Viterbo IL RACCONTO
Agostino G. Pasquali

Seconda parte (finale)

     Il seguito andò proprio come aveva previsto la signora Cecilia: la natura si dimostrò gattofila e aiutò il gatto che così, nel giro di pochi giorni, guarì e il suo muso riprese un aspetto normale.

Gli restò però la lingua sempre un po’ pendente all’esterno della bocca, come in certi animali di ‘peluche’ che si trovano nei negozi di giocattoli e, chissà perché, vengono riprodotti con la lingua in fuori. Per questo motivo fu battezzato ‘Linguetta’, nome femminile anche se era un maschio, come si vide bene appena si fu rimesso abbastanza in forze e cominciò a esplorare la casa esibendo due notevoli attributi maschili sotto la coda portata alta a forma di punto interrogativo.

     Linguetta si adattò subito alla sua nuova casa e vi prese domicilio stabile. Forse aveva già vissuto in una dimora simile, ma questa gli piaceva di più. Però non si dimostrò affatto un ‘tenerone’ come si pensa che debba essere un micio domestico; manifestò una dignitosa riservatezza accettando di mala voglia le carezze, una o due al massimo, e allontanandosi poi chiaramente infastidito. Dimostrò invece di avere un temperamento da vero felino dando la caccia a qualsiasi animale che camminasse, strisciasse o volasse, sia in casa sia fuori.

     Con il passare dei mesi, arrivata l’estate, erano infatti del tutto sparite le lucertole che prima infestavano il giardino, né si videro più i gechi che avevano il nido in qualche nicchia esterna ma di tanto in tanto entravano in casa provocando spettacolari dimostrazioni di paura e ribrezzo da parte di Cecilia. La quale quindi cominciò ad accettare volentieri la presenza del gatto, che per lei era utile almeno per tenere lontani i gechi.

     Comunque Linguetta stava poco in casa e amava il giardino dove dormiva spesso restando però sempre all’erta, pronto a catturare e uccidere lucertole, gechi, topi, uccelli e anche grossi insetti. Non mangiava le sue prede, ma le portava in casa come un regalo e, se la porta era chiusa, le deponeva sullo zerbino davanti all’uscio.

     Gentile lettore, mi permette un’osservazione su questo strano comportamento che è frequente nei gatti?

     Certamente lei sa già che I gatti agiscono per istinto. Sono per natura cacciatori ed esercitando quella predazione, apparentemente inutile, si tengono in esercizio. Non uccidono per divertimento e quindi il loro comportamento non è riprovevole: la natura degli animali non conosce l’etica. Questo lodevole sentimento ce l’hanno solo gli esseri umani, ma non sempre, anzi molto raramente. Chissà se i cacciatori umani, che invece uccidono di solito per divertimento (loro dicono: per sport), hanno qualche scrupolo?

     Una volta avvenne che i vicini del piano terra, i quali avevano in casa un canarino del quale erano stufi di occuparsi, misero la gabbietta in giardino e subdolamente lasciarono aperto lo sportellino. Linguetta non era uno sciocco come Gatto Silvestro, né il canarino era perversamente furbo come Titti; e non c’erano lì né la vecchietta amica di Titti né il bulldog nemico di Silvestro. Perciò appena l’uccellino volò fuori felice di essere libero, il gatto lo catturò e… Ma non starò a descrivere quello che successe, il che è facilmente immaginabile, né riferirò la reazione dei vicini perché non ci fu proprio alcuna reazione.

     Un’altra volta catturò e uccise un rettile, un rispettabile serpente lungo quasi un metro, quindi lo portò in casa e lo depose in bella vista proprio in mezzo all’atrio. E così provocò una crisi di nervi della signora Cecilia che, appena lo vide, prima si mise a urlare e poi quasi svenne.

     Superata la crisi, Cecilia avanzò di nuovo la richiesta di allontanare il gatto e questa volta non ci furono opposizioni. Marina, volubile come sono spesso i giovani, si era nel frattempo disamorata di Linguetta. Così pure Giorgio era diventato indifferente perché, dopo il primo impulso di pietà e dopo aver visto il gatto in buona salute, ma avendo costatato la sua scarsa affettività, aveva preso a considerarlo una presenza superflua, come certi regali di scarso valore che si ricevono a Natale e si tengono solo per riciclarli alla prima occasione.

     Riciclare il gatto, questo si doveva fare!

     In attesa di trovare una adeguata sistemazione per Linguetta, i Quadrone provarono a tenerlo fuori di casa sperando che se ne andasse spontaneamente così come era arrivato, ma quello non se ne andava e reclamava con insistenti miagolii di rientrare. Tennero duro e il gatto si rassegnò a stare in giardino.

