Viterbo IL RACCONTO
Agostino G. Pasquali

La Fiat 500 del 1975

Un brutta storia da (non) dimenticare

Prima parte

     Guglielmo Abròlogo uscì di casa immusonito e arrabbiato più del solito, e si avviò a passo lento, controvoglia, verso il centro della città. Era arrabbiato per parecchi motivi, ma in particolare perché doveva andare a piedi.

     Guglielmo Abròlogo non amava camminare, preferiva la comodità dell’automobile, ma non una qualsiasi, esigeva invece un’auto ultimo modello, con i sedili in pelle naturale ed elettroriscaldati, con il climatizzatore automatico, il bluetooth e il navigatore satellitare. Nella sua vita di quasi sessantenne aveva posseduto parecchie auto, tante che nemmeno ricordava esattamente quante, ma se ci pensava e faceva un conteggio arrivava almeno alla dozzina, dalla prima 500 FIAT del 1975 all’ultima, un SUV preso in leasing un anno prima e ritiratogli un mese fa perché aveva sospeso di pagare il canone mensile.

     L’ automobile era la sua passione e segnalava il suo ‘status’: infatti le auto avevano evidenziato gli alti e bassi della sua vita di commerciante titolare di una boutique di abbigliamento elegante, e cioè avevano rappresentato, di volta in volta e da un modello all’altro, sia i periodi di successo (al top aveva posseduto una Porsche 911 Carrera S) sia quelli di magra (una volta aveva utilizzato, ma per pochi giorni e con una certa vergogna, la Panda della moglie).

     Attualmente era in un periodo di magra, anzi di secca completa. La recessione economica generale e la diffusione di supermercati e del commercio online lo avevano costretto, come tanti commercianti, a sospendere l’attività. Formalmente aveva chiuso il negozio per una ristrutturazione dei locali, come si leggeva in un cartello fissato alla vetrina, ma in realtà era ormai rassegnato a una cessazione definitiva.

   La moglie, che l’aveva sposato in vista di una vita ricca e prestigiosa, l’aveva abbandonato nel momento del declino; se ne era andata portandosi via anche la Panda ed era tornata a vivere con la famiglia originaria. Era questa una famiglia all’antica, legata alla terra, solida finanziariamente, che però non aveva mai avuto simpatia per Guglielmo e non intendeva aiutarlo in quel momento difficile. Aveva un figlio che era militare di carriera e stava lontano, spesso in missione, e del padre si ricordava quando aveva bisogno di aiuto economico e perciò in quel momento se ne stava alla larga.

     Guglielmo viveva quindi da solo nella villetta che aveva in periferia ed era l’unico bene che gli era rimasto, ma che era suo soltanto formalmente, perché gravato da ipoteca a favore della banca che lo aveva finanziato nella sua attività di imprenditore.

     Erano le ore 12 del 5 gennaio, una fredda giornata invernale, anzi gelida come non se ne sentivano da parecchi anni da quelle parti dell’Alto Lazio. Però, nonostante il freddo, c’era in giro molta animazione di gente che si affannava a correre da un negozio all’altro per gli ultimi acquisti in vista della befana dei bambini.

     Guglielmo guardava quell’agitazione, osservava la gente entrare nei negozi a mani vuote e portafoglio pieno (così gli ricordava la sua esperienza di commerciante ) e la vedeva uscirne con pacchi, sacchi, scatoloni e portafoglio vuoto (così pensava per la stessa esperienza). Considerava pure l’incongruità di quegli acquisti, fuori misura per la così detta ‘calza della befana’ che, quando lui era stato un bambino mezzo secolo prima, era ancora veramente una calza, magari un vecchio grosso calzettone, rammendato e lavato accuratamente per l’occasione, e riempito di caramelle, cioccolatini, carbone di zucchero e qualche giocattolino.

     Ora la gente si lamentava per la crisi, si diceva costretta a comprare indumenti anonimi al supermercato cinese oppure online da Amazon o Zalando, vestiva quindi casual in modo indecente. Però quella stessa gente spendeva molto per telefonini e giocattoli tecnologici ‘made in China’ … e ai commercianti ‘prestigiosi’ come lui toccava chiudere.

