Viterbo IL RACCONTO
Agostino G. Pasquali 

IL RACCONTO: Schüttelbrot a Natale 1943 – Seconda serie. Prima puntata  Seconda puntata - Terza puntata - Quarta puntata - Quinta puntata - Sesta puntata - Settima puntata - Ottava puntata

Die Handliniendeuterin (La chiromante) 

     La casa di Erich era una di quelle che avevo visto passando per la via che attraversava Neunhäuser; la riconobbi subito perché era la più nuova, oppure era stata restaurata di recente e si distingueva dalle altre per la verniciatura immacolata. Ma quello che allora non avevo notato era la targa che stava a destra del portoncino d’ingresso, eppure non era una semplice targhetta ma una evidente ed elegante insegna ovale di ottone lucido. C’era scritto:

Die Handliniendeuterin NINA

kann die Zukunft vorhersagen

und dir helfen

 che significava: La chiromante Nina ha il potere di predire il futuro e può aiutarti.

     “Nina? Wer ist Nina?” (Nina? Chi è Nina?) domandai in tedesco dimenticando che Erich mi aveva chiesto di parlare in italiano perché gli faceva piacere. Lui mi guardò con l’aria furba di chi ha una sorpresa da rivelare e rispose quindi in italo-romanesco con qualche traccia di tedesco:

     “Ma è meine moje, ‘a romana! Essa ha molta “Faszination” e poteri di maghia. Io non sapere se tu cretere ciò, ma lettura da’a mano è cosa seria per noi tedeschi. Molti cretere e pacare soldi per sapere Zukunft, il futuro. Anche lui, il Fürher, conzultare indofini, pero, wie Schade! (Che peccato!) per mia Cermania: li su’ indofini non buoni come Nina!”

     Mi fece entrare in casa e chiamò la moglie evidentemente orgoglioso di presentarmela. La vidi: bella, era veramente bella, vistosamente bella, direi ammaliante.

     Non era alta ma aveva un fisico giovanile con le curve giuste al posto giusto. Il vestito alquanto zingaresco consisteva in un corpetto di velluto nero ricamato di rosso e d’oro che metteva in evidenza seni non grandi ma sodi e sostenuti, e una gonna nera, lunga appena sotto il ginocchio, che stringeva la vita sottile e lasciava vedere gambe snelle e nervose. Una nuvola di capelli nerissimi incorniciava un viso ovale, fiero, avvalorato dal trucco forte ma non sgradevole, e ornato da orecchini dorati, grandi, a forma di cerchio con all’interno i simboli dello zodiaco. Tutto l’abbigliamento era evidentemente studiato per la sua professione magica, per la quale erano infine determinanti gli occhi splendenti che, fissando quelli dell’interlocutore, sembravano penetrarlo, leggergli nell’anima e soggiogarlo.

     Questo aspetto molto attraente mi fece capire subito perché Erich se ne era perdutamente innamorato e perché lei aveva successo come chiromante. Tuttavia non mi riuscì simpatica e sentii un istintivo impulso di diffidenza. Ecco, quello che mi parve le mancasse era la “Faszination” che Erich le aveva attribuito. Non l’aveva perché il fascino è una dote che viene dall’animo non dal corpo. Lei mostrava chiaramente la sua fisicità incantevole, ma, almeno sul momento, non destò in me alcuna simpatia. Era sicuramente una incantatrice, ma incantare non vuol dire affascinare.

     Nina mi abbracciò calorosamente e si disse felicissima di conoscere un compatriota che, se non proprio romano come lei, era almeno laziale. Però, dopo questa formale dimostrazione di calore, si comportò con me con una certa freddezza. Forse aveva intuito la mia diffidenza. Era una maga, no?

*     *     *

     Mi era stata assegnata una bella camera nel piano superiore mansardato e lì potevo riposare o leggere: avevo a disposizione un paio di romanzi italiani di Liala che Nina mi aveva prestato. Uscivo dalla mia camera solo per passeggiare e per i pasti in famiglia che Erich preparava personalmente secondo gli orari e gli usi locali: Frühstück (abbondante prima colazione alla tedesca) e Abendessen (pasto pomeridiano alle 16-17). Nina non si occupava né della casa né della cucina perché si dedicava ai clienti o se ne stava comunque in attesa di un eventuale arrivo.

     Per le mie lunghe passeggiate prediligevo i boschi, dove andavo volentieri curando per prudenza di non farmi vedere e comunque evitando contatti con la gente. Il terzo giorno della mia permanenza, Erich mi accompagnò a fare una visita nei dintorni e mi mostrò un punto dove il torrente rallentava la corsa e si distendeva a formare un laghetto. Disse che lì c’erano delle bellissime trote e che, se volevo, mi avrebbe prestato una canna per pescarle. Accettai e il giorno dopo vi tornai, ma non presi niente. La pesca con la canna è un’attività per pigri che restano fermi per ore. A me piace muovermi e preferisco realizzare qualcosa di concreto o almeno camminare.

