Viterbo IL RACCONTO DI AGOSTINO
Agostino G. Pasquali

IL RACCONTO: Caro Agostino ti scrivo xké … (Storia di Mariano – parte prima)

Caro Agostino, ora ti chiedo: “Puoi immaginare il subbuglio di sensazioni e pensieri che hanno sconvolto il mio animo in quel momento?”

     Non credo proprio, perciò cerco di descriverti ciò che sentivo.

     Mentre calavo il colpo sul gatto mi consideravo orgogliosamente un difensore del debole, ero impegnato a proteggerlo e quindi legittimato a usare la violenza contro l’aggressore. Ma subito dopo mi sono reso conto di essere stato io stesso un aggressore, l’aggressore di un aggressore, il più forte sul meno forte; inoltre ero stato un difensore inutile perché il canarino era comunque gravemente ferito, ormai agonizzante. Dunque avevo esercitato più che altro la funzione del vendicatore, ed ero al contempo consapevole che la mia vendetta non riparava il male ed era in ogni caso un sentimento riprovevole; tuttavia, mi vergogno di dirlo, ne avevo tratto piacere, un piacere disgustoso ma esaltante.

     Passati i primi istanti di entusiasmo impulsivo, esaurita la fase di riesame coscienzioso, mi si è presentato un compito ben più penoso del rimorso: dovevo mettere fine alla sofferenza di quei due poveri esseri. E c’era un solo modo di farlo: sopprimerli.

     L’ho fatto. L’ho dovuto fare.

     Ti risparmio i particolari di quella ripugnante operazione. Ti dico solo un dettaglio della fine del gatto perché è importante per capire il seguito della mia storia. Nerone, ormai impotente, mi fissava con uno sguardo nel quale ho visto una selvaggia e primordiale rabbia e percepito una maledizione, un’invocazione al dio dei gatti perché facesse su di me una altrettanto orribile vendetta. Forse è stata solo una mia immaginazione? Può essere così, ma ti assicuro che a volte l’immaginazione può avere effetti peggiori della realtà.

     Nei giorni seguenti, o meglio nelle notti seguenti il fattaccio, ho sognato più volte che un gatto gigantesco mi addentava al collo, ma senza ferirmi, senza sbranarmi, anzi morbidamente, stringendo però le fauci con l’evidente intenzione di soffocarmi. Mi svegliavo trovandomi effettivamente quasi soffocato dal lenzuolo attorcigliato intorno al collo.

     Chi mi aveva quasi strozzato? e come? Quale mano invisibile aveva avvolto il telo come un cappio? Era stato un viluppo casuale? Direi di no, perché si è ripetuto per notti successive. E poi, quando mi svegliavo ansimante, mi pareva di vedere (immaginavo?) un’ombra nera che scivolava via senza far rumore ma emettendo il minaccioso soffio dei gatti.

     Troppa fantasia o stavo diventando pazzo?

     Poi, con il passare dei giorni, ho riacquistato una relativa tranquillità e, con l’aiuto di un tranquillante, il sonno è tornato normale. Mi è rimasto però un rimorso e un desiderio di riparazione che non sapevo come realizzare.

     Mi ha di nuovo aiutato il sito vegetariano proponendo, ovviamente non solo a me ma a tutti i frequentatori, di perfezionare la mia naturalità diventando vegano. Mi son detto:

     “Giusto! Giustissimo! Non mangiare gli animali va bene, ma non basta. Non bisogna neppure sfruttarli facendoli lavorare per noi come schiavi, facendogli produrre con pratiche artificiose latte e uova secondo ritmi innaturali, sottraendogli pelli peli e piume, e utilizzando questi ‘prodotti’ (che brutta parola!), anzi rubandoglieli per un fine egoistico, per il nostro piacere.”

     Sono diventato vegano e ne ho tratto un notevole giovamento per la mia salute. Però quando l’ho detto a mia moglie, con la quale ogni tanto mi incontravo, lei ha fatto un sorriso di compatimento e m’ha detto che di lei mi potevo scordare definitivamente.

     Ma se mia moglie mi aveva solo compatito, con la gente era peggio: venivo guardato con sospetto e talvolta deriso.

     Devo dire però che, quando mi trovavo a parlare con persone onnivore ma intelligenti e aperte, riuscivo a discutere almeno alla pari e a convincerle che l’essere umano possiede istinti aggressivi innati, animaleschi, primordiali, i quali, essendosi civilizzato, dovrebbe reprimere; invece li sfoga nella guerra, nella rivalità in genere, nella lotta economica, nello sport... e schiavizzando gli animali.

     A seguito di obiezioni sensate dovevo però ammettere che mangiare e sfruttare gli animali ha avuto indubbiamente per l’uomo primitivo una funzione indispensabile, che è rimasta utile nell’antichità, e si conserva tutt’ora per abitudine e per comodità. Alla fine si concordava sul fatto che il progresso c’è stato, lento e faticoso, e però non è del tutto compiuto, e che le persone di buona volontà si devono impegnare per questo progresso. Però non riuscivo a dare ai miei interlocutori una prova convincente della necessità di evitare ogni sfruttamento degli animali.

     La mia era una fede dogmatica? Ero un fondamentalista irragionevole?

     No! Il sito mi dava le giuste motivazioni e certezze.

