Viterbo STORIA VISSUTA
Maria Antonietta Ellebori

Frittelle di broccoli

Riassunto della prima parte, per leggerla completamente clicca qui

Al ritorno dallo sfollamento Zoe e la famiglia hanno trovato la loro casa ridotta in macerie ed ora abitano in una casa di periferia, in un rione che raccoglie molte delle famiglie sfortunate come la sua, ma che vogliono riappropriarsi della loro credibilità collaborando ed appoggiandosi l’una all’altra per alienare quel pesante senso di solitudine portato dagli eventi bellici.

2ª Parte – La vigilia.

Sistemati nella cristalliera della credenza i liquori “fatti in casa” e conservati i biscottini in una federetta (la plastica non era ancora diffusa in Italia) in un posto segreto, nascosto alla tentazione golosa di piccoli e grandi, si passava al cenone della vigilia del Natale.

Nel 1948 per noi cristiani l’astinenza dalle carni era contemplata nel giorno delle Ceneri, in tutti venerdì dell’anno e nella Vigilia di Natale, ma non era del tutto un sacrificio, visto che la carne era sulla tavola soltanto di domenica e, durante il periodo bellico, proprio mai; pertanto le persone erano abituate ad un tipo di quotidianità culinaria spartano e sicuramente anche più … salutare.

Quante persone …. obese vi capitava di incrociare per la strada?

Il pesce povero, ma fresco, che con 50 lire si poteva reperibile sui banchi del monumentale mercato cittadino, dettava la abituale cena familiare, alternata alle zuppe di legumi o di verdure o di scorfani pescati dai “puzzolani”, come erano chiamati i pescatori originari di Pozzuoli (Na).

Nell’ultima settimana che precedeva il Natale, le massaie mettevano in ammollo il “Gaspare”, una qualità di baccalà molto ricercato: bisognava di stare nell’acqua più giorni, ma alla fine il sapore ne compensava la commenda; era alla portata di tutti, non come ora che costa più della carne, dopo che alcuni ne hanno considerato i benefici nutritivi.

Nella prime ore notturne del 23 dicembre Zoe rimaneva sveglia nel letto: aspettava la pastorella: un crocchio di uomini che si trascinavano lungo i rioni suonando le melodie natalizie “nostrane”, con la chitarra, il flauto, il piffero, il mandolino e la fisarmonica.

Appena percepiva l’avvicinarsi della melodia lei correva a svegliare i dormienti, e tutti, infilati i cappotti sopra le camicie da notte e le ciabatte sui piedi nudi scendevano in strada; se nel gruppo risaltava anche il suono struggente di un violino, la commozione appannava gli occhi di lacrime.

Intanto la madre, velocemente aveva preparato dei punch versando nei bicchieri l’acqua bollente su un dito di mandarino con l’aggiunta di una scorsa di limone; il vassoio fumante era accolto da un “Oh! .. Oh!” dei musicanti infreddoliti, che avevano interrotto le melodie, per ristorare le gole stranite.

Chissà come, in quei momenti si era presi dalla voglia di essere migliori, si facevano tanti buoni propositi, ed il tutto decideva un’atmosfera insolita, tanto da lasciarne l’impronta nel ricordo.

La madre distoglieva la piccola dalle meditazioni e le ricordava che dovevano alzarsi presto per l’ultimo giorno della novena che si sarebbe conclusa la mattina seguente; intanto, prima di coricarsi, andava a rinnovare con acqua fresca l’ammollo al baccalà.

Zoe ricorda ancora l’emozione di quell’ultima celebrazione, quando tutte le pastorelle concludevano la peregrinatio irrompendo nella chiesa e l’ambiente si gonfiava di melodie struggenti, che volevano ricordare, ancora una volta, la nascita del Bambinello.

Ma non era soltanto questo!

Era come se liberassero gli animi dai disagi frustranti vissuti sulla pelle soltanto qualche anno prima, per riappropriarsi di una serena quotidianità, anche se, in parte, gravata dalle restrizioni del Paese che si stava risollevando, ma finalmente … libero.

Mentre il vecchio parroco si dilungava a puntualizzare gli imminenti appuntamenti liturgici, la madre di Zoe fremeva: il pensiero andava al contadino di un orto nelle vicinanze di casa, che, come già d’accordo, aveva tirato il collo ad una gallina per il pranzo del Santo Natale.

