Viterbo STORIA VISSUTA
Tratto dall’opera “I profumi semplici della vita” di Maria Antonietta Ellebori

Quando ci si rivolge ai problemi dell’uomo, non dobbiamo pensare che soltanto gli esperti abbiano il diritto di pronunciarsi, poiché quegli stessi problemi riguardano un contesto sociale di cui anche gli “umili” sono parte integrante, e, spesso, meglio di altri possono apportare contributi significativi alla soluzione.

Bombolotti per la canasta

Negli anni ottanta fui membro di una associazione di volontariato, la cui attività era mirata a promuovere iniziative culturali al fine di sovvenzionare alcune realtà in difficoltà.

Allo scopo, una volta, organizzammo una canasta di beneficienza e, per questa iniziativa, fu programmato al “tavolino”ogni minimo particolare.

Eravamo nove donne, quasi tutte sposate e con una famiglia alle spalle, impegnate nel lavoro, e ponevamo l’importanza significativa di dare il buon esempio ai nostri figli, interagendo nel sociale.

Alcune di noi si proposero per reperire omaggi dagli esercenti della città, ben disposti soprattutto a farsi pubblicità; altre reperirono dal fondo comune (ci autotassavamo) la quota per acquistare i blocchetti della lotteria e le bevande; altre ancora, come me, si incaricarono di preparare i dolci da distribuire nell’occasione.

Un antico circolo culturale della città mise a disposizione i locali e, nel giorno stabilito, tutto era sistemato come da programma riportato in una cartina disegnata … artigianalmente.

In un angolo, un tavolo apparecchiato esponeva i dolci e conteneva i piatti, i bicchieri le posate; accanto un altro esponeva tutti i premi ai quali avevamo dato un numero; il resto della sala conteneva i tavoli circolari, ciascuno con un mazzo di carte.

Alle quattro pomeridiane, il locale pian piano si era riempito di così tante persone che alcuni dovettero rimanere in piedi, ma rimasero lo stesso gironzolando per divertirsi del gioco altrui.

Mentre le signore giocavano a canasta, noi passavamo ad offrire i dolci e le bevande, e, nell’occasione, vendevamo i biglietti della lotteria, il cui importo era quasi sempre arrotondato, vista la conoscenza con il tema della giornata.

L’incasso fu di quasi di un milione di lire che aggiustammo alla cifra tonda attingendo dal nostro fondo.

A sera furono estratti i numeri vincitori e tutti i premi furono assegnati.

Avevamo invitato anche i rappresentanti delle associazioni alle quali avremmo devoluto il ricavato:

due comunità di recupero alla tossicodipendenza ed un ospizio di suore.

Ma, al momento dell’assegnazione, ci fu una sorpresa.

Mentre le associazioni accettarono di buon grado e ringraziarono, la suora rappresentante, con ferma e decisa gentilezza, disse che avrebbe accettato l’offerta, soltanto con la promessa che noi andassimo a conoscere alcune di loro all’istituto perché ci volevano conoscere ed essere informate su alcune cose.

Un po’ contrariate, il giorno dopo una parte di noi si recò all’ospizio, sito nella periferia della città: un’immensa struttura di mattoncini rossi immersa nel verde di alberi secolari.

La suora portinaia ci portò ai piani superiori, dove le porte delle camerate affacciavano in un corridoio che sembrava interminabile.

La madre superiora ci stava aspettando con il sorriso sulle labbra e ci fece strada.

Il pavimento di marmo brillava e si avvertiva un leggero odore di disinfettante.

Allo scalpiccio dei nostri passi, uscirono dalle camerate in penombra tante figure vestite di bianco, qualcuna anche appoggiata al bastone; sulla testa delle velette che contenevano ed ordinavano i capelli bianchi.

Ne dedussi che sapevano del nostro arrivo e ci stessero aspettando.

Davanti al sorriso compiacente di tutte, la madre superiore ringraziò ancora per l’offerta, sottolineando che il vero beneficio era stato il sapere che qualcuno si fosse ricordato di loro.

Ci accomodammo in un salottino ricavato in un angolo, dove presero posto anche alcune suore, mentre altre si ritiravano, dopo averci stretto la mano una per una.

Erano sei le suore intorno a noi e quasi tutte contavano novanta primavere, tranne che nell’espressione serena che distendeva il viso.

Con calma esposero le loro richieste: vollero sapere della nostra associazione ed il parlare con loro era piacevole, mentre esponevano il proprio punto di vista, con una critica “costruttiva” .

Nell’androne rischiarato appena dal sole che filtrava dalle persiane socchiuse, quelle suorine, quasi centenarie, ci tennero per quattro ore catturandoci con consigli e suggerimenti sul come migliorare le attività e renderle meglio propedeutiche allo scopo.

Sottovoce dissi alle mie compagne: “Strano, abbiamo dato, ma sembra che stiamo prendendo noi!”, mentre decidevo loro esperienze di vita impegnate nel sociale, per aver tanta saggezza nel porsi ed un’anima così aperta alle esigenze del mondo.

E così, al momento del commiato, con il proposito di ritornare, sentii l’impulso di chiedere alla madre superiora … ma sottovoce: “ Madre, ma dove vivevano prima queste suorine, così assennate e perspicaci, nei loro modi di pensare la vita? E soprattutto cosa facevano?”

E lei, tranquillamente come se fosse stata la risposta più scontata, rispose: “ Hanno trascorso tutta la loro vita nella clausura.”

 

Bombolotti

Ingredienti:

350 gr. farina

250 gr. farina menitoba

80 gr. burro

1 lievito di birra

75 gr. zucchero

250 gr. acqua + latte

1 limone grattugiato

1 pizzico di sale

Preparazione:

 

Unire le due farine e fare la conca, unire lo zucchero, il sale, il lievito sbriciolato, il limone, il burro ed il liquido di acqua e latte.

Lavorare per 10 minuti.

Far riposare l’impasto per circa due ore.

Stendete con il mattarello e formare i dischetti che devono riposare per 10 minuti.

Si friggono in olio bollente e si cospargono di zucchero a velo ancora caldi.

A piacimento possono essere riempiti, con una siringa, con crema o panna.

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