     Intanto la guerra stava finendo anche più rapidamente del previsto. Nei giorni che seguirono si seppe che Hitler si era suicidato proprio il giorno della mia fuga da Potsdam. Di conseguenza le armate tedesche si stavano arrendendo progressivamente su tutti fronti: in otto giorni, fra il 1° e l’8 maggio, la resa fu completa.

     La situazione generale era di grande incertezza perché la Germania praticamente non esisteva più e il potere era nelle mani degli eserciti vincitori: a ovest di Berlino c’erano gli alleati, in sostanza gli americani, i quali si comportavano come benevoli occupanti; invece i russi avevano conquistato la zona orientale e anche una parte di Berlino, dove si erano insediati da padroni assoluti e lo facevano capire chiaramente.

     Ho detto che la guerra era finita, ma c’era una grande incertezza, e ovviamente ciò non significava affatto pacificazione. Per questo io continuavo a comportarmi con riservatezza e cautela, doti che probabilmente non erano più necessarie ma costituivano la prudenza dell’estraneo fra gente estranea. Infatti Erich e Nina erano miei amici, ma la gente del posto, quando raramente la incontravo, dimostrava per me diffidenza e malevolenza: ero pur sempre uno di quelli che l’8 settembre di due anni prima avevano tradito l’alleato tedesco.

     Erano passati così dieci giorni dal mio arrivo a Neunhäuser.

     Quella vita di tutto riposo mi aveva fatto bene, stavo meglio fisicamente ed ero ritemprato nel morale, e dunque potevo riprendere il mio viaggio di ritorno verso l’Italia. La mattina dell’11 maggio, a colazione, comunicai perciò a Erich questa mia decisione, lo ringraziai e gli pagai la pensione fino al giorno dopo che sarebbe stato quello della partenza.

     Nel pomeriggio me ne stavo in camera a preparare le mie cose per il viaggio, poca roba: qualche indumento intimo e qualcosa da mangiare. Entrò Nina senza bussare, mi si avvicinò con un’aria strana, mi prese le mani e disse che voleva leggere il mio futuro e propiziarmi il viaggio. La lasciai fare senza alcuna reazione: era come se lei avesse annullato la mia volontà. Accarezzò prima i dorsi delle mani, poi le palme, quindi seguì con l’unghia dell’indice destro i solchi palmari come se li disegnasse, prima nella mano sinistra e poi nella destra. Mentre faceva queste operazioni commentava in un linguaggio fantascientifico venato di note romanesche:

     “Questa è la linea della vita, questa della testa e questa del cuore. Le altre non c’enteresseno. Vedo che sei una perzona ‘mportante, fortunata, che se la cava sempre. Sei pure uno scorpione che nell’interpretazione cabbalistica significa forte, deciso, disciplinato e amante de la famiglia. Tornerai a casa e vivrai a lungo. A te li guai, che ce n’hai avuti e ce n’avrai tanti, non t’hanno fatto e non te faranno mai male. Tu poi arivà a cent’anni!”

     Pensai che la prima parte della lettura della mano era stata facile da elaborare perché lei conosceva la mia storia e tutte le peripezie che avevo affrontato uscendone bene e, visto che da giorni vivevo in quella casa, conosceva anche la mia indole. Ma la previsione del futuro? Lei prevedeva tanti guai. Giusto! E chi non ne avrebbe avuti nella mia situazione? Riuscire a superare i guai e vivere a lungo, magari fino a cent’anni? Chi avrebbe potuto smentirla in quel momento?

     Ora, mentre scrivo, sono alla fine della mia vita, che è stata lunga, non proprio centenaria ma quasi, e potrei dire che Nina aveva previsto bene. Sarà stato un caso o una furba scommessa? Penso vera la seconda ipotesi perché ho sempre pensato che coloro che si spacciano per maghi non abbiano alcun potere ma fingano di averlo, però ho costatato che sono molto intelligenti, di un’intelligenza pratica e scaltra, e sono comunque buoni conoscitori della psicologia. Nina era sicuramente così. 

