Viterbo SCENEGGIATE COI BASSOTTI
Agostino G. Pasquali

     Tutti i giorni dovrei percorrere almeno tre chilometri a piedi per la passeggiata pomeridiana che mi è stata prescritta dal medico.

Ho detto ‘dovrei’, non devo, perché in effetti ogni tanto trascuro l’impegno: se piove evito, se fa troppo caldo pure, e qualche volta, se non mi sento bene, decido di restare a casa. Non so perché, ma al momento di uscire per la passeggiata non mi sento mai bene. Sarà perché questo esercizio fisico è una ‘medicina’, parola di medico, e le medicine non sono mai gradevoli?

     Infatti il dottore mi ha detto: “Lei è anziano… per sua fortuna è in buona salute, ma… noto che sta mettendo su qualche chilo di troppo. Mangi meno e si muova di più!”

     Ho risposto: “Dottore! Sono un tranquillo pensionato. Nella vita mi sono rimaste poche soddisfazioni: mangiar bene, stare in poltrona a vedere qualche buon film in TV oppure a leggere un buon libro, e di tanto in tanto mettermi al computer per scrivere qualche sciocchezzuola… raccontini. Muovermi? Beh! Qualche giretto al centro commerciale…”

   Mi ha interrotto: “Non divaghiamo! Va bene leggere e scrivere perché serve a tenere lontano l’Alzheimer. Cioè, qualcuno lo ha detto autorevolmente, non so quanto scientificamente, ma probabilmente è vero. Comunque non fa male. Ma la televisione no! questa fa male perché rincoglionisce. La poltrona no! pure questa rincoglionisce. Mangiare no! Mangiare, intendo troppo, non rincoglionisce ma fa ingrassare, aumenta il colesterolo cattivo ‘elledielle’, causa ipertensione e sovrappeso. Tutta roba che predispone a gravi problemi di salute. Lei quanto mangia e soprattutto che cosa mangia?”

     “Basta, basta! Ho capito. Tanto queste prescrizioni da terrorismo salutista le ho sentite e strasentite…”

     “E allora? Si muova. Vada in palestra, in piscina. Compri un attrezzo per fare ginnastica, però lo deve usare tutti i giorni. Non arricchisca i produttori di aggeggi da ginnastica comprando ogni mese una nuova diavoleria, tipo l’ultimo modello pubblicizzato in TV, per usarlo poi solo una volta o due. Per uno come lei la migliore medicina è una bella camminata al giorno, a passo veloce, per un’ora. Badi che ho detto camminata, non passeggiata di piacere.”

     La mie camminate medicinali si svolgono in periferia sempre per le solite vie, quelle che hanno un marciapiede camminabile senza rischio di slogarsi una caviglia per le buche e le sconnessioni, che non siano invase da una giungla di piante brutte e spinose né da auto parcheggiate abusivamente. Nella mia città, Viterbo, sono poche le strade buone per passeggiare, ma qualcuna c’è, basta cercarla con pazienza e perseveranza come si fa per i funghi, ché qualche volta si trovano. Intendo dire che si trovano i funghi e, più raramente, le strade in ordine.

     Sulla via del ritorno passo sempre davanti a una casa con un bel giardino, adeguatamente recintato, curato e arricchito da elementi ornamentali: gazebo, panchine, fontanella, e c’è pure un angolo allegro con uno scivolo per bambini di plastica (cioè voglio dire che lo scivolo è di plastica, mica i bambini). Una casa e un giardino così meritano di essere protetti da buoni guardiani e infatti ci sono tre cani che abbaiano furiosamente contro chiunque passa lì davanti.

     Io non ho paura dei cani in genere, tanto meno di quelli che stanno al di là di una robusta rete di recinzione, e ancor meno quando si tratta di tre bassotti di taglia piccola, come quelli del giardino di cui parlo. Dunque, abbaiano, mostrano i denti e mi seguono lungo la recinzione per essere sicuri che me ne vada. Di solito tiro dritto senza curarmi di quelle innocue minacce, ma talvolta mi fermo e guardo fissamente i cani negli occhi, sfidandoli. Due di loro si calmano quasi subito e si allontanano intimiditi, ma il terzo resta e continua a minacciarmi. Insiste per un po’, una decina di secondi, poi non sostiene più il mio sguardo e gira la testa di lato continuando però ad abbaiare. Dopo altri pochi secondi i latrati diminuiscono di forza e pian piano cessano del tutto. Allora me ne vado proseguendo la passeggiata. Quando sto alla fine della recinzione e giro l’angolo sento di nuovo un po’ di latrati, ma non particolarmente minacciosi. Forse il cane mi vuole dire: “Hai visto che ho vinto io? che ti ho fatto scappare?”

