Roma CRONACA VIVISEZIONE

Replica LAV agli articoli pubblicati oggi su La Repubblica

Questa immagine può turbare, ma pensa quanto ha turbato la scimmietta

Gentile Ivan Berni, vorremmo raccogliere il suo invito a "mandare un segnale a chi", secondo lei, "sta pilotando l'animalismo verso una deriva squadrista".

Come LAV abbiamo sempre condannato qualsiasi forma di violenza, anche verbale, verso i ricercatori, così come quella diretta ai "rappresentanti" di altre forme di sfruttamento animale, ma ci spiace constatare che lei non ha minimamente riportato la nostra posizione, né le argomentazioni scientifiche addotte a sostegno di una ricerca che non ricorra all'uso di animali, che costituiscono proprio quelle "obiezioni razionali nei confronti della sperimentazione animale" che lei sembra indicare come antidoto al "fanatismo animalista".

Siamo certi, perciò, che non vorrà perdere l'occasione di lanciare lei un segnale verso un confronto reale, di messa in discussione delle posizioni favorevoli e contrarie alla vivisezione, o sperimentazione animale come i difensori dell'uso di animali per la ricerca preferiscono definirla, come se ingentilendo la terminologia si potessero mitigarne gli effetti pratici.

E vorremmo partire proprio da qui, da quella "vivisezione" che secondo lei non esiste più.

Vivisezione significa, letteralmente, "sezione/taglio da vivo": e come potremmo definire altrimenti test come stimolazioni elettriche profonde nel cervello, fratture, lesioni midollari, termo ablazioni, trapianti di organi, tutte praticate senza anestesia, su un animale vivo? Non si può negare che si tratti di pratiche che comportano enormi sofferenze fisiche e psicologiche. In Italia, peraltro, il numero delle procedure senza anestesia è raddoppiato negli ultimi anni (fonte Ministero della Salute).

Quanto all'utilità della vivisezione, lei afferma che "farmaci e terapie vanno tutti testati su organismi complessi, e per periodi anche lunghi".

È esatto, e l'organismo principale sul quale i farmaci vengono testati per lunghissimo tempo è proprio l'uomo, prima con i test clinici obbligatori per legge e successivi al passaggio sull'animale (come la sperimentazione random sui malati, che il Comitato etico della Fondazione Veronesi definisce, secondo quanto riportato oggi dal Corriere della Sera, "immorale", o quella praticata nei Paesi del Sud del Mondo su cavie umane involontarie e ignare dei rischi cui vengono esposte) e poi sui "fruitori finali", che acquistano i farmaci convinti che potranno far loro solo del bene, mentre il 51% di quelli che arrivano sul mercato viene ritirato per gravi reazioni avverse proprio sull'uomo, reazioni che i test su animali non lasciavano spesso nemmeno supporre.

E questo perché se è vero che una coltura cellulare non può sostituire la complessità di un organismo, non possono farlo nemmeno cani, conigli, topi etc., biologicamente diversi da noi per differenza genetica (e la loro espressione in proteine), fisiologica, anatomica e fenotipica (nessuno di noi si confonderebbe tra un bambino e un ratto) che aumenta esponenzialmente l'indice di errore (il 90% dei farmaci non supera le prove cliniche).

Quanto agli "scienziati che, spesso con rammarico, devono"  far ricorso alla vivisezione, ci chiediamo perché la maggior parte di loro rimanga ancorato a un modello di ricerca che sempre più medici e ricercatori, i cui studi e pubblicazioni vengono spesso ignorati dai suoi colleghi, definiscono inutili e dannosi. Come definire altrimenti uno studio sugli effetti positivi dell'assitocina sui topi, quando sono disponibili dati dei suoi effetti sull'uomo? E che dire dello studio della dipendenza da nicotina nei topi, o quello sull'impotenza maschile, per non parlare dell'impianto di protesi mammarie al silicone sui ratti, per studiarne la tolleranza, quando sono ampiamente usate sulle donne da più di 30 anni?

Come vede c'è un animalismo capace di confrontarsi senza ricorrere alla violenza, ma viene molto spesso ignorato, forse perché fa meno scalpore delle scritte sui muri di un paio di idioti.

Ci auguriamo che lei, e la sua redazione, vogliate cogliere il nostro invito al dialogo, realizzando un "viaggio" in un laboratorio in cui non si praticano ricerche che prevedano l'uso di animali, analogicamente a quello riportato nell'articolo a pagina 7 dell'edizione milanese de La Repubblica, a firma di Luca De Vito, magari intitolandolo "Perché non usiamo i topi".

Distinti saluti.

Dott.ssa Michela Kuan

PhD - Responsabile nazionale LAV