Le due quasi correvano, e la donna si scusava con l’uomo, infastidito dal ritardo poiché aveva altre incombenze da sistemare, soprattutto in quel giorno.

In casa la donna appendeva la pennuta al rubinetto del lavandino e dopo averne inciso il collo, lasciava scolare il sangue dalle carni per qualche ora; sbollentava le penne e le toglieva una ad una, mentre l’aria si gonfiava di un puzzo nauseabondo, mentre, con un fazzoletto sul naso a filtrare l’aria, la figlioletta assisteva alla pratica e non perdeva una mossa.

La madre passava la gallina sulla fiamma per togliere la peluria rimasta, poi fatto un piccolo buco nella cloaca, infilava la mano a togliere tutte le interiora, che provvedeva a sistemare. Praticamente avrebbe utilizzato tutto, poiché gettava via soltanto la sacchetta del fiele: “Vedi – diceva- bisogna stare attenti a non farla rompere, altrimenti tutto diventa amaro e la gallina è immangiabile!”

Lasciava correre l’acqua sui fegatini, i gricili ed i budellucci aperti, sciacquava con aceto e fermava con una prima cottura; toglieva il collo e le zampe al ruspante, e sistemava momentaneamente il tutto nell’angolo più freddo della casa (il frigorifero era ancora un’utopia) negli appositi contenitori di coccio; poi apriva le finestre “a correntina” per disperdere gli odori … disagevoli.

Nel giorno della Vigilia il pranzo era deciso in una leggera minestra di patate, poiché alla sera c’era il … cenone, ossia gli spaghettini con le acciughe sottosale, le frittelle di broccoli ed il baccalà con il zibibbo, poi i mandarini e la frutta secca.

Si mangiava alle venti, così da essere per tempo alla liturgia di mezzanotte, quando Zoe ed i genitori lasciavano le sorelline che già dormivano alla custodia dei nonni, troppo anziani per sopportare la tramontana che tagliava il viso, la sola parte scoperta del corpo tutto incappottato per chi usciva.

Ogni volta entravano nella chiesa con gli occhi che lacrimavano per il gelo, ma la cosa era irrilevante, anche per la piccolina: girava lo sguardo alle persone, qualcuna le sorrideva, intenerita dalla presenza di una delle poche bambine presenti, così coraggiose dall’aver sfidato il freddo ed il sonno, e lei chinava il capo arrossendo intimidita.

Quando iniziava la liturgia, lei era presa interamente e si lasciava andare all’atmosfera magica del momento, introdotta dai canti che gonfiavano l’aria e gli animi di emozioni, forse oggi ritenute … obsolete.

continua

 

Spaghettini con le acciughe:

Versare l’olio (abbondante) nel tegame da sugo, aggiungere le alici diliscate e spinate (una a testa), uno spicchio d’aglio triturato ed una coda di peperoncino; lasciare sciogliere, aiutandosi con un cucchiaio di legno e sfumare con un cucchiaio di vino bianco; quando è evaporato aggiungere una manciata di pomodoretti (quelli appesi in mazzetti e conservati per l’inverno) spaccati a metà.

Controllare la cottura per non fare attaccare e prima di togliere dalla fiamma aggiungere una spruzzata di prezzemolo.

Versare sugli spaghettini cotti al dente e miscelare.

Baccalà con il zibibbo:

Scolare il baccalà precedentemente ammollato e tagliarlo in piccoli pezzi, lasciando le spine ed anche la pelle, ma ben raschiata da un coltello.

In una terrina di coccio versare l’olio, l’aglio ed il peperoncino piccante (poco) e far rosolare appena; aggiungere il pomodoro ( sarebbero meglio i pomodoretti) e lasciare amalgamare per dare il sapore unico al tutto; versare due bicchieri d’acqua e portare ad ebollizione; incorporare ad uno ad uno i pezzi di baccalà e lasciare restringere il sughetto; tre minuti prima di spegnere il fuoco aggiungere una manciata di zibibbo ed un leggera spolverata di prezzemolo.

Frittelle di broccoli:

Mondare in piccoli ciuffi un broccolo romanesco e lessarli al dente, salando l’acqua di bollitura.

Preparare una pastella con farina, acqua q.b., un uovo ed un pizzico di lievito in polvere per pizze.

Passare ogni ciuffo nell’impasto e friggere in abbondante olio bollente. Sgocciolare su un tovagliolo e servire caldo.

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