Montefiascone L'OPINIONE
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L'eco-imperialismo e i suoi derivati - Prima parte

Il giornalista Giuseppe Bracchi

Ripartiamo dalla domanda finale, quella con la quale ci eravamo lasciati la scorsa puntata: che parte avrà il diritto, una volta che non più la veritas, ma solo l’auctoritas sarà la stella polare del Nuovo Ordine Mondiale?

Di certo la giustizia non sarà più l’orizzonte cercato e voluto dal giurista e da coloro che saranno chiamati a legiferare o ad applicare la legge. Il diritto diverrà soltanto e solo uno strumento semplicemente e puramente strumentale al servizio dell’ideologia e del potere.

Consideriamo, infatti. L’art. 1 della Legge 22 Maggio 1978 n. 194, eufemisticamente chiamata legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, testualmente recita: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana fin dal suo inizio.

L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.

Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini delle limitazioni delle nascite.”

Solo considerando questo enunciato, non surrettizio, ma fondamentale per comprendere l’intero impianto della legge 194 e attualizzandolo e contestualizzandolo nell’ambito dei recenti avvenimenti, in specie la volontà di escludere dai consultori i medici obiettori, si comprende come tale enunciato sia soltanto un simulacro, un monumento all’ipocrisia.

Non parliamo poi delle difficoltà che i Centri di Aiuto alla Vita devono superare quotidianamente all’interno dei consultori e delle strutture sanitarie ideologicamente ben orientate, per far accettare le loro presenza e per svolgere la loro missione del tutto legittima e per nulla affatto terroristica di far desistere le donne dall’attuare il loro proposito, il più delle volte per niente affatto libero come si vorrebbe, di sopprimere nel seno materno una creatura umana innocente ed incolpevole.

Al riguardo, esiste un’abbondante letteratura che documenta i traumi post aborto di tantissime donne, che non avrebbero mai soppresso la loro creatura nel grembo materno, se soltanto fossero state adeguatamente assistite e sostenute da un punto di vista morale sociale ed economico. Ma difficilmente questa letteratura trova accoglienza nelle comuni librerie o sulla grande stampa sedicente libera ed indipendente. Fatte ovviamente le debite eccezioni.

Eppure, la nostra Costituzione più bella del mondo, così come piace essere appellata dai soliti Soloni e Catoni ideologicamente ben orientati, all’art. 2 “riconosce (attenzione alla terminologia giuridica giacché la Costituzione è nata dopo la II Guerra Mondiale e con intenti ed intenzioni ben precise, n.d.A), e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Ora si mettano a confronto tutto l’impianto della Legge 194, a cominciare dall’art. 1 e ss.gg, con i dati che non sempre il “solerte” Ministero della Sanità porta a conoscenza del Parlamento e dell’opinione pubblica, ovvero i dati riguardanti cifre, numeri e, soprattutto, motivazioni circa l’eufemistica interruzione volontaria della gravidanza ed i principi fondamentali della Costituzione, e credo che nessuno che si dichiari veramente libero e scevro da qualunque orientamento ideologico possa serenamente e con coscienza affermare l’assenza di contraddizioni, incongruenze, quando non addirittura stridenti contrasti con la Legge Fondamentale della Repubblica.

Stando anzi ai recenti avvenimenti, riguardanti l’introduzione dell’educazione sessuale e di genere (sic!) nelle scuole, si potrebbe, perfino dimostrare la impossibilità di coesistenza tra un divieto generale di aborto ed una penetrante legislazione educativo sociale, poiché la seconda sembra esigere necessariamente il primo. Scartata questa ipotesi, come intende allora lo Stato garantire il valore sociale della maternità e tutelare la vita umana fin dal suo inizio? Ma, soprattutto: quando ha inizio la vita umana?

Su questa domanda, infatti, a mio avviso, si gioca tutta la partita riguardante la Legge 194 e le sue possibili future limitazioni e modificazioni. Perché il problema è, per l’appunto ideologico. Certamente l’inizio della vita è un fatto biologico, che spetta allo scienziato e non al giurista o al legislatore individuare. Ma è altrettanto certo che l’inizio della vita umana è ormai pacificamente individuato nel concepimento (Al riguardo si può consultare il Resoconto–sommario Senato, 268 esima seduta, 16 maggio 1978: relatori di maggioranza Senn. Pittella – Tedesco).

Rebus sic stantibus, perché il Legislatore ha omesso l’indicazione del concepimento come inizio della vita? Il Legislatore, da un lato ha scelto la via della formulazione di principio, dall’altra parte ha omesso di recepire il dato biologico, dichiarandosi “neutrale” difronte alle questioni di principio. Pessima scelta, a mio giudizio.

Perché la formulazione di principio si è smarrita nel vortice ideologico, finalizzato a fare della donna l’unica parte attrice della scelta, seppur dolorosa (a proposito: il vile maschio che fine ha fatto, quale parte recita?) e del concepito la vittima sacrificale dell’ipocrisia di un Legislatore ambiguo. Non solo ma non sempre quel principio di neutralità è stato sempre rispettato dalla giurisprudenza, come vedremo nella prossima puntata.

Continua

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