Viterbo
DUE CHIACCHIERE TRA NOI


E' iniziato il nuovo anno e se veramente vogliamo che esso ci porti qualcosa di buono è necessario essere uniti tenendo presenti i valori fondamentali e comuni di una società nella realizzazione dei pubblici interessi.

Occorre rispetto concreto per il prossimo.

Non basta pensare a far bene, occorre fare bene.

C’è bisogno di solidarietà tra i cittadini e tra i politici ed i cittadini; non tra i cittadini ed i politici, ché non è la stessa cosa.

E' necessaria una solidarietà sociale che la nostra classe politica ignora.

Alcuni anni fa andava di moda la parola solidarnosc, presa in prestito dalla lingua polacca, che in italiano vuol dire solidarietà. Non v’era discorso ove essa non trovasse posto.

I mezzi di comunicazione la proponevano e la riproponevano a dismisura. Oggi questa parola non si usa più, non va più di moda. Oggi si usano le parole inglesi: meno si conoscono, più si usano. Anche per solidarnosc è stato così.

Quanti hanno afferrato il suo significato? Quanti l’hanno usata senza cognizione di causa, senza averne percepito l’essenza?

Usato per la collettività, il significato di solidarnosc è diverso da quello di collettività, questa ha in sé un che di materialistico che la solidarietà eleva a spiritualità. Solidarietà è un concetto più complesso, più intenso, implica in sé l’amore, e senza l’amore non è più.

Non è sufficiente guardare gli altri, vederli, coglierne la bellezza: è necessario sentirsene partecipi, accomunati quasi nella vita, in un rapporto costante di interdipendenza: è necessario rispettarli, quali che siano, stimare ciascuno per quello che è, per il suo essere: gli uomini e le cose.

Sentirsi solidali con il mondo; di più, con l’universo. Non è sufficiente avere rapporti di consuetudine, di convivenza, quali la vita di ogni giorno stabilisce o i bisogni impongono; non basta preoccuparsi degli altri e per quanto possibile andare loro incontro per il bene comune della collettività: è necessario sentirli intimi come si è con se stessi, sia materialmente che spiritualmente.

Reciprocamente.

Non vicini nello spazio, ma prossimi nello spirito, dove i legami uniscono veramente, e, se rotti, la società umana si disintegra, anche se ha leggi che la organizzano. Solidarietà è qualcosa che si sente e poi si vive, non che si vive soltanto.

Forse è per questo che questa parola non si usa più.

Se ne è scoperta, a forza di usarla, la vera essenza e se ne è avvertito il peso: forse anche per questo è caduta in desuetudine. Parola troppo pesante per la nostra cultura, forse estranea ad essa, anche se ci definiamo civili, e crediamo di esserlo più degli altri.

Oggi usiamo, più per sfoggio che per altro, parole inglesi come welfare, spending review, job act, ed altre, delle quali non sempre comprendiamo il significato. Così stando le cose mettiamocene un’altra, che inglese non è, ma che le comprende tutte ed in maniera completa: “consulitur”, che tradotta liberamente significa “chiacchiere”. Ed allora, per rimanere nel campo delle parole incomprensibili, ma che “fanno moda”, come era solito dire un vero educatore, che rispondeva al nome di Giovanni Pisanti, un professore mai rimpianto abbastanza della cui specie nelle scuole si è provveduto, a ragion veduta, ad eliminare anche il dna, diciamo esortando: “reperiat quidam quomodo redeat”, per modo che, ciascuno di noi, nel sentire nominare la solidarietà non abbia a dire: “Solidarietà, chi era costei?”.


Claudio Santella

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