Viterbo CRONACA IN DEROGA

Il Sansone del Caravaggio (particolare)

Sansone che beve dalla mascella d’asino, l’iconografia, la Bibbia, il Concilio di Trento, Caravaggio a Napoli e Giacomo Cordelli a Viterbo.

Cari amici lettori, questa volta deroghiamo dal tema consueto della ricerca delle testimonianze della diffusione del culto di santa Rosa nel mondo, perché abbiamo trovato un tema che consideriamo curioso e interessante in cui confluisce una serie stranamente eterogenea di argomenti.

Si tratta di questo: pochi giorni fa Costantino D'Orazio ha tenuto una conferenza presso l’accogliente sala della biblioteca consorziale Anselmi per illustrare un suo libro che divulgava, fra l’altro, alcuni ritrovamenti importanti circa la tecnica di pittura del Caravaggio.

In particolare l’autore si è soffermato sul quadro che rappresenta le opere di misericordia conservato a Napoli presso il Pio Monte della Misericordia e dipinto fra la fine del 1606 e l’inizio del 1607.

Il quadro, famosissimo, è anche stato oggetto di infiniti commenti. Riportiamo, per curiosità, la stroncatura del famoso critico Bernard Berenson che scrisse, nel 1951: “Cosa dire di una composizione come Le Sette Opere di Misericordia dove ci vengono presentati i soli piedi di un cadavere portato a seppellire, una giovane isterica che offre il petto a un vecchio, alcune figure giorgionesche occupate in indecifrabili attività, e un uomo – c'è da supporre un medico – che guarda in controluce il contenuto di un bicchiere?”.

In realtà le opere di misericordia, che di solito vengono raffigurate una per una, sono qui rappresentate in un unico ammasso piuttosto confuso di figure. In questo caos di immagini raffigurate dal Caravaggio a noi è apparsa invece particolarmente incongruente la figura di Sansone, dominante sulla sinistra del quadro.

L’eroe biblico, levando in alto il braccio destro che stringe la famosa mascella d’asino, beve l’acqua che ne zampilla fuori. Ne è nata in seguito, in forma privata, una discussione con Pietro Boschi, coltissimo conoscitore di temi artistici, che ha presentato il relatore e ha introdotto il tema della conferenza.


Il Sansone del Caravaggio (particolare)


A me pareva impossibile che l’acqua potesse essere contenuta da una mascella d’asino o sgorgare miracolosamente da questa, dato che i miracoli hanno un minimo di verosimiglianza. Ritenevo dunque che il testo biblico fosse stato tradito; Boschi sosteneva invece che esisteva una tradizione che giustificava l’immagine.

Curiosamente avevamo ragione entrambi. La Bibbia, nell’episodio in cui Sansone stermina i Filistei, recita chiaramente (citiamo l‘ultima versione ufficiale CEI del 2014): “Trovò allora una mascella d'asino ancora fresca, stese la mano, l'afferrò e uccise con essa mille uomini. Sansone disse: ‘Con la mascella dell'asino, li ho ben macellati! Con la mascella dell'asino ho colpito mille uomini!’. Quand'ebbe finito di parlare, gettò via la mascella; per questo, quel luogo fu chiamato Ramat-Lechi (colle della mascella).

Poi ebbe gran sete e invocò il Signore dicendo: ‘Tu hai concesso questa grande vittoria mediante il tuo servo; ora dovrò morir di sete e cader nelle mani dei non circoncisi?’ Allora Dio spaccò la roccia concava che è a Lechi e ne scaturì acqua.

Sansone bevve, il suo spirito si rianimò ed egli riprese vita. Perciò quella fonte fu chiamata En-Kor (il termine sembra  correlato con ‘En-hacoré: sorgente di colui che invoca’); essa esiste a Lechi fino ad oggi. (Giudici 15: 15-19). Controllando in testi ufficiali in diverse lingue troviamo che “luogo cavo in terra”, prevale su “roccia cava”, ma che l’acqua sorgesse dal suolo come il Bullicame o da una roccia, la differenza è per noi irrilevante.

Nella narrazione biblica si tratta evidentemente di due episodi diversi: l’acqua sgorga miracolosamente ma assai più verosimilmente dalla roccia o dal terreno, mentre la mascella era già stata buttata via nell’episodio precedente. Rimane dunque indiscutibile che la raffigurazione del Caravaggio non ha nessun riferimento valido nel testo biblico. Boschi, tuttavia, ha potuto dimostrare che esisteva una tradizione che faceva riferimento all’acqua che sgorgava dalla mascella.

