Viterbo CRONACA «Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem» (Comincia, o piccolo fanciullo, a riconoscere tua madre dal sorriso) Publio Virgilio Marone, Ecl. IV, v. 60

Il 15 settembre avrà inizio il nuovo anno scolastico. In occasione di questo evento, come la maggior parte di noi sa, non c’è anno in cui non si metta il dito nella piaga, ormai purulenta, dello stato in cui versa la nostra scuola preannunciando al suono dei sacri bronzi ed agli squilli delle trombe laiche, riforme rivoluzionarie e risolutrici.

Capi di Governo, Ministri competenti, Sindacati liberi e dipendenti, Forze sociali di ogni ordine e grado, Famiglie di ogni ceto, tutti si sentono in dovere di manifestare le loro impressioni, di esprimere le loro idee, di dimostrare la propria disponibilità per affrontare “gli improcrastinabili problemi”. Poi, ognuno,  calcolata la propria “epsilon”, aspetta che gli altri facciano qualcosa e tutto rimane come prima, ad eccezione di qualche piccola insignificante variazione.
 
Vi faccio grazia dei vari interventi di carattere “personale” che antepongono i propri singolari interessi a quelli generali della scuola e dei ragazzi nel loro insieme, per passare a sottolineare quelli in cui  emerge l’aspirazione ad una scuola migliore, non solo informante, ma anche formante, che dia soprattutto una spina dorsale ai nostri figli.
                   
I problemi che emergono sono gravosi, la soluzione non è semplice, ma è gratificante.
Emerge innanzi tutto la sperequazione nel rapporto prestazione didattica - controprestazione economica.
E’ vero che molti professori e capi di istituto dovrebbero essere allontanati dalla Scuola a sonori calci nel sedere affibbiati loro a due a due fino a che diventino dispari.
 
E’ altrettanto vero che i professori e presidi suddetti dovrebbero essere accompagnati, se non preceduti, da sindacalisti faccendieri ed intrallazzatori che, per disgrazia generale, continuano ad infestare ogni luogo che frequentano ed in cui trovano colposa quando non dolosa cittadinanza.
 
E’ ancor più vero che sorte ancora peggiore andrebbe riservata ai vari politicanti da strapazzo che vendono il futuro dei nostri ragazzi per miseri interessi di bottega e personali pur di assicurarsi la gestione del potere in ogni stato e grado dell’ordine, o meglio del disordine, sociale.
 
Ma, dato per scontato, in via preliminare ed assorbente, che nella scuola ci deve stare chi merita, e solo chi merita, è ancora più vero che non si può corrispondere a chi dedica onestamente, correttamente e con passione, tutto se stesso all’educazione dei giovani una retribuzione da fame che neppure sfiora quella percepita da un magistrato e tanto meno quanto incamerato, in modi multiformi e non sempre legittimi, da questo o da quel politico: lascio il giudizio a chi legge.
 
Non credo che per asserire la verità di questa affermazione ci sia bisogno di prove; per chi, comunque, ne reclamasse l’esibizione potrebbe essere sufficiente dire che la stessa televisione di Stato ha riportato la continua diminuzione dei fondi assegnati alla scuola da vari anni a questa parte sotto ogni tipo di governo.
 
E sembra a Voi, miei cari, pazienti ed ostinati venticinque lettori, che chi si dedica professionalmente alla educazione ed alla formazione dei giovani non meriti la stessa considerazione sociale di chi amministra la giustizia, di chi si occupa della formazione delle leggi e di chi provvede all’amministrazione della cosa pubblica?

Vi siete mai chiesti quali futuri magistrati e quali futuri politici potremmo avere se non ci preoccupiamo di formare seriamente i nostri ragazzi?
 
Naturalmente l’osservazione vale per ogni tipo di professione di arte o di mestiere, perché va da sé che, per ogni cosa, per ogni attività, è necessaria una solida base scientifica, etica, logica.
 
Va ancora da sé che la cosa non è semplice. Non solo, è anche faticosa e lunga nel tempo, perché un corso scolastico non si esaurisce in un anno, e deve essere supportato da mezzi adeguati: non sono sufficienti l'impegno da parte degli insegnanti ed una collaborazione positiva da parte delle famiglie: occorre mettere gli operatori nella situazione di operare con serenità oltre che con mezzi.
 
 Occorre considerare, mi permetto di ripetere, che gli insegnanti affrontano decine di corsi scolastici per professione, e che ogni professione, per essere esercitata nel migliore dei modi, deve essere vissuta serenamente, ma la serenità non può andare a braccetto con continui, assillanti problemi economici; chi, per lavoro, si dedica all’educazione dei giovani va gratificato per la sua opera in modo che si senta invogliato a dedicarsi pienamente ad essa.
 
Valga per chi ha in mano una buona fetta di educazione e di formazione di nostri figli, quanto vale per altre categorie con simili responsabilità sociali.
 
Mentre mi abbandonavo in tali pensieri, ad un tratto, mi è venuto in mente il verso di Virgilio, il cui nome ritengo che basti per giustificarne la citazione, “Incipe parve puer risu cognoscere matrem”.   

Per chi sa di latino non è necessaria alcuna traduzione, questo verso è bello così com’è, non va guastato. Per chi non sa di latino, mi proverò a darne una versione chiedendo scusa all’autore: “Inizia, piccolo fanciullo, a riconoscere la madre dal sorriso”.

Orbene, questo verso, la cui dolcezza si assapora  sempre di più leggendolo e rileggendolo, ha risollevato i miei pensieri: mi sono isolato, ho messo le ali, ho sognato una scuola che accogliva i nostri figli con il sorriso, come una madre accoglie il proprio figlio, che a sua volta le sorride e le va incontro pieno di fiducia e senza riserve.

Ho visto amore in ogni gesto della scuola, ho visto fiducia nei ragazzi verso la scuola, dove si recavano contenti. Ho visto gli insegnanti sereni prodigarsi con amore per i ragazzi, che avvertivano questo amore e questo impegno, e li ricambiavano con altrettanto affetto, impegno ed entusiasmo, li ricambiavano con il desiderio di apprendere e di stare a scuola, li ricambiavano con il sorriso.

Una scuola così richiede preparazione, dedizione, sacrificio, sforzi notevoli non unilaterali e troverà molti “ma” sulla sua strada.

La risposta sta nei versi che Virgilio fa seguire al verso citato e che può riassumersi così: un ragazzo che non ha ricevuto un sorriso non avrà una vita felice.

Non svegliatemi per favore, lo so che sono un illuso, ma lasciatemi sognare.

Claudio Santella