Montefiascone L'OPINIONE
Giuseppe Bracchi – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il giornalista Giuseppe Bracchi

Oggi 25 aprile si consumeranno i soliti riti vuoti, inconsistenti e tronfi di retorica, che ci condurranno fino a sera nel ricordo della Liberazione dal regime e dal giogo nazi fascista.

Certo non fu cosa da poco. Anzi. Ma ciò che ne seguì non fu certamente una prosecuzione brillante delle magnifiche sorti e progressive. Lo sta a dimostrare, ancora oggi, la monopolizzazione che gli stessi capetti trinariciuti, di ieri e di oggi, hanno fatto e fanno di questa celebrazione, che tutto dovrebbe essere fuorché una divisione tra italiani.

Ed invece è stata ed è proprio questa divisione la malattia infantile di questa Repubblica (prima, seconda o terza che importa?), nata sul ceneri del fascismo per approdare all’ideologia antifascista che, dalla fine della guerra mondiale ad oggi, ha contrassegnato una concezione della politica come “sintesi degli interessi economici, sociali, religiosi e culturali di un popolo”, anziché una visione della politica qualificata e contrassegnata da principi etici.

Non la libertà del popolo chiamato a decidere delle proprie sorti, ma un  egualitarismo senza capo né coda è stata l’origine social democratica degli interessi post bellici, che hanno caratterizzato l’opera e l’azione dei padri costituenti tesi a far una sola cosa del liberalismo, del comunismo e del cattolicesimo, fondendo in una sintesi spuria i principi provenienti dalla Rivoluzione francesi, per approdare ad un centrismo di origine Hegeliana, che ancora oggi caratterizza e contrassegna la politica italiana, come espressione diretta del Renzismo.

Nulla è cambiato in oltre 70 anni di ideologia antifascista. E’ ancora la mediazione politica a far da padrone, anziché una politica retta da principi etici, che sulla base di una visione cristiana dell’uomo e della sua verità, sappia tracciare la via verso il bene comune. Su questo punto avrebbe molto da insegnarci l’azione politica di un emarginato del dopo guerra, Carlo Francesco D’Agostino, attraverso l’opera ed i programmi del Centro Politico Italiano. Una lezione politica, che pur tra eccessi e speranze, aveva già saputo cogliere nei primordi della DC Degasperiana e nei suoi programmi politici una sorta di tradimento dei valori cristiani.

Come non ricordare l’insanabile dissidio tra Pio XI e lo stesso De Gasperi, che nei suoi Discorsi politici respingeva totalmente l’interpretazione che il Magistero dava del comunismo come ideologia intrinsecamente perversa? Per un sorta di oggettiva pusillanimità ed accidia, Alcide De Gasperi non voleva urtare la suscettibilità del più grande Partito comunista di Occidente, quello guidato da Palmito Togliatti. E fu per merito, tra gli altri, di Luigi Gedda e dei suoi comitati civici, se l’Italia il 18 aprile 1948, non entrò a far parte del novero di quelle nazioni oppresse e represse da una dittatura assai vicino al nazismo ed al fascismo, ovvero il comunismo.

Il resto è storia. Una storia difficilmente falsificabile, prima e dopo la caduta del Muro di Berlino, nonostante i tentativi di intellettuali organici come Sergio Luzzatto, che vorrebbe consegnarci perfino l’immagine di un Santo come Padre Pio da Pietrelcina, quale protagonista e vittima delle categorie sociali, politiche ed economiche dell’Italia del ‘900, viste ed esaminate sotto la lente passatista e per nulla originale dell’analisi marxista leninista.

Dopo 70 anni ed oltre, è ancora la politica della mediazione, delle tesi antitesi e sintesi, a narrare una storia politica che tutto vorrebbe includere e tutto esclude. E’ la politica del centrismo smisurato, quello che Renzi, per esempio, avrebbe voluto incentivare e vorrebbe ancora incentivare e realizzare, se riuscisse malauguratamente nell’intento di riprendersi domani il Governo, rafforzando i poteri dell’esecutivo, facendo rientrare dalla finestra ciò che gli italiani hanno cacciato dalla porta principale, bocciando il referendum istituzionale del dicembre 2016.

L’Italia nata sulle ceneri del fascismo non è affatto un’Italia libera. E’ un’Italia schiava dei pregiudizi, dell’ideologia antifascista, dell’Arco costituzionale sotto il quale si sono consumate le peggiori nefandezze: politiche e non. E’ l’Italia della millantata sovranità popolare, dove il cittadino non partecipa affatto alla vita politica del Paese, se non come suddito.

E’ l’immagine di quella cosiddetta democrazia moderna, dove la modernità è concepita come sintesi dei principi della Rivoluzione francese: fraternità, uguaglianza e libertà, senza che essi contemporaneamente siano animati dal soffio di vita cristiano, o come direbbe ancora oggi Carlo Francesco D’Agostino, totalmente avulsi da una visione dell’uomo trans politica, metastorica e metafisica.

E’ il trionfo di quella modernità il cui padre legittimo furono Lutero e la Riforma, una modernità di stampo laicista, che non pochi avrebbero voluto applicare all’Italia del dopo guerra, ma che in molti continuano ancora oggi sognare e che, passando per una netta separazione fra Stato e Chiesa, chiamano in causa l’assolutismo del Sovrano come forma di auto legittimazione del potere e come forma di governo non più moralmente qualificata nelle sue azioni e nei suoi programmi.  

Oggi queste forme di autolegittimazione del Sovrano assolutista portano il nome di omoparentalità, matrimonio fra omossessuali, uteri in affitto, aborto, eutanasia, attacchi alla famiglia naturale più meno velati, omofobia, islamofobia, lotta alla identità delle nazioni e dei popoli, ecoimperialismo, multiculturalismo d’accatto e professionisti dell’accoglienza e del terzo mondo con scopi assai poco filantropici di quanto non appaia sulle prime.

No, non piace proprio questo 25 aprile. Preferisco ricordare quello che mi fu tramesso ed insegnato dai miei genitori e dai miei nonni.

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