Viterbo CRONACA Coinvolgenti le informazioni fornite e commentate da Mancini che partono da lontano, dai tempi della Roma classica
Vincenzo Ceniti

Vincenzo Ceniti, Rosetta Virtuoso, Bonafede Mancini

Ebrei. L’argomento tira e fa notizia specialmente in momenti come questi, in cui sperimentiamo di persona, seppur in toni diversi, le difficili convivenze con gli “altri”. Il Touring Club  dedica due, dei cinque  “Pomeriggi Touring”, al tema intrigante delle comunità ebraiche presenti un tempo nella Tuscia Viterbese.

Nel primo incontro di venerdì scorso a Palazzo Brugiotti, lo storico Bonafede Mancini ha svolto, davanti ad un nutrita platea, un serrato excursus sulla presenza dei giudei in alcuni centri del Patrimonio di San Pietro nel Cinque-Seicento.

Nel secondo incontro di marzo (sempre a Palazzo Brugiotti, ore 17,00) l’esperta di abiti rinascimentali, Elisabetta Gnignera, parlerà di “Vesti e signa degli Ebrei in Italia dal 1300 al 1700”.  

Coinvolgenti le informazioni fornite e commentate da Mancini che partono da lontano, dai tempi della Roma classica (Tacito), quando gli ebrei per pagare l’onta della crocifissione di Cristo, furono costretti  ad “errare” nel mondo senza pace e senza patria. Ecco perché le loro attenzioni si sono rivolte al “commercio” del denaro, piuttosto che ai beni immobili (case, vigne, terreni) riservati per natura a popolazioni stanziali. .

Gli epiteti affibbiati loro e ingigantiti dalla storia sono sconcertanti: usurai, blasfemi, libidinosi e via discorrendo. Ma oltre ad usurai e  banchieri, erano anche e soprattutto medici. Nel medioevo la maggior parte era giudea, anche perché la chirurgia veniva considerata un mestiere impuro.

Nel Cinquecento dopo le epurazioni di Paolo IV molte comunità si rifugiarono nei paesi di confine nord dello Stato Pontificio riuniti intorno a Castro. Parliamo di Pitigliano (la “Piccolo Gerusalemme”), Valentano, Gradoli, Onano ed altri dove resiste ancora il ricordo dei ghetti con tanto di Sinagoghe. Quella di Pitigliano è stata restaurata ed è visitabile. La Cantina Sociale del posto ha addirittura siglato un accordo con le comunità ebraiche italiane per l’annuale fornitura di partite di vino.

Sulle tavole cosa c’è di ebraico? Certamente i carciofi alla giudia (olio aglio e mentuccia) e, strano a dirsi, le ciambelle con l’anice. Ma anche l’orzo con il latte a colazione. Secondo Mancini fa riflettere il gesto di un fattore del principe di Brazzà, tale Fortunato Sonno di Piansano,  che dopo le leggi razziali del 1939 protesse, insieme ad altri contadini del posto, l’identità di una famiglia ebrea fuoriuscita da Pitigliano che si era rifugiata in una grotta presso il laghetto di Mezzano. Per questo gesto umanitario, il nome di Fortunato Sonno è scritto nel “Muro dei Giusti” di Gerusalemme.

Vincenzo Ceniti

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