Viterbo IL RACCONTO Appena arrivati in ospedale il medico di turno informa che il ricoverato è  in sedazione  farmacologica profonda
di Agostino G. Pasquali
I precedenti racconti
IL RACCONTO: Teresa e il buon ladrone - prima puntata
IL RACCONTO: Teresa e il buon ladrone – seconda puntata


Ospedale

3.      Bono Laden

    Teresa riconosce quella grafia e la ricollega immediatamente a… come chiamarlo? diciamo così? …a  Bono Ladrone;  suppone pure che  quella grafia potrebbe appartenere all’uomo della fotografia, quello ricoverato in fin di vita all’ospedale, che quindi sarebbe proprio Bono Ladrone, ma non ne è sicura.

Non l’ha visto in faccia quando le ha rubato il portafogli, infatti le stava dietro le spalle mentre lei pasticciava con le monete. Ma se quel poveretto più morto che vivo, come ha detto Sante,  non è lui, come mai quel bigliettino, scritto sicuramente da Bono Ladrone, stava nella tasca di un altro?

     Il poliziotto si rende conto di aver detto e chiesto tutto quello che doveva dire e chiedere, perciò, poiché a quell’ora reca un disturbo alla famiglia, dovrebbe andarsene; tuttavia, preso da uno scrupolo, insiste:

     “Non è che verresti in ospedale a vederlo? Io comunque devo farti firmare la dichiarazione che non lo conosci, però… hai visto mai? È sempre meglio essere sicuri prima di mettere nero su bianco.”

     Teresa accetta. Si avviano e, mentre sono in viaggio, chiede:

     “Sante? Perché sei venuto a casa? e perché proprio tu?”

     “Giusta domanda. Veramente non dovevo occuparmi io della faccenda. Bastava convocarti oppure far passare a casa tua una volante che gira in città. Però mi è capitato per caso, in questura, di sentire che dicevano il tuo nome e, proprio per evitarti fastidi e magari uno spavento, ho deciso di venire io personalmente da te.”

     Appena arrivati in ospedale il medico di turno informa che il ricoverato è  in sedazione  farmacologica profonda, ma non è in pericolo di vita. Ha subito un trauma cranico con ferita lacero contusa per un colpo alla nuca che gli è stato dato con un bastone o qualche oggetto analogo. La TAC è risultata negativa e quindi, per sua fortuna, non sembra che abbia danni cerebrali permanenti. Non deve essere disturbato, comunque alla polizia è permesso di vederlo, solo vederlo, non parlargli, perché è incosciente.

     Il sovrintendente e Teresa entrano nella stanzetta dove l’uomo giace a letto, intubato e collegato a strumenti e monitor, proprio come si vede nei telefilm. Sono scoperti soltanto il volto e le braccia. Teresa gli si accosta e lo guarda attentamente: il colorito del volto è piuttosto scuro, come uno che sia fortemente abbronzato; non c’è più la vistosa fasciatura, la medicazione sta solo dietro la testa, e si vedono bene  i capelli che sono neri, folti e ricci…

     Teresa ha un tuffo al cuore… l’uomo somiglia incredibilmente all’uomo del sogno e all’improvviso le viene in mente di averlo già visto non soltanto in sogno ma anche nella realtà… al supermercato. Si ricorda adesso e chiaramente che, prima del borseggio, mentre stava prendendo le confezioni di prosecco, ha intravisto per un attimo quell’uomo che la fissava, era sorridente, ma è divenuto subito serio (preoccupato?) ed è scomparso. Incredibile! Ma l’uomo del sogno era proprio uguale all’uomo del supermercato, salvo ovviamente che al supermercato i capelli non erano diventati serpenti. Di quel volto si era dimenticata, perché se ne vede tanta di gente girando tra gli scaffali… un attimo… e poi chi se ne ricorda più? Ma il subcosciente può conservare l’immagine e riproporla in sogno.

     “Perché non l’ho riconosciuto subito nella foto di Sante?” si chiede Teresa, e la risposta le viene semplicissima: nella foto, scattata con il flash, il colore della pelle era chiaro e i capelli erano nascosti dalla fasciatura.

     “Teresa, mi sembri sorpresa. Lo riconosci?”

     La domanda viene dal poliziotto Giorgini, non dall’amico Santino. Infatti il tono della voce è serio e ufficiale. Lei non sa che cosa rispondere perché è combattuta dalla necessità di dire la verità, cioè che quell’uomo è un ladro, mettendolo così nei guai, e dal desiderio di aiutarlo. Perché dovrebbe aiutarlo? Perché lei è fatta così, è impulsiva e segue la simpatia più che la ragione. È una donna, no?