Si tratta, più che di versioni dell'originale testo biblico, di antologie o commenti al testo veterotestamentario, ma cercando abbiamo trovato anche l’autorevolissima fonte primaria.

Si tratta inaspettatamente addirittura della traduzione sancita da Concilio di Trento, nel 1546. Il testo è praticamente uguale a quello sopra riportato salvo il passo che dice: “Aperse dunque il Signore un dente molare nella mascella dell’asino a da questo uscirono delle acque” (Aperuit itaque Dominus molarem dentem in maxilla asini, et egressæ sunt ex eo aquæ). Appare ovvio che l’errore deriva dal fatto che era stato chiamato Lechi, cioè ‘mascella’, il luogo dove Sansone l’aveva gettata e che Sansone a Lechi aveva bevuto.

Esiste anche un’altra incongruenza nel quadro. Certamente la misericordia è uno degli attributi di Dio, ma la raffigurazione del “dar da bere agli assetati” nella scena di Caravaggio pone Dio alla stregua degli umani che devono obbedire alla prescrizione. Per questo la lezione del testo tridentino oltre che clamorosamente errato ci sembra anche poco rispettoso della divinità. Eppure nella prefazione si dice che il testo era stato stabilito “per reprimere la temerarietà con cui le parole e le sentenze della Sacre scritture vengono mutate e ritorte in senso profano!”.

Per fortuna, per quanto riguarda la traduzione, questa è stata corretta da una successiva ‘riforma’ della Controriforma. Ma il testo tridentino, per quanto errato e volto al profano nell’episodio che ci interessa, ha un grande merito: ha fornito un soggetto che ha marcato a lungo la rappresentazione di Sansone che beve dalla mascella.


Il Sansone di Guido Reni


Non vogliamo qui tralasciare la raffigurazione che ha fatto dell’episodio Guido Reni. La splendida tela, oggi conservata nella pinacoteca di Bologna e poco posteriore al dipinto del Caravaggio, prova che il tema era già convenzionale.

Possiamo osservare che, mentre nel dipinto del Caravaggio la mascella è retta con la torsione della mano, nel dipinto del Reni la mano è rovesciata all’indietro in un atteggiamento molto elegante ma anatomicamente alquanto improbabile. Nelle due raffigurazioni la mascella è afferrata in modo in modo che avrebbe consentito di colpire col taglio esterno dell’osso.

Si tratta in entrambi i casi di mezza mascella, ma si trovano esempi in cui Sansone impugna l’intera mandibola, come era più probabile trattandosi di un osso unico e per di più fresco. Invece che di taglio è probabile che Sansone usasse la mascella colpendo dalla parte dei denti impugnando un’arma in grado di lacerare e penetrare in modo molto più devastante.


Il sansone di Giacomo Cordelli

Ma una raffigurazione di Sansone che beve dalla mascella la troviamo, sorprendentemente, anche a Viterbo. Si tratta di una lunetta affrescata che si trova nel chiostro del convento agostiniano di Santa Maria della Trinità. Ad eseguirlo fu Giacomo Cordelli, allievo di Tarquinio Ligustri, cioè di colui che ha decorato il soffitto della Sala Regia del palazzo Comunale di Viterbo.

Anche l’affresco del Cordelli è dei primi anni del Seicento e dunque è coevo del quadro del Caravaggio. Il disegno, in specie la figura di Sansone, appare qui alquanto grossolano, mentre più raffinato è il peso mortale dei corpi dei due filistei caduti, lo sfondo con alberi più accuratamente dipinti e la barca a destra che sfuma nel paesaggio lacustre.


Adesso avrete capito perché ho raccontato questa storia che è di per sé interessante, ma che ci ha permesso di ricordare che anche per Viterbo passa la cultura iconografica. Compare inoltre un cognome che ci piace immaginare sia un antenato dell’amatissimo dai viterbesi Franco Maria Cordelli che è giustamente celebrato per l’impulso che ha dato alla scienza pediatrica, per aver retto come Presidente la Fondazione Carivit e per molte altri importanti impegni, per esempio nell’Università, ma a me piace salutarlo da questa pagine come formidabile caricaturista. Le poche che mi ha fatto le ho incorniciate e mi diverte guardarle.


Finiamo questo articolo ricordando che Sansone era un tipo irascibile e violento che si faceva ragione da solo, però era anche un grande ingenuo che si è fatto imbrogliare da entrambe le donne che sono entrate nella sua storia. È uno dei personaggi biblici più popolari. La storia termina con queste parole: “Sansone fu giudice in Israele per vent’anni al tempo dei Filistei”.

Alessandro Finzi
Centro Studi Santa Rosa da Viterbo, onlus

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