Vignanello CRONACA

Un intervento della dottoressa Antonella Litta, referente dell’Associazione medici per l’ambiente - Isde, nell’ambito dei lavori del convegno: “Sostenibilità ambientale e sociale, la sfida della nocciola per il viterbese. Le problematiche, le soluzioni ed esperienze da altri territori”, svoltosi sabato 22 aprile 2017 nella Sala consiliare di Vignanello.

Organizzato dal Biodistretto della Valle Amerina e delle Forre e dall’Associazione italiana agricoltura biologica - sezione del Lazio, si è svolto sabato 22 aprile 2017, nella Sala consiliare del Comune di Vignanello, il convegno: “Sostenibilità ambientale e sociale, la sfida della nocciola per il viterbese. Le problematiche, le soluzioni ed esperienze da altri territori”.

Al convegno ha preso parte la dottoressa Antonella Litta, referente dell’Associazione medici per l’ambiente - Isde(International society of doctors for the environment).

Di seguito un estratto dell’intervento della dottoressa Litta.

“ La parola greca Bìos significa vita e allora un biodistretto deve essere un territorio dove, e a maggior ragione, si mettono in atto interventi ed azioni a tutela della vita, della salute delle persone e della salute dell’ambiente nel suo complesso, nel rispetto dell’articolo 32 della Carta costituzionale e in applicazione del Principio di precauzione che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici.

Le attività dell’agricoltura intensiva e convenzionale con l’utilizzo di pesticidi, diserbanti e fertilizzanti chimici rappresenta una costante minaccia per la vita, la salute delle popolazioni, degli agricoltori e in particolare per la salute dei bambini e delle future generazioni.

La prima e vera prevenzione consiste non nella diagnosi precoce di una malattia ma nel non far ammalare le persone e questo può essere ottenuto riducendo tutte le fonti di inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo e del cibo e quindi anche con una agricoltura che rinunci subito all’utilizzo di sostanze di sintesi chimica utilizzate in forte misura anche nelle monocolture come quella della nocciola, sempre più diffusa nel territorio viterbese, a scapito di altre coltivazioni e con conseguente impoverimento dei suoli ed elevato consumo e rischio di inquinamento dell’acqua.

Con il termine generico di pesticidi si indicano tutte quelle le sostanze che interferiscono, ostacolano o distruggono organismi viventi (microrganismi, animali e vegetali) utilizzate nell’agricoltura intensiva di tipo industriale e che comprendono: diserbanti, fungicidi, insetticidi, nematocidi, erbicidi etc.

Si tratta per la maggior parte di sostanze tossiche, persistenti, bioaccumulabili che possono penetrare nella catena alimentare anche come multiresidui e che si possono riscontrare perfino nei cordoni ombelicali e nel latte materno. Tali agenti hanno un impatto negativo non solo sugli organismi che vogliono contrastare e distruggere ma anche su moltissimi altri organismi viventi, interi ecosistemi, nonché sulle proprietà fisiche e chimiche dei suoli e sulla salute umana.

In Italia il consumo di tali sostanze è tra i più alti d’Europa; nel nostro paese si utilizzano ogni anno circa 135.000 tonnellate di pesticidi, con una media di oltre 5 kg di principi per ettaro.

Attualmente, la massiccia diffusione di pesticidi nelle matrici ambientali - acqua, aria, suolo e alimenti- evidenzia un’esposizione biologica a tali sostanze e ai loro metaboliti le cui proporzioni devono essere seriamente ponderate in relazione ai loro documentati impatti negativi.

L’esposizione a “dosi piccole” ma prolungate nel tempo ovvero l’esposizione cronica è un problema che ormai non riguarda più solo le esposizioni professionali, ma l’intera popolazione attraverso il cibo, l’aria e l’acqua e rappresenta una preoccupazione di sempre maggior rilievo per la salute pubblica.

I danni provocati da questi composti possono variare in relazione alla tipologia delle molecole considerate, alla loro quantità, alla compresenza di più principi attivi in miscele, ai contesti ambientali in cui tali molecole si disperdono, e alla diversità degli organismi esposti.

Una mole davvero imponente di studi scientifici, condotti a cominciare dagli anni ’70, ha comprovato come l’esposizione cronica a pesticidi possa comportare alterazioni di svariati organi e sistemi dell’organismo umano quali quello nervoso, endocrino, immunitario, riproduttivo, renale, cardiovascolare e respiratorio.

L’esposizione a tali sostanze è pertanto correlata ad un incremento statisticamente significativo del rischio per molteplici patologie quali: neoplasie, diabete mellito, patologie respiratorie, malattie neurodegenerative (in particolare morbo di Parkinson, malattia di Alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica (SLA), malattie cardiovascolari, disturbi della sfera riproduttiva, disfunzioni metaboliche ed ormonali, specie a carico della tiroide. Particolarmente elevati sono i rischi per tumori del sangue.

Anche nei bambini figli di agricoltori o comunque esposti a pesticidi aumenta il rischio di neoplasie, in particolare di linfomi, leucemie e tumori cerebrali. Particolarmente a rischio appare l’esposizione in utero: il rischio di leucemia infantile per esposizione residenziale è risultato il doppio dell’atteso per esposizione durante la gravidanza anche a pesticidi per uso domestico.

Tali rischi inoltre sono ancor più elevati se l’esposizione avviene nelle fasi più precoci della vita, a cominciare dal periodo embrio-fetale e proprio il cervello in via di sviluppo appare come un organo estremamente sensibile a tali agenti. Una recente revisione della letteratura scientifica ha confermato che per esposizione in particolare a pesticidi organofosforici si registrano danni della sfera cognitiva, comportamentale, sensoriale, motoria, riduzione del   Quoziente Intellettivo e si evidenziano alterazioni specifiche negli esami di RMN cerebrale.

In Svezia, dove dal 1970 sono stati banditi alcuni tipi di pesticidi (clorofenoli ed erbicidi fenossiacetici), si è   registrato, a cominciare dagli anni ’90, la riduzione dell’incidenza di linfomi non Hodgkin.

Tutto ciò conferma che sia scelte politico-economiche (ad esempio ordinanze sindacali di divieto dell’utilizzo di fitofarmaci e mense scolastiche ed ospedaliere rifornite con prodotti biologici), che scelte individuali di sani stili di vita possono generare importanti benefici per la salute pubblica.

Anche le drammatiche quanto emblematiche storie di molti bacini lacustri tra cui anche quello di Vico, evidenziano la necessità di un rapido abbandono dell’agricoltura intensiva e chimica in favore di una agricoltura più sana, naturale, ecologica, rispettosa cioè della composizione e della vitalità dei suoli, della biodiversità e non asservita alle monocolture, che non inquini l’aria, l’acqua e quindi il cibo; una agricoltura che sappia riappropriarsi delle conoscenze e dei saperi acquisiti nel corso dei millenni di storia umana, ricominciando a produrre rispettando i naturali cicli della terra e insieme la dignità del lavoro, tutelando così l’ambiente e la salute di tutti a cominciare proprio da quella degli agricoltori e delle loro famiglie”.

Per comunicazioni:

Associazione italiana medici per l’ambiente - Isde di Viterbo
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