*     *     *

     L’altro ieri, durante una di queste mie sceneggiate con i bassotti, è uscita dalla casa e venuta al cancello una signora che si è presentata come Pina o Lina, non ho afferrato bene il nome perché i cani facevano il solito pandemonio di latrati. Ha precisato di essere la proprietaria e mi ha detto sorridendo che non dovevo aver paura dei cani perché sono ottimi guardiani, ma servono solo per dare l’allarme; non sono aggressivi e comunque sono piccoli e, anche se mordono, non fanno un gran danno. Ci siamo messi a chiacchierare simpatizzando subito perché i cani sono un ottimo argomento di socializzazione; anch’io ho avuto in passato un cane e quindi mi comporto come tutti quelli che hanno, o hanno avuto, un Fido, una Stella, un Rex… Tutti amano parlare delle prodigiose doti canine e sono convinti che quello loro sia il più caro, affettuoso, intelligente cane del mondo. Ingenue illusioni di tutti i cinofili.

     Ci siamo dunque raccontati, alternandoci educatamente, le storie dei nostri cani. Non starò qui a ripetere la mia che ho già scritto e pubblicato proprio su questo giornale (*), ma dirò brevemente quella della signora.

     Sei anni fa, in occasione dell’inaugurazione della nuova casa, le venne regalato un bassottino che battezzò con il nome Chicco perché era del colore di un chicco di caffè, e altrettanto liscio e satinato. Poiché soffriva di solitudine gli procurò una compagna, uguale di razza e di colore, battezzandola ovviamente Chicca. Com’è nella natura degli animali nacque presto un cucciolo, anzi una cucciola denominata altrettanto ovviamente Chicchina. La fantasia onomastica dei cinofili è evidentemente smisurata.

     Mentre parlavamo, io fuori della recinzione e la signora Pina (o Lina) al di là, i tre “Chicchi” continuavano imperterriti il loro sgradevole concerto di latrati che si attenuava per un po’ quando la padrona diceva di tanto in tanto: “Zitti! Boni! A cuccia!”rivolgendosi a loro, mentre rivolta a me precisava:

     “Son così. Son fatti così. Non c’è niente da fare. Non smettono finché lei non va via. Sono poco ubbidienti, ma tanto buoni. Sapesse come mi vogliono bene! E io li adoro.”

     “Ma, sono tre… di solito se ne tengono due. Lei fa l’allevatrice?”

     “Noo, per carità! Chicchina l’ho fatta sterilizzare, e pure Chicca. Chicco però è maschio, integro e maschio al cento per cento.”

   Ho pensato: “Invece delle due Chicche, non sarebbe stato meglio sterilizzare solo Chicco?”

     Per correttezza non ho detto nulla, ma ci ho visto la prova che, nonostante il femminismo ormai trionfante, la gente resta nell’intimo ancora maschilista, e pure nei confronti degli animali.

*     *     *

     Tornato a casa mi sono ricordato di aver letto tempo fa, qui su “lacitta.eu”, un articolo che parlava di cani e chiariva i motivi per cui questi nostri “amici” agiscono talvolta in modo aggressivo, petulante, perfino anormale. Ho acceso il computer, ho cercato e trovato un articolo di Ezio Maria Romano, il quale ha scritto:

“… i cani sono animali e non persone e … non hanno nulla in comune con noi, tranne essere dei mammiferi: tutti gli animali vivono e ragionano secondo istinti molto diversi da quelli dell’uomo… Tutto quello che ci viene proposto dal cinema e dalla TV su questo animale, non ha nulla a che vedere con la realtà!... Il cane non ama il suo padrone… perché i sentimenti umani non rientrano nelle sue facoltà istintive di animale…

… Non possiamo far finta di pensare che lui sia così felice di aver rinunciato a tutto ciò che la sua natura di animale gli chiedeva, ovvero crescere e sopravvivere con altri suoi simili…”

     L’articolo (**) mi ha sorpreso per l’originalità della teoria, ma non troppo sorpreso dato che avevo già qualche dubbio sull’entusiasmo esagerato che i cinofili hanno verso i loro animali. L’autore dava anche l’indirizzo di un sito www.cinofilianaturale.it curato da lui stesso. L’ho visitato e alla fine ho concluso che noi, ingiustamente ed egoisticamente, togliamo ai cani la possibilità di vivere da cani. Infatti, coordinando quello che ho letto con quello che l’esperienza mi ha insegnato, ho dedotto che:

     - teniamo i cani in campi di concentramento (se abbiamo un giardino), altrimenti li chiudiamo in casa, cioè in un carcere (sia pure comodo e confortevole); se va bene gli diamo l’ora d’aria, proprio come ai carcerati, portandoli a spasso legati con guinzaglio corto (come prescrive la legge), ma loro preferirebbero correre liberi imbrancandosi con i loro simili,

