Montefiascone L'OPINIONE
Giuseppe Bracchi – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Quanto vale la vita umana?

Se ciascuno di noi fosse chiamato a rispondere a questa domanda, sono convinto che troverebbe le parole più altisonanti e più sacre per affidare il concetto alato ai sommi sacerdoti e custodi della storia presente e futura. Ma – ahimè – la stessa storia si è ormai incaricata di dimostrare che tutte le parole rimangono senza difesa difronte agli atti più scellerati, che della vita stessa intendono fare carne da macello. E quel che è peggio lo stesso diritto spesso e volentieri si dimostra ancor più fragile e disarmato di quelle armi più elementari del buon senso e della giustizia.

Sono rimasto esterrefatto. Sono rimasto senza parole. In Spagna un ragazzo di soli 22 anni è stato ucciso a calci e a pugni come se si fosse trattato di un sacco di patate. In Puglia un altro ragazzo di soli 24 anni è stato ucciso da un sessantenne lungo una via della città per un diritto di precedenza. Un altro ragazzo è stato ucciso presso una discoteca della Romagna per futili motivi. Quanto vale la vita umana? Se ciascuno di noi fosse chiamato a rispondere difronte a questi atti di inusitata e gratuita violenza, le risposte non esiterebbero ad invocare il gesto estremo di una dura condanna. Tot capita, tot sententiae.

Caino dove sei? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo. Ora sii maledetto. Certo, Iddio non volle che Caino subisse la stessa sorte di Abele. Ma ramingo e fuggiasco ne avrebbe portato la colpa, senza che neppure la terra avrebbe più dato a lui i suoi frutti, se non quelli del rimorso. La nascita di un fratello porta sempre con sé l’immagine di una differenziazione che rende a sua volta palese l’ordine sociale. Ma oggi questa differenziazione è muta, perché non c’è dialogo, perché non c’è riconoscimento dell’altro come fratello, tanto che trionfa l’immagine sartriana di quell’inferno che sono gli altri.

Nelle sue Memorie dal sottosuolo, Fedor Dostoevskji seppe profetizzare nel fine ritratto psicologico di quei demoni che avrebbero popolato la storia della Russia per settant’anni, il prezzo da pagare per l’assenza di quel Dio, di fronte alla quale tutto è possibile. L’inferno sono gli altri quando la superbia s’erge a giudice del mondo, dimentica l’umiltà della natura umana decaduta, disprezza e negletta l’amore del Padre fin a decretarne la morte come fecero a loro modo Nietzsche e Freud. Con quale risultato? Il secolo mai tramontato delle idee assassine, le quali ora hanno il volto di tre ceceni, ora quello di un sessantenne ora quello di altri criminali dal volto perbene, ma dal profondo marcio, marcio come i personaggi del sottosuolo dostoevskijani.

L’eclisse del sacro, per dirla con Alain de Benoist, ha ridotto la religione ad una opinione, la morale ad un coacervo di situazioni del momento atte a soddisfare le coscienze, la politica ad un principio di effettività autoreferenziale, senza più riferimenti né qualifiche etiche, la giustizia ad un simulacro. Homo homini lupus, direbbe ancora oggi Hobbes, lasciando al volto tiranno dello Stato il compito di una salvezza che non sappiamo più riconoscere in Dio, dopo la sua morte.

Sarà dunque uno stato tiranno a salvarci? E cosa si ridurrà il diritto in generale e quello penale in particolare? Quale sarà, in particolare, l’orizzonte del giurista e del giudice? La giustizia o la politica infarcita di vaghi sociologismi? Signori, giù la maschera! Se oggi tanta violenza ci circonda, è perché in fondo coloro che ne sono gli artefici sanno di poterla fare franca. Compito del diritto penale non è rieducare il condannato. I giudici non sono dei laureati in pedagogia, ma esperti in giurisprudenza ed in particolare di quello ius ars boni et aequi, come sottolineava il giurista romano Celso, che richiama alla mente valori morali ed etici, ai quali il diritto romano sempre dava una prioritaria valenza, secondo il triplice modello dell’honeste vivere, neminem laedere, suum cuique tribuere.

Dare, soprattutto, a ciascuno il suo, quando l’inflizione della pena da parte del giudice dovrà tener conto proporzionalmente della gravità del gesto compiuto con determinatezza e lucidità, perché non si può sempre invocare la follia a sostegno di scellerati criminali. Le bestie cecene, il sessantenne pugliese, colui che ha messo fine a quella giovane vita umana in Romagna, hanno con volontà e determinazione ucciso un essere umano. E quel che è peggio per futili motivi. Non ci sarà retta ragione in una sentenza che premierà il delinquente a scapito della vittima. Non vi sarà simmetria penalmente ripristinata tra le parti in una sentenza ‘penale, che non avrà debitamente tenuto conto di una vita umana stroncata da lucida follia.

Basta con gli ideologismi perniciosi e senza senso del sessantottino vietato vietare, la cui corruptio legis, fino ad oggi ha sempre guidato sentenze penali finalizzate ad uccidere due volte la vittima, sotto l’orpello di una “legge uguale per tutti” rimasto sempre dietro alle spalle del giudice.

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