     Per liberarsene lo offrirono ad amici e parenti, ma nessuno voleva un maschio non sterilizzato e pure poco disposto a dare dimostrazioni di affetto.    

     Alla fine il gatto capì di non essere più gradito, perché i gatti queste cose le sentono, e decise di girovagare nei dintorni tornando a casa solo verso sera per reclamare la sua dose giornaliera di crocchette con spezzatino di carne in scatola. Non si sapeva dove andasse. Chissà? Forse tornava alla vecchia casa. E che cosa faceva in quel suo vagabondare? Sicuramente, secondo la sua natura di maschio dominante, si azzuffava con altri animali perché quando tornava aveva il pelo sporco, disordinato e qualche ferita. Comunque si curava da sé e si rimetteva in ordine leccandosi meticolosamente, dopodiché reclamava almeno il suo pasto. E infatti soltanto questo gli davano ora i Quadrone.

     Un giorno non tornò. A casa Quadrone si presentò invece un signore che abitava un paio di isolati più avanti. Informò che un gatto era entrato nel suo giardino e si era azzuffato con il suo cane di razza Husky, una razza notoriamente molto aggressiva nei confronti dei gatti (*).

     Alla signora Cecilia spiegò, con parole affrettate e molto confuse, che lui, il vicino, era riuscito a fermare il cane e a salvare il gatto appena in tempo prima che lui, il cane, sbranasse lui, il gatto, ma comunque lui, il gatto, era ridotto male. Riteneva che lui, ancora il gatto, fosse proprio quello dei Quadrone, quindi pregava di venire a riprenderlo.

     Giorgio stava al lavoro e Marina era andata a casa di un’amica. Toccò a Cecilia andare a casa del vicino e costatare che la disgraziata vittima del cane era proprio Linguetta. Era di nuovo in pessime condizioni: sanguinava in diverse parti del corpo, si muoveva poco trascinandosi con difficoltà, ma era vivo e si lamentava. Lo caricò in auto e lo portò alla clinica veterinaria.

     Il veterinario lo esaminò e scosse la testa in modo scoraggiante, sentenziando:

     “Ha la colonna vertebrale rotta. Dovrei fare una radiografia per accertare se con un intervento chirurgico si può immobilizzare la colonna e sperare in una guarigione. C’è comunque un’altissima probabilità che resti paralizzato… uhm… se no… se no…”

     “Se no?” chiese Cecilia con una strana aria che poteva sembrare speranzosa in un’alternativa che non le dispiaceva affatto.

     “… se no, gli faccio un paio di iniezioni e… lo sopprimiamo. Questa può essere una scelta sgradevole, ma è pietosa e in definitiva ragionevole. Un gatto non è un essere umano che può adattarsi alla sedia a rotelle e trovare ottime ragioni per vivere così. Signora, ascolti! Contro il mio interesse che sarebbe quello di operare, ma nel suo interesse… per evitare pene al gatto e anche a lei stessa, nonché evitare una spesa non trascurabile, le consiglio la seconda soluzione. Ripeto: contro il mio interesse. Ma è lei che deve decidere.”

                                                                       *     *     *

   Cecilia tornò a casa dopo un paio d’ore portando un sacchetto di plastica biodegradabile. Scavò una buca in giardino e seppellì il sacchetto.

     La sera riferì il fatto al marito e alla figlia, ma senza esplicitare il dilemma e i motivi della scelta che aveva dovuto compiere. Nessuno fece commenti perché quando un problema si risolve da sé, ovvero lo risolve un altro sia pure in modo poco gradevole, è meglio accettare il fatto compiuto, non criticare… anzi tirare un sospiro di sollievo (però senza farlo vedere).

     Da quel giorno nella famiglia Quadrone nessuno ha parlato più di tenere in casa un gatto o un cane. Nemmeno Giorgio che continua a vedere in TV i ‘serial’ con animali che sono protagonisti di imprese mirabolanti, che affrontano pericolose avventure e di solito non si fanno male, ma se si fanno male guariscono sempre miracolosamente e subito. Infatti ora sa, per esperienza diretta, che queste mirabilia sono più che altro opere di fantasia.

     E poi se la storia televisiva gli piace, la segue fino alla fine, se no cambia programma. Il che non è possibile con gli animali in carne e ossa.

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(*) A proposito dell’aggressività degli Husky nei confronti dei gatti, si legga il racconto ‘Shonie ed io’ reperibile al seguente indirizzo http://www.lacitta.eu/images/stories/pdf/Shonie-ed-io.pdf