    - gli diamo da mangiare gli intrugli preparati dalla furba industria che utilizza non si sa che cosa, probabilmente avanzi di macellazione (ossa, pelli, interiora) e materiali di scarto (sulle buste e sulle scatole c’è scritto: pollo o coniglio o vitello… ma la puzza è sempre la stessa), mentre loro vorrebbero mangiare carne, soprattutto carne cruda,

     - in inverno, se sono di una razza inadatta ai nostri freddi, li vestiamo con ridicoli cappottini, mentre in estate, se sono animali da paesi freddi o da fresca montagna, gli rasiamo il pelo lasciando ciuffi aberranti così che sembrano le sculture futuriste di Boccioni,

     - una volta gli mozzavamo orecchie e coda, per fortuna ora non più perché è vietato, ma li facciamo castrare dal veterinario, operazione che non penso direbbero di gradire se potessero parlare,

     - li obblighiamo a fare stupidi giochi e ad assumere pose non naturali per fare bella figura con gli amici. Sì, li obblighiamo a recitare con il ricatto del biscottino. Però diciamo di educarli e istruirli mentre li condizioniamo con una raffinata tecnica pavloviana, che è violenza psichica, e talvolta anche violenza fisica.

     In conclusione il cane è trattato per lo più come un giocattolo vivente o un accessorio di arredamento. Pensiamo di amarlo perché lo coccoliamo e gli diamo cibi che crediamo buoni, e siamo convinti che lui ricambi il nostro amore perché si comporta da servo compiacente; e questo lui lo capisce e se ne approfitta per ottenere una carezza o un dolcetto conquistando la nostra generosità con un po’ di moine.

     In effetti lo trattiamo proprio come un servo, anzi uno schiavo, spesso eunuco, e riteniamo che sia felice e ci voglia bene. È vero che sovente è socievole e allegro e dimostra di stare volentieri con noi umani, ma sarà anche vero che ci vuole bene e ricambia spontaneamente il nostro amore? oppure accetta la nostra presuntuosa benevolenza perché è rassegnato? e si comporta pure da furbo perché sa di non poter fare diversamente?

     La storia insegna che anche gli schiavi umani talvolta si ribellano, specialmente se sono trattati male. Forse una analoga ribellione sta alla base dell’aggressione, anche nei confronti di gente di famiglia, commessa da cani che si sentono a disagio nella vita innaturale che i padroni gli impongono illudendosi di trattarli bene e di fare il loro bene.

     Mi son posto una domanda: “Vuoi vedere che quei tre “Chicchi” sono così aggressivi e petulanti non perché sono buoni guardiani, ma perché non vivono bene la loro vita da schiavi della signora Pina (o Lina)?”

     Ieri, in occasione della solita sceneggiata con i tre bassotti, mi è venuto l’impulso di parlargli.

     Si può parlare ad un cane? Certo! Lo sanno tutti che i cani comprendono gli ordini semplici. Anzi molti cinofili affermano che il loro cane capisce tutto, anche i discorsi complessi. Se questo fosse vero se ne dovrebbe dedurre che i cani sono più intelligenti degli esseri umani, visto che questi spesso non si capiscono affatto tra di loro, come avviene nelle discussioni tra moglie e marito, tra genitori e figli, e tra politici che nei talkshow si aggrediscono furiosamente, peggio dei cani litigiosi, dimostrando appunto di non capire quello che si dicono l’un l’altro.

   Dunque solita recita: due bassotti se ne sono andati via presto, come al solito, e ne è rimasto uno ad abbaiare (era Chicca, l’ho riconosciuta); allora ho detto: “Calmati Chicca, stai buona Chicca!”. E lei ha smesso di abbaiare perché ha sicuramente capito almeno il suo nome e ne è rimasta sorpresa. Poi ho continuato:

   “Ho l’impressione che tu insisti ad abbaiarmi contro non perché mi vuoi male e mi vuoi cacciare via, ma perché invidi la mia libertà. Tu vorresti andartene in giro, libera come faccio io, annusare oggetti, orinare quando e dove vuoi, mordicchiare qua e là, dare la caccia a qualche animaletto che il tuo istinto ancestrale considera preda appetibile…”

     Chicca ascoltava e dimenava la coda dimostrandomi il suo interesse.

     Però in quel momento passava gente che mi guardava con aria strana e io mi sono sentito alquanto ridicolo nel parlare ad un cane. Ho smesso e mi sono allontanato. Chicca mi ha seguito lungo la recinzione finché ho girato l’angolo. Poi, quando non era più in vista, l’ho sentita che uggiolava tristemente. Chissà che cosa mi voleva dire.

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(*) Chi è interessato la può leggere al seguente indirizzo: http://www.lacitta.eu/images/stories/pdf/Shonie-ed-io.pdf

(**) Ho citato solo il minimo, utile per il racconto. Chi vuol leggere il testo integrale cerchi:

http://www.lacitta.eu/cronaca/30779