Viterbo NUOVI RACCONTI DI SOVRANA Quinto racconto (Prima parte)
Un racconto di Agostino G. Pasquali

 

     “E allora? – disse Ettore un po’ spazientito – Te le togli ‘ste mutandine o te le devo levare io?”  

     “Ma… è necessario? In televisione, al cinema, quando ci sono scene d’amore non se le tolgono mica… cioè non subito…” obiettò Italia ancora dubbiosa se, e come, cedere e concedersi.

     Italia, più esattamente Italia Neri, che conosciamo bene come maestra nella monoclasse elementare di Sovrana (*), aveva nell’anno 1969, appunto al tempo di questa conversazione, quarantadue anni d’età. Era signorina e, a dar retta alle chiacchiere della gente, non aveva mai conosciuto un uomo. Conosciuto in senso biblico, s’intende.

 Ma adesso si trovava lì, sdraiata su una coperta in una piccola radura in un boschetto di castagni selvatici appena oltre l’ultima villetta di via Bosco Scuro, in compagnia di Ettore Bellotto. I due si conoscevano da un paio di mesi, da quando Ettore si era trasferito da Roma a Sovrana, dove era arrivato insieme alla figlia Cecilia di otto anni. La bambina era divenuta un’alunna della scuola elementare ed era stata l’occasione che aveva fatto conoscere i due.

     Ettore Bellotto era il classico donnaiolo, quello che ‘deve chiedere sempre’, che ci deve provare appena ha vicino una donna che sia un po’ piacente; era uno di quei tipi che si vantano molto delle loro conquiste e concludono sempre le loro vanterie con:

     “Le donne? Alcune potranno dire di non avermela data, ma nessuna può dire che non gliela ho chiesta!”

   Che è un modo piuttosto strano di vantare i propri successi e ricorda un po’ le arie che si danno certi militari, i quali sono orgogliosi delle cicatrici (di origine incerta), e le mostrano impudicamente, e invece non mostrano le medaglie al valore forse perché non le hanno.

     Però questi tipi sono sicuramente sfacciati e hanno un certo successo con le donne serie e riservate, perché gli altri uomini di solito rispettano anche troppo questo genere di donne, alle quali in fondo non dispiacerebbe essere corteggiate… eccetera eccetera.

     Comunque il nostro Ettore era stato abbandonato dalla moglie che, stanca di sopportare le sue infedeltà, l’aveva ricambiato innamorandosi di un altro uomo, scappando con lui e lasciandogli la figlia da curare e allevare. Allora, essendo del tutto incapace di occuparsi della bambina, non sapendo che altro fare, si era rifugiato presso una zia vedova e sola che abitava a Sovrana dove aveva un’edicola di giornali. Ettore aveva convinto facilmente la zia ad occuparsi di Cecilia e in cambio si era offerto di gestire l’edicola e di ampliare l’attività aggiungendo la vendita di oggetti di cartoleria e regalo. In poco tempo si era inserito nella comunità del ‘piccolo mondo’ e aveva sùbito ripreso ad esercitare la sua arte di seduttore. Dopo aver sedotto una signora notoriamente disponibile a pagamento (‘sedotto’ e ‘signora’ sono ovviamente soltanto modi di dire), aveva rivolto la sua attenzione sulla signorina Italia Neri, la maestra della figlia.

     Italia era nubile per scelta. Tutta presa dallo studio prima e dal lavoro di insegnate dopo, aveva scoraggiato le avance dei coetanei sovranesi e rinviato il momento di crearsi una famiglia, sia perché desiderava farsi prima una posizione, sia perché si sentiva intellettualmente superiore ai suoi coetanei che non avevano proseguito gli studi dopo le elementari. Non si pensi che Italia fosse presuntuosa, era semplicemente consapevole della difficoltà di avere rapporti spirituali con persone estranee al suo mondo alquanto libresco, persone che non considerava inferiori (di questo era convinta), ma sapeva non istruite (e questo era un dato di fatto).

