Viterbo IL RACCONTO
Agostino G. Pasquali

IL RACCONTO: Osvaldo, uno come tanti. Primo racconto

  1. Il primo giorno della vita nuova

     Vivere in campagna, o anche semplicemente starci per una vacanza di qualche giorno, impone modi di comportarsi, ritmi, occupazioni, sensazioni, visioni e condizionamenti molto diversi dal vivere in città.

     In città è tutto artificiale, anche ciò che dovrebbe essere naturale come l’aria, l’acqua, la terra, gli alberi. E invece l’aria sa di gas, ma i cittadini ci sono così abituati che non se ne accorgono; l’acqua sa di cloro (quando va bene, cioè se almeno è potabile) o, peggio, odora di fogna; gli alberi sono per lo più esotici rispetto alle essenze autoctone e comunque sono piantati secondo una simmetria innaturale in una terra ostile ricoperta di asfalto; e infatti le radici si ribellano deformando incessantemente il manto stradale. Tutto è ordinato artificiosamente, e per quanto possa sembrare strano è ordinato anche il sudiciume, che infatti viene sistemato in bidoni e cassonetti debitamente differenziati per tipologia ‘monnezzara’; ma, finché è nascosto là dentro, non dà fastidio perché è come inesistente, anche quando i contenitori, opportunamente colorati, stanno in bella vista. Questa, sì, che è cura estetica della città!

     La vita degli esseri umani cittadini è regolata minuziosamente. Quando la mattina uno si alza, di solito al suono sgradevole di una sveglia, sa già cosa deve fare ad orari precisi: i giovani vanno a scuola immusoniti, gli adulti vanno al lavoro immusoniti, i vecchi pensionati altrettanto immusoniti ciondolano in giro per casa rompendo le scatole alle mogli e poi, quando queste non ne possono più, vanno in giro a rompere le scatole agli amici. Tutte queste operazioni sono imposte con una esasperante pignoleria da leggi, da contratti, dall’orologio e dagli ordini delle mogli.

     Però c’è pure l’orario del tempo libero: allora tutti a smanettare freneticamente sullo smartphone, oppure al centro commerciale per lo shopping compulsivo.

     Certo, immagino l’obiezione: questa è una semplificazione! I cittadini non sono tutti così, ci sono pure i disoccupati, i malati, i bastian contrari e gli spiriti originali.

     Lo ammetto, so bene che ci sono tanti casi diversi, ma chi si comporta diversamente: o passa per ‘sfigato’ perché sta attraversando un periodaccio per problemi di salute o di economia, oppure è ritenuto un ‘tipo strano’. Io, per esempio, sono pensionato, non rompo le scatole a mia moglie perché sono vedovo, ma a suo tempo gliele rompevo, eccome! e non le rompo agli amici, ma passo il tempo a leggere e a scrivere racconti. E per questo chi mi conosce mi considera ‘un tipo stravagante’ perché pensa che scrivere in modo normale e corretto sia roba da museo: oggi tutt’al più si compongono messaggini e tweet in un linguaggio orripilante. E i racconti poi, chi li legge? Sì, c’è qualcuno che li legge, ma è considerato stravagante quasi quanto chi li scrive.

  

     In campagna la vita è diversa.

     Però devo essere sincero e quindi dichiarare che l’idea della campagna che Osvaldo si è fatta, è un’immagine televisiva e perciò irrealistica; valeva una volta, cento anni fa, e forse nemmeno a quel tempo; e comunque è falsa perché vivere in campagna non è affatto quell’acquerello ottimistico che ci mostrano le rubriche verdi della TV.

     Dunque per essere obiettivo trascriverò ora il racconto del primo giorno della vita nuova di Osvaldo, traendolo dal suo diario (mi ha autorizzato). Infatti Osvaldo quando lasciò la città per cominciare una nuova vita, decise di registrare gli avvenimenti in un diario, in modo tradizionale e su carta, niente computer. Il computer è per lavoro. Per la fantasia e il sentimento è meglio la vecchia e semplice penna e un romantico diario rilegato in pelle.

     Osvaldo sa scrivere e, se ne ha l’occasione, scrive volentieri, e lo fa pure bene. Gli sarebbe piaciuto fare lo scrittore, però da lavoratore cittadino aveva potuto scrivere soltanto lettere commerciali e relazioni, e neppure sempre ma solo quando gli era capitato di lavorare in un ufficio come aiuto di segreteria. Il diario gli ha permesso di dare sfogo alla sua vena letteraria. Anche questa è una libertà che la nuova vita gli ha concesso. E io ne approfitterò di tanto in tanto copiando da quel diario.

Diario di Osvaldo

1° marzo 2016, S.Albino, ore 21.30

     Inizio oggi il diario della mia nuova vita da ‘cidì’ (coltivatore diretto). Cidì! A dirlo mi emoziono: sono proprietario terriero, è roba mia, e la coltivo, o meglio, la coltiverò. Perché per ora ‘cidì’ lo sono soltanto giuridicamente (ho già fatto le ‘carte’), e non mi occupo materialmente di agricoltura. Devo prima sistemarmi e decidere quali sono le cose più urgenti da fare, sia in casa sia nel campo.

     Sandrone mi ha promesso di darmi un po’ di consigli, ma io intanto studierò facendo ricerche con Google e Wikipedia. Devo acquisire un minimo di conoscenze sulla coltivazione del grano e delle piante da frutto, degli olivi in particolare. Per ora niente allevamento di animali. Non ho le competenze: se pianto un pesco e questo si secca, mi dispiace ma non è cosa grave, ma se allevo un animale, per esempio un coniglio, e questo muore, mi verrebbero i sensi di colpa, mi sentirei reo di coniglicidio colposo.

     Stamattina stavo ancora in città. Sono stato svegliato alle sei dal telefonino che ha suonato la sveglia militare: tarà-tarà-ttarì-tarà… (cappella marca visita…),un caffè al volo e poi ho caricato nella Panda le mie cose, ho dato un ultimo sguardo all’appartamento che non è più mio, ho consegnato l’ultima copia delle chiavi al nuovo proprietario mettendogliele, come concordato, nella cassetta delle lettere e sono venuto qui.

     Rimpianti? Nostalgia? Beh, un po’ sì, soprattutto mi è dispiaciuto di aver dato una delusione ai miei genitori che quella casa avevano comprato e mantenuto con cura gelosa. Ma loro non ci sono più e io non sono il tipo che si affeziona agli oggetti. Veramente mi affeziono poco pure alle persone, figuriamoci se mi affeziono alle case e alle cose. A proposito di cose: ho conservato i vecchi mobili di famiglia, roba di legno massello, noce e castagno; li ho fatti portare qui ieri, e qui stanno meglio che in città dove il consumismo e la moda impongono di comprare (spesso) usare (poco) e gettare (presto) la mobilia dell’Ikea, che è di gran figura, ma è fatta di segatura, colla e plastica.

     Ho passato la giornata a sistemare la mia ‘nuova’ casa.

     Devo dare un apprezzamento e un grazie a Sandrone che me l’ha lasciata vuota e pulita dopo aver fatto aggiustare, per quanto possibile, infissi e impianti. È una brava persona questo Sandrone, cercherò di farmelo amico perché è simpatico e mi può essere utile.

 

     Ora, mentre scrivo, mi sento un po’ solo. Mi guardo attorno e vedo un ambiente estraneo, ostile perfino. Sulle pareti, dove la tinteggiatura qua e là sbiadisce, si sono formate ombre che sono fantasmi e mi sembra si muovano. Mi stropiccio gli occhi e tornano ad essere macchie. E poi c’è un silenzio che mi dà una sensazione di freddo, la quale sensazione sommata alla temperatura bassa (17°C qui in camera) mi mette addosso un po’ di angoscia, leggera, sottile, ma sensibile.

     Effetto della solitudine? Ma Gina non è voluta venire subito, ha preteso che la casa sia sistemata. Ha detto: “Minimo: camera da letto a posto e riscaldamento funzionante”. E questo è un guaio perché il riscaldamento non c’è. Mi dovrò procurare qualche radiatore elettrico o a kerosene.

     Ma come si viveva una volta senza termosifoni? Devo chiedere a Sandrone che qui ci ha vissuto per parecchi anni.

 

   Un’ora fa stavo in cucina e ci stavo bene col fuoco acceso. Ho cenato con una braciola cotta alla griglia nel caminetto. È venuta bene, proprio una delizia. Non pensavo di essere capace di cucinare alla brace, anzi non pensavo neppure di essere in grado di accendere un fuoco. Io ‘iure dominus, sed nullius artifex’ (padrone per diritto, ma del tutto incapace di fare le cose naturali) non ci avevo mai provato ad accendere con i fiammiferi. Però ci sono riuscito e il risultato mi inorgoglisce.

     Anzi no! Ora ricordo di aver acceso un fuoco da ragazzino, quand’ero boy scout, ma con il trucco dell’alcol denaturato rubato prelevato dalla cassetta del pronto soccorso. Feci un gran fuoco, fiamme così alte che raggiunsero i rami bassi di un pino e per poco non incendiai l’accampamento. Tutti i boys, dal lupetto più giovane al rover anziano, dovettero fare il passamano con i secchi prendendo acqua in un ruscello che per fortuna stava al margine del campo scout. Però fu un’avventura come un gioco, ridevamo e ci divertivamo.

     Ora mi chiedo: “Perché scrivo queste cose e mi lascio andare ai ricordi? Nostalgia?”

     No, non ci voglio pensare!

     A cena ho aperto una bottiglia di vino, una delle sei che mi ha lasciato Sandrone in omaggio: un rosso forte, profumato di uva e frizzante il giusto. Roba che al supermercato te la sogni.

     Peccato che il camino non tiri molto bene e quando ci sono raffiche di tramontana, oggi c’è tramontana, ha dei ritorni di fumo piuttosto sgradevoli. Ma nella vita non si può avere tutto e bisogna saper accettare anche gli inconvenienti. Questo atteggiamento tollerante è giustificato? oppure sto truccando un pochino il ragionamento per non ammettere che forse ho sbagliato a venire qui? Ma no, che non ho sbagliato.

     “Oggi è un nuovo giorno!” Dico così come disse la Rossella O’Hara nel film ‘Via col vento’... No, disse un’altra cosa? Booh! Bello però ‘Via col vento’! ma che vento era? tramontana come qui? Ci può essere la tramontana in Georgia? o era Louisiana? Non ricordo bene. Mi sento un po’ confuso. Forse il vino… mi gira un po’ la testa e mi sta venendo sonno…

     “Buona notte!”

   Ma a chi la auguro? Qui non c’è nemmeno un cane.

Agostino G. Pasquali

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