Viterbo L'OPINIONE “Saio immondo” l'abito di pudore e di modestia femminile che fino a cinquantanni fa era in uso presso tante delle nostre nonne?
Giuseppe Bracchi - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

La mamma degli imbecilli è sempre incinta. Non finirò mai di dirlo e di ripeterlo sulle pagine di questo giornale online. Metti al bifolco una pistola al fianco ed un berretto in testa e vedrete che subito si sentirà il padrone del mondo. E' il caso dell'italico vigile urbano, che in un impeto di sacro furore a rovescio, simile ad un pasdaran de noantri, si è sentito in dovere di minacciare una donna islamica di multa, se non si fosse tolta immediatamente il burkini e non avesse indossato un due pezzi.

Questo è il risultato di una guerra ideologica condotta sullo stesso fronte e con gli stessi metodi. Un lotta ideologica totalmente errata e fuori luogo e, soprattutto, adoperando metodi sbagliati, adducendo minacce e reazioni della norma violata, che non possono tuttavia eccedere, semmai, quanto in essa ipoteticamente ed in via generale contenuto, fino a calpestare la dignità della persona. Eccesso di potere? Abuso di potere? Sicuramente sì. E credo, perciò, che adeguate misure disciplinari andrebbero prese nei confronti di quel vigile urbano, non fosse altro che per eccesso di zelo.

Tuttavia, e non credo affatto di essere lontano dalla realtà a giudicare da certe reazioni nostrane, come diceva nostro Signore Gesù Cristo, spesso nelle dispute si preferisce filtrare l'inezia ed ingoiare il cammello. Pochi di noi, infatti, hanno capito la reale posta in gioco che si cela dietro l'abolizione del burkini. L'islam e le sue seguaci di sesso femminile, in questo caso servono solo da specchietto per le allodole. E lo dimostra proprio la reazione del laicissimo Paolo Flores D'Arcais, la cui lotta contro il burkini, significa proprio, in senso lato, la lotta per sradicare il sacro dalla società moderna, cui ha fatto eco, però, di rimando Giuliano Ferrara nell'edizione weekend de Il Foglio, ponendosi semplicemente una domanda, la cui portata tuttavia è di sconvolgente attualità e racchiude riflessioni sopra le righe, che rompono gli schemi del politicamente corretto: “Può un tipo di mentalità liberale definire “saio immondo” l'abito di pudore e di modestia femminile che fino a cinquantanni fa, giusto o sbagliato, effetto credenza o indotto da pregiudizio, era in uso presso tante delle nostre nonne? Non è un'esagerazione fanatica?”.

Bravo, Giuliano Ferrara. Con un pensiero semplice, semplice, senza ridondanze, orpelli e barocchismi propri dei tanti radical chic, che popolano le spiagge di Capalbio ed oltre, hai messo volontariamente il dito nella piaga. E credo che farà male ai tanti laicisti ottocenteschi, mangia preti della stazza di un Paolo Flores D'Arcais. Domandarsi, infatti, se il cosiddetto comune senso del pudore sia soltanto un dato sociologico, un punto di riferimento per il legislatore o per il giudice, sia un problema fin troppo riduttivo. In Occidente, ma non solo, il senso del pudore, uomini o donne non fa differenza, lo abbiamo perso da un pezzo, tanto che tornerebbe oggi di drammatica attualità la domanda che Shakespeare metteva in bocca, secoli or sono, a quel personaggio dell'Amleto: vergogna, dov'è il tuo rossore?

Del resto non aveva detto lo stesso San Paolo in una delle sue lettere che il corpo è il Tempio dello Spirito, esortando, perciò, il cristiano ad evitare ogni sorta di impudicizia? Basta entrare in un'edicola di giornali, salire su un autobus, navigare su internet, praticare una qualunque spiaggia durante la stagione estiva, per accorgersi quanta impudicizia ci sia nel linguaggio, nell'ostentazione del corpo e delle sue parti intime, da parte di uomini e donne che si appellano alla libertà per dare solo sfogo a dei bassi istinti sessuali? Libertà da cosa? Libertà per che cosa? E soprattutto: qual è e dove risiede la fonte della libertà di ciascuno, nell'individuo stesso, nello Stato quale fonte di eticità assoluta secondo l'hegheliano spirito del tempo? Esiste oppure no un limite alla libertà di ciascuno? E da cosa è dato questo limite? Dall'autorità della legge o dalla sua verità, secondo quanto recita quel motto latino: veritas non auctoritas facit legem?

Sono queste le domande che i laicissimi e laicisti Paolo Flores D'Arcais vorrebbero eliminare dalla società e dal pensiero degli uomini e delle donne di questo secolo, a tutto vantaggio del dominio della tecno scienza e della tecno finanza internazionale, che non richiedono di certo il largo e lungo respiro del pensiero e dell'anima, ma soltanto l'assenso ad un mondo privo di regole, votato al capriccio individuale e con uno stato mamma pronto a soddisfare ogni desiderio richiesto dal mercantilismo selvaggio.

Non possiamo e non dobbiamo cadere in questo inganno. Non sarà con l'eliminazione del sacro che la cosiddetta società moderna riuscirà a contenere i pericoli che ci provengono dal credo o dal fanatismo di altre religioni o di altri nemici. Tutt'altro. Solo con la riabilitazione del sacro riusciremo a capire meglio le motivazioni che stanno dietro alla sua potente evocazione simbolica, fino a farne le ragioni proprie di una religione tanto rispettosa della pudicizia femminile, quanto motivatamente pericolosa nel propagandare ed imporre le proprie leggi ed il proprio credo ad altre società e ad altri popoli.

Voler sradicare le domande fondamentali che puntualmente chiamano le coscienze degli uomini di fronte al tribunale della storia ed al giudizio dell'Onnipotente come chiatte in carovana, che affluiscono dall'oscurità dei secoli, secondo quell'immagine potentemente evocativa della poesia L'Orto del Getsemani, posta in appendice a quel immenso capolavoro della letteratura russa che è e resta “Il dottor Zivago” di Boris Pasternak, significa solo ridare cittadinanza a quelle idee assassine: comunismo, fascismo e nazismo, che hanno tenebrosamente caratterizzato le ideologie del secolo appena trascorso.

Oggi, un nuovo spettro si aggira inquieto per l'Europa, ovvero quello che la compianta studiosa ed antropologa Ida Magli definì con largo anticipo profetico la dittatura dell'Europa. Lo dice l'Europa.... ce lo chiede l'Europa. Cosa dice, cosa chiede questa Europa? E soprattutto qual è il volto reale di questa Europa, che domanda e chiede, fino a ridurre alla fame e al tormento spirituale, svuotandone rappresentanza e sovranità, stati, nazioni e popoli? A tutti noi, uomini e donne di questo secolo, impegnati nei più svariati livelli di responsabilità, l'arduo compito di dare un nuovo volto ed una nuova forma a questa Europa, avendo come stelle polari due requisiti, quegli stessi che l'on. Giulio Tremonti nella parte finale del suo lavoro, Mundus Furiosus ha classificato come irrinunciabili e non negoziabili, ovvero verità e serietà.

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