     Non giudichiamola male: erano gli anni ’60 in un mondo piccolo, ancora agricolo, dove per le generazioni ante guerra era stato normale non proseguire gli studi oltre la scuola elementare. In quell’ambiente la maestra era un’autorità subito dopo il parroco, il medico e il maresciallo dei carabinieri. Il prestigio del ruolo implicava anche un certo distacco per cui né il parroco né il medico né il maresciallo davano confidenza, e quindi neppure la maestra la poteva dare.

     Dunque Italia, seria, riservata, piacente ma non più giovane, aveva conosciuto Ettore, e lui subito le aveva dedicato i sui più bei sorrisi e i complimenti per l’insegnamento e per la persona. Aveva una particolare abilità per far capire, senza dirlo esplicitamente ma usando giri di parole fantasiosi, che trovava la signorina maestra molto avvenente, e Italia gradiva quei complimenti come una forma di raffinata cortesia cittadina, inusuale a Sovrana dove gli uomini classificavano semplicemente le donne in bone o racchie, però senza malizia né cattiveria, ma con la sincera rusticità della gente semplice.

   Tuttavia Ettore non era il tipo giusto per lei, che era cresciuta nutrendo la sua fantasia con romanzi e film sentimentali, e sognava un ideale d’uomo longilineo, glabro, biondo, con gli occhi azzurri; un tipo come Alan Ladd, che era il suo divo preferito. Ettore invece era bruno di capelli, scuro di pelle ed esibiva due baffi collegati a cerchio con la barbetta. Ne risultava un insieme così ispido che la parte bassa del volto, dal naso al mento, pareva un riccio di castagne semiaperto.

     C’è da precisare che Italia non aveva mai sentito una forte attrazione per il maschio: forse non era mai stata avvicinata nel modo giusto per risvegliare il suo istinto di femmina, oppure probabilmente era timida e, come si diceva una volta, un po’ frigida, il che significava difficile da conquistare e soddisfare, perciò impegnativa, e tuttavia dotata di un fascino che però intimidiva; non come oggi che, se una donna è poco disponibile, le vengono appiccicate varie etichette (omo, lesbo, trans, nosex), tutte con connotazione dispregiativa.

     Ma Ettore, che era un esperto conoscitore dell’animo femminile, trovò il modo di svegliare il lato romantico di Italia e la fece sentire un’eroina ottocentesca. Infatti sapeva recitare il sentimento, e lo recitava molto bene, però il suo proposito era tutt’altro che romantico: intendeva farla sua (uso questa terminologia delicata invece di quella molto più brutale che montava la testa, e non solo, dell’uomo).

     Cominciò a manovrare per incontrarla come per caso, a trattenerla con chiacchiere amabili quando lei entrava nel suo negozietto a comprare un giornale, le telefonava con la scusa di parlare del profitto scolastico della figlia Cecilia. E ad ogni occasione di contatto rendeva più esplicite le sue intenzioni, ma le nobilitava con parole elevate, scelte accuratamente, e anche con una cert’aria intellettuale costruita furbescamente con la lettura giornaliera. Infatti, da quando stava a Sovrana e faceva l’edicolante, leggeva molto perché aveva poco altro da fare oltre che esporre, vendere e spulciare giornali.

     Alla fine con le sue chiacchiere aveva impressionato così favorevolmente la maestra che lei aveva dimenticato il lato estetico non conforme al suo ideale, e lo aveva classificato ‘buono’ nella sua personale scala dei valori umani.

     (Continua e finisce domani 23 giugno 2016)

 Agostino G. Pasquali

……………………………………

(*) Per una buona comprensione dei ‘nuovi racconti di Sovrana’ è utile ricordare fatti luoghi e personaggi di ‘Piccolo mondo a Sovrana, i quali si ritrovano anche in questo racconto.

Piccolo mondo a Sovrana - Scaricalo sul tuo computer in PDF, clicca qui