Messina CRONACA
dott. Giuseppe Di Prima

Non è un problema di “no vax” ma una questione “di principio”.

Il vecchio Governo ci ha consegnato un decreto pasticciato, non finanziato, frettoloso e dai risultati incerti il cui demerito principale è proprio quello di inasprire il confronto sociale senza alcuna certezza che in questo modo si possano ottenere risultati migliori di altre misure di comunicazione credibile e ricerca del consenso. La questione quindi non è scientifica, bensì giuridica con forti riflessi di opportunità politica.

La questione che si pone in merito al decreto vaccini e al suo dibattito non è, quanto meno per chi scrive, relativa al merito sulla scientificità della pratica vaccinale, che diamo per scontata, quanto sulla idoneità di un decreto impositivo dell’obbligo e sulla sua capacità a produrre gli sperati effetti legati all’aumento della copertura vaccinale.

Per la prima volta un trattamento sanitario obbligatorio – anzi dodici trattamenti insieme! - viene sottratto alla discussione parlamentare e alle diverse sensibilità.

Vista l’imminenza delle scorse elezioni politiche anticipate il decreto vaccini si è presentato come banale propaganda elettorale.  Come è noto l’articolo 32 della Costituzