia all’inizio de dicembre scorso che sancisce l’inizio di un percorso che associazioni, aziende, cittadini ed enti pubblici hanno deciso di intraprendere per proteggere il patrimonio idrico e naturalistico del nostro territorio.

 

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