     Con il passare del tempo la mia convinzione di dover rispettare gli animali diventava però un’ossessione: consideravo immorale anche tenere un cane in casa o i pesci nella vasca del giardino. Quando esplicitavo queste mie idee, ne ricevevo derisione, disprezzo ed ero sospettato di essere ‘fissato’ o addirittura ‘pazzo’.

     Ogni occasione era per me un motivo di discussione e disapprovazione delle idee altrui. Probabilmente esageravo perché ero diventato proprio un integralista e fondamentalista, sia pure con qualche dubbio che mi tormentava; ero anche piuttosto litigioso poiché raramente mi capitava di trattare con persone intelligente e disponibili, come quelle che ti ho appena citato, e la gente per lo più si offendeva. Sul lavoro indisponevo colleghi e clienti che trovavano insopportabile il mio atteggiamento e se ne lamentavano con il direttore. E così alla fine sono stato licenziato.

     Disoccupato. Non sapevo come far passare il tempo e ciondolavo in casa, poi mi mettevo al computer e ci rimanevo parecchie ore fino a quando gli occhi mi bruciavano e la testa stava per scoppiare. Mi rendevo conto che il mio straniamento dalla vita reale aumentava, ci soffrivo, ma non ci potevo far niente.

 

     Un giorno dell’autunno scorso ho deciso di reagire, sono uscito e mi sono avviato a piedi verso la campagna sperando di trovare in quell’ambiente naturale un po’ di tranquillità e la conferma che le mie idee erano giuste.

     E qui, dove mi illudevo di trovare rispetto per la natura e armonia primordiale, sono rimasto sconvolto da quello che ho visto: un contadino disturbava l’ambiente e spetezzava fumo di gasolio andando su e giù per il campo con un grosso trattore; violentava con l’aratro la nostra madre terra, ne sconvolgeva la superficie, scompaginava la vegetazione naturale e, questo non lo vedovo ma lo intuivo, distruggeva rifugi e nidi di innumerevoli tipi di vita animale e vegetale che in quel terreno dimoravano pacifici e inconsapevoli della catastrofe in arrivo. Ho pensato con orrore:

     “Ma allora a che serve essere vegetariani e vegani? Forse che una talpa, un’arvicola, una lucertola e, perché no? un ragno, una lumaca, una formica non hanno diritto al rispetto che noi diamo a una mucca, a un cane o a una gallina?

     Oh! che siamo razzisti a livello animale?

     E a che serve nutrirsi esclusivamente di vegetali se per produrli si fa questa violenza alla terra e a chi vi abita?

     E quello che io compro al supermercato, selezionandolo accuratamente negli scaffali del vegetariano biologico, è nato e cresciuto forse per mezzo di questa violenza assassina?”

     Tornato a casa ho deciso di mangiare solo frutti spontanei: cicoria di campo, bacche del bosco, funghi, frutti di alberi spontanei. Come ho detto, allora era autunno, e di questi prodotti della terra se ne trovavano abbastanza, cercandoli con tempo e pazienza. Di tempo ne avevo in abbondanza, la pazienza me la imponevo. Con la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno la mia ricerca rendeva sempre meno, ma c’erano ancora cicorie nei prati e cachi sugli alberi dei giardini pubblici, pure frutti nel bosco. Però mi indebolivo, non uscivo più, passavo le giornate a letto e mi nutrivo solo di aria e di acqua. Poi devo essermi addormentato oppure essere svenuto, ma non ricordo niente… e mi sono risvegliato qui, in ospedale.

     Qualche giorno fa, quando ho cominciato a riprendere vita e vitalità, è venuta mia moglie e mi ha raccontato di essere stata lei a trovarmi in stato di incoscienza. Erano giorni che non mi incontrava, non rispondevo al telefono e si era preoccupata. Ha detto di aver chiamato il 118 e dato l’allarme: “Un’ambulanza, urgente! È per un pazzo incosciente moribondo.”

     Amico Agostino, concludo chiedendoti: “Ora ho ripreso conoscenza, non sono moribondo, ma secondo te, sono forse pazzo? magari un po’?”

 

Breve risposta a Mariano

     Caro Mariano,

come vedi ho pubblicato la tua storia. L’ ho adattata letterariamente, probabilmente sono andato un po’ al di là di quanto avevi chiesto con le parole “la racconti al posto mio”. Spero di non aver tradito la tua intenzione.

     Ora vengo alla domanda con la quale hai terminato il racconto: “Sono forse pazzo? magari un po’?”

   Non ti so rispondere perché non sono uno psichiatra. Dato che stai in ospedale ti consiglio di chiedere un consulto specifico. Comunque mi pare giusto darti un risposta generica.

     Vedi, Mariano? Le idee sono prodotti della mente, come gli utensili e le macchine sono prodotti della tecnologia. Dipende da noi usare bene idee e utensili. Un coltello può tagliare il pane (mangialo che è buono e fa bene!), ma anche uccidere. L’automobile può servirti per muoverti celermente e senza fatica (usala per vedere il mondo, che è pure bello!), ma può farti schiantare contro un ostacolo. Sta dunque a te usare gli strumenti correttamente, così come mettere in pratica le idee, per esempio quelle vegetariane e vegane, per il tuo bene, per stare bene, senza distorcerle in modo autolesionistico e senza farne motivo di lite.

     E infine… permettimi di scherzare… lo spazzolone usalo solo per pulire i pavimenti, mai come arma contro i gatti.

Agostino G. Pasquali