     “Ma forse, sì, lo conosco… cioè, non so, mi sembra però… perché…”

     Ah! come sono brave le donne, quasi tutte le donne, ad inventare una storiella. Falsa sì, ma che sembri vera. A loro bastano pochi istanti di incertezza studiata, e poi elaborano bugie con la rapidità e l’efficienza di Google che trova ‘bufale’ e te le presenta credibilissime. Ma le donne hanno in più una fantasia eccezionale. Anche alcuni uomini dicono bugie, come per esempio i politici, ma si capisce subito che le loro sono falsità, oppure, altro esempio, gli scrittori di racconti e romanzi, ma per loro è mestiere e poi non scrivono bugie, ma fantasie, il che è ben diverso… o no? Per le donne invece mentire è naturale, spontaneo, quasi un piacere, come truccarsi e sedurre, due attività che sono poi una specificazione del mentire. Ed eccola la bugia di Teresa:

   “… perché ho ricevuto una mail da un profugo che cercava lavoro. Ho pensato che quello potesse venire utile per aiutare Giovanni in negozio. Lo sai anche tu che ha bisogno di qualcuno che lo aiuti, e io non riesco a star dietro alle sue esigenze. Dunque gli ho risposto a quel tizio, ma gli ho chiesto delle referenze e la fotocopia di un documento. Però lui non mi ha più scritto. Questo è avvenuto due mesi fa e io mi ero dimenticata di tutto…”

     “Ma come fai a pensare che potrebbe essere proprio lui?”

     “Eh? Ah, sì. Perché nella mail c’era anche la foto e ora, vedendolo, penso di riconoscerlo anche se è un po’ diverso;  sembra più anziano, forse la foto era di qualche anno prima, ma i capelli sono uguali.”

     “Per un riconoscimento i capelli non sono determinanti. Si può cambiare colore, taglio e pettinatura. Prendi per esempio Carlo Conti, quest’uomo sembra proprio Carlo Conti, ma Conti di capelli ne ha pochi, quindi non contano per la somiglianza. Però, dimmi piuttosto, perché non lo hai riconosciuto nella foto che ti ho mostrato a casa?”

     “Già, è vero, Carlo Conti con i capelli? ma lì, nella tua foto, aveva la testa fasciata e non si vedevano i capelli…”

     “E dai con i capelli! Piuttosto, ce l’hai ancora nel computer quella mail e la tua risposta? Immagino di sì…”

     Teresa è colta impreparata da questa domanda. Riflette un attimo incerta, pensa: “ Aiaiai! E ora che dico?” Però il suo cervello è un ottimo motore di ricerca, lavora un attimo e trova la soluzione:

     “No, le ho cancellate quando mi sono accorta che non rispondeva. Ho pensato ad uno scherzo oppure ad uno che di fronte alla mia richiesta di notizie ha preferito rinunciare perché aveva qualcosa da nascondere. Arriva tanta di quella porcheria per e.mail che io cancello tutto regolarmente e subito, così resta in archivio solo quello che è utile.”

     “Ma ti ricordi almeno come si chiama?”

     Nuova domanda difficile e pericolosa. Teresa impulsivamente risponde:

     “Ha firmato la mail come Bono La…”

     Sta per dire ‘Ladrone’, confondendo la mail inventata con la lettera ricevuta, ma si ferma appena in tempo. Poi completa:

     “… aspetta un attimo… La… La … mi pare… La-den… Sì, Laden. Bono Laden.”

     “Bono Laden? Sarà mica parente di Bin Laden? Sicuramente è un nome falso. Farò ricerche.”

     “Sì. Credo anch’io che sia un nome falso, sì, proprio falso.”

     Ma com’è brava Teresa a mescolare verità e bugia facendo in modo che la verità galleggi, per così dire, sulla falsità, nascondendola abilmente.

*     *     *

     Il giorno dopo, martedì, viene sospesa la sedazione e Bono Laden (lo chiamo così, perché non so fare diversamente)  riprende conoscenza. Però, interrogato dal medico e dalla polizia, non sa dare risposte sensate. Capisce le domande e risponde in un italiano stentato ma comprensibile. Dice che non ricorda nulla, neppure come si chiama, chi è e da dove viene, tanto meno ricorda che cosa gli è successo. Il medico dà questa spiegazione:

     “Amnesia retrograda, abbastanza comune in chi ha subito un trauma cranico. Gli passerà.”

     Bono resta in ospedale fino a venerdì, poi, dopo un’ultima medicazione, viene dimesso con prescrizione di controlli e terapie psico-neurologiche per curare l’amnesia.

     In questura viene registrato come non identificabile, ma si ipotizza che si tratti di un immigrato irregolare. Secondo la dichiarazione di Teresa gli viene attribuito provvisoriamente il nome di Bono Laden. Continueranno le indagini, e intanto, su interessamento del sovrintendente Giorgini, l’uomo viene affidato proprio alla signora  Teresa Verdi, nata Mastrosio, che si è offerta di regolarizzare la sua posizione come lavoratore domestico.

     Teresa ha così raggiunto il suo scopo di salvare quel poveretto, al quale si è affezionata istintivamente in un modo che neppure lei sa comprendere. Pur avendo circa la stessa età di lui, si comporta come una madre con un figlio sfortunato, un figliol prodigo di biblica memoria. E, proprio come nella storia di Esaù e Giacobbe, avviene che Angelo, il figlio, non ritiene giusto quel trattamento, protesta con la madre ma lei non gli dà peso.

     Bono entra dunque nella famiglia Verdi come collaboratore familiare, accolto con entusiasmo da Teresa, con tollerante accettazione da Giovanni e con molte riserve da Angelo. Sta avvenendo una cosa strana, un capovolgimento dell’atteggiamento dei due uomini.

     Angelo, che prima era tanto ben disposto verso i profughi, ora sente nascere e crescere un’avversione per Bono e quell’avversione la estende a tutti gli immigrati.

     Giovanni invece accetta la presenza di questo strano ospite, il quale comunque fa di tutto per farsi voler bene. È servizievole, disposto a svolgere qualsiasi lavoro. È dotato di una notevole capacità di apprendimento che fa migliorare in modo incredibilmente rapido il suo italiano.

     Chi ha pregiudizi basati sul sentito dire o sul credo politico, spesso si atteggia pro o contro un certo gruppo sociale, si presenta come razzista o antirazzista, senza avere una propria convinzione ragionata e verificata. Quando poi all’atto pratico si trova a contatto con un persona reale il pregiudizio si dissolve e viene sostituto da un sentimento favorevole o sfavorevole secondo le circostanze e soprattutto secondo l’interesse personale. Infatti mentre Giovanni comincia a considerare utile l’aiuto che può venire da Bono, Angelo invece vede un intruso che, essendo operoso, mette in pessima luce la sua indolenza.

     Intanto, con il passare dei giorni, Bono riacquista un po’ di memoria e gli vengono dei flash della sua infanzia.

     Ricorda di essere nato e vissuto in Libia, che però chiama Jamahiriya. Non riesce a spiegarsi come e perché sia venuto in Italia, ma ricorda che la nonna era italiana, aveva lavorato alla fine degli anni ’30 come domestica nella dimora tripolina di Italo Balbo, aveva sposato un libico e dopo la guerra era rimasta a Tripoli diventando libica e mussulmana. Aveva però conservato un caro ricordo di Balbo, del quale parlava spesso chiamandolo ‘sua Eccellenza il Governatore’, e non dimenticava l’Italia tanto che aveva insegnato l’italiano al nipote e gli aveva profetizzato che, prima o poi, la conoscenza di quella lingua gli sarebbe stata utile.

*     *     *

     Talvolta la famiglia Verdi passa le serate a chiacchierare amichevolmente con la presenza saltuaria di Sante Giorgini, che ne approfitta per tenere d’occhio Bono perché si sente responsabile dell’azzardo che ha fatto personalmente patrocinando l’affidamento a Teresa. In quelle occasioni lei, istruita dal neurologo che aveva visitato Bono,  invita il suo ospite-colf a raccontare liberamente ciò che gli viene in mente, stimolando così il ritorno della memoria.

     Affiorano progressivamente brandelli di ricordi per lo più dolorosi: la paura di Gheddafi, una lunga carcerazione, il lavoro da schiavo in una raffineria, un incomprensibile terrore per il mare, la scomparsa della sua famiglia. L’argomento più difficile, più doloroso, è proprio la famiglia: gli sembra di aver avuto moglie e figli, ma è tutto confuso e non riesce a mettere a fuoco ricordi e immagini. Raccontando si commuove e, di tanto in tanto, i suoi occhi luccicano per le lacrime trattenute a stento. La commozione contagia Giovanni, Teresa e Sante. Angelo no, non è contagiato perché non c’è quasi mai, non partecipa a quelle chiacchierate che giudica recite zuccherose da stupidi piccoli borghesi che si sentono eroici missionari salvatori dell’umanità.

     Una sera Giovanni, durante una di queste chiacchierate, annuncia che dalla prossima settimana Bono comincerà ad aiutarlo nel negozio con la mansione di commesso. Angelo, che una volta tanto è presente sia pure di malavoglia, si sente offeso e scavalcato, e da quel momento la sua malevolenza  diventa più acuta e si trasforma in vera e propria gelosia

(Ma quando finisce? Un po’ di pazienza: finisce la prossima settimana.)

Agostino G. Pasquali

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