     Con questi amari pensieri, un passo dopo l’altro, arrivò davanti alla banca, entrò e chiese di parlare con il direttore, la cui segretaria lo aveva appositamente convocato con una telefonata dall’apparenza cordiale ma dall’urgenza sospetta. Il cuore gli suggeriva una piccola speranza di poter ottenere un finanziamento, ma la ragione gli prospettava solo brutte notizie.

                                                                                 *     *     *

     “Caro signor Abrològo…” esordì cordialmente il nuovo direttore, anzi ‘direttrice’ perché donna, ma in banca si continua a dire ‘direttore’. Lei sorrideva, ma senza guardarlo in faccia, esaminando invece sul computer la scheda personale del cliente.

   “Non Abrològo, ma Abròlogo! Abròlogo con l’accento sdrucciolo, ‘caro’ direttore! Ci tengo alla giusta pronuncia del mio cognome che, non faccio per vantarmi, ma qui in città è prestigioso …”

     Così Guglielmo le corresse la pronuncia e calcò la voce sul ‘caro’ per ricambiarle la cortesia che gli era sembrata piuttosto falsa.

     Il direttore/direttrice guardò male il suo cliente e lo giudicò mentalmente come un disgraziato che sta precipitando in un burrone e si preoccupa solo del vestito elegante che si sta rovinando tra i sassi e i cespugli: che importanza aveva l’accento piano o sdrucciolo del cognome? Però disse solo:

   “Certo, mi scusi… vengo al dunque…”

     Una pausa contrassegnata dalla scomparsa del sorriso e da un aggrottare della fronte sulla quale si formarono le rughe della serietà e del potere.

     “ Vede signor Abrò…logo, la sua situazione è francamente allarmante e la banca non può continuare a concederle il vecchio fido. Lei deve rientrare dalla situazione debitoria che, tra conto scoperto e rate di mutuo, è di 193.106 euro e … 28 centesimi.”

     “Lo so, direttore! Ma vede? Al momento non posso proprio… la ristrutturazione in corso… Ho idee nuove, progetti per il futuro…”

     “No! Non mi dica queste cose. Ho preso le mie dovute informazioni e so che lei ha praticamente cessato l’attività. Perciò il fido, che ha un carattere strettamente commerciale, come lei ben sa, viene revocato.”

     “Ma io, al momento, non ho la disponibilità…”

   “ Certo, lo so bene e per questo l’ho convocata per farle una… ehm… congrua proposta.”

     “Prego, mi dica… Sapevo che lei è una persona disponibile come il vecchio direttore… cioè ci speravo; mi dica…”

   Guglielmo si affidò alla piccola speranza che la ‘congrua proposta’ poteva significare, ci si aggrappò titubante come uno che sta per affogare e si aggrappa a qualsiasi cosa che galleggi e sia a portata di mano.

     “Sarò franca: la banca le ha già sollecitato più volte, inutilmente, la riduzione della sua posizione debitoria, e ora dovrebbe iniziare la procedura per il suo fallimento… ma io ho insistito personalmente con l’ufficio legale per darle una via d’uscita. Forse, dico forse, c’è una possibilità di evitare il peggio.”

     Guglielmo restò impietrito. Non si aspettava una situazione così grave. La minaccia di fallimento lo annichiliva. Restò qualche attimo in silenzio non sapendo assolutamente come reagire. Il direttore, persona abilissima nell’alternare cortesia e sorriso a severità e minaccia, riprese con un fare mellifluo:

     “La banca è titolare di un’ipoteca sulla sua casa, la quale ha un discreto valore, più che sufficiente a coprire il suo debito.”

     “Appunto…” riuscì a obiettare Guglielmo “Perché allora parlare di fallimento?”

     “Infatti non conviene né a lei né alla banca. Sa? Le lungaggini procedurali, le spese legali, il concorso di altri creditori, magari privilegiati …”

     “E allora?”

     “La proposta è questa. Ceda alla banca la sua casa, o meglio la ceda ad una società immobiliare di questo gruppo bancario; la società la venderà, coprirà il suo debito e le restituirà l’eccedenza. Però, ovviamente, lei deve lasciare subito… beh! diciamo nel giro di un mese… la casa… che deve essere libera. Se no, con lei dentro, chi la comprerebbe?”

     “ Che imbroglio ci sarà sotto?” si chiese Guglielmo.

 

         (Segue e finisce domani)

Agostino G. Pasquali