     Ci fu una breve pausa, durante la quale Nina mi fissò negli occhi con i suoi occhi scuri e penetranti, le pupille fisse e dilatate come un gatto in agguato. Poi cambiò espressione. Abbassò la testa e addolcì lo sguardo divenendo triste e pensosa, quasi titubante. Parlò sottovoce come se nessuno dovesse sentire. Ma non c’era nessuno in casa perché a quell’ora Erich stava, come tutti i giorni, allo Zum weißen Hirsch a bere birra e giocare a Skat con gli amici, e dunque quel sussurrare doveva essere un suo metodo per stregarmi. Mi riprese le mani e le strinse sussurrando:

     “Vedo, dal confronto delle tue mani, che sei una persona buona, che aiuta ‘l prossimo. Tu ora…”

     Una breve pausa durante la quale il suo sguardo cambiò, socchiuse gli occhi riducendoli a una fessura dalla quale lanciava un segnale magnetico, e io ebbi la sensazione che veramente stesse facendomi un incantesimo o tentasse di ipnotizzarmi.

   “… tu ora devi aiutà me. Me dovresti portà con te in Italia. Me porti?”

     Restai muto senza saper dire una parola. E lei continuò pressante per spiegare e convincere:

     “Tu ce lo sai come ho conosciuto Erich a Roma e poi l’ho sposato. Era una ragazza ingenua e quanno vidi ‘sto tedesco in divisa che pareva un generale, me ce ‘ncantai. Non pensai de dové cambia città, nazzione, de venì a vive in questo postarello, caruccio sì, ma senza vita. A me me manca la città co’ i cinema, i balli, le feste. Me manca Roma. Almeno m’avesse portata a Berlino… Va bè che con la guerra… non te la raccomando. Comunque lo sbaglio mio fu che non pensai che esso per me era vecchio. Pe’ i primi tempi, manco male. Ma poi, adesso, qui non ce resisto più… e allora voglio venì con te. Non te darò fastidio, anzi… sarò gentile e carina… e, hai visto mai, ce potremmo mette’ insieme. Me dirai che c’hai moje e che pensi che essa t’aspetta. Ma sei sicuro? Famme vedé le carte.”

     Uscì un attimo e tornò con un mazzo di carte, grandi tarocchi antichi, ne estrasse quattro a caso: gli amanti, l’eremita, la stella e la torre. Sarà stato veramente un caso?

     Mi guardò con aria desolata e divinò:

     “Ecco qui, lo vedi tu stesso: essa c’ha un altro, t’ha scordato e tu devi trovà la stella che ti giuda che potrebbe essere io. Se no farai l’eremita. Ma non te la pijà. Non te devi preoccupà. Le carte a volte sbagliano. Solo la lettura de la mano dice ‘l vero e per te dice bene.”

     Poi mi sorrise dolcemente, mi accarezzò e fece una mossetta chiaramente provocante. Una breve pausa, quindi, alzando la voce e assumendo un aspetto autoritario:

     “COMUNQUE SIA …PORTAMI CON TE!”

     La conclusione non era una preghiera, era un ordine. E a me gli ordini, se non vengono da un’autorità legittimata a darli, fanno nascere dubbi e spirito di contraddizione. Quell’ordine ruppe l’incantesimo che Nina era riuscita a creare fin quasi a soggiogarmi. Mi sentii libero di decidere e rifiutare. Ma, poiché non sono mai impulsivo, risposi che ci dovevo pensare e le feci credere di essere disponibile a valutare la richiesta.

     A dire la verità avevo già deciso per il no perché tre motivi mi inducevano a rifiutare: il rispetto per Erich, cui non potevo fare un torto così grande da sottrargli la moglie; quell’atteggiamento di lei, provocante, da puttana che si offre ma vuole essere ben pagata; la lettura dei tarocchi, cui non ho mai creduto, fatta in modo molto semplicistico e con uno scopo preciso.

     In qualche modo dovevo liberarmi senza provocare crisi, dovevo evitare di caricarmi di una responsabilità pericolosa e soprattutto non dovevo tradire Erich con cui avevo un grosso debito di gratitudine.

*     *     *

     La mattina successiva, molto presto, mentre Nina ed Erich dormivano, scesi senza far rumore, presi la bicicletta e mi avviai verso ovest.

     Avevo lasciato in camera una lettera per ringraziare e scusarmi per essere partito senza salutare.

     Ancora oggi mi chiedo se ho agito bene quando ho negato l’aiuto chiesto da Nina, ma penso di sì. Spero comunque che lei abbia potuto risolvere il suo problema, ma non in quel pessimo modo, tradendo e abbandonando colui al quale era legata dal matrimonio, un vincolo religioso e legale contratto forse con un po’ di incoscienza ma in piena libertà.

     Tornato in Italia ho scritto due volte a Erich, ma non ho avuto risposta. Ero naturalmente curioso di sapere che cosa fosse successo dopo la mia partenza; ma forse è meglio così, che io non abbia saputo più nulla. Di guai e problemi quel periodo in Germania me ne ha dati anche troppi, senza doverci aggiungere anche qualche rimorso.

 

Continua domenica prossima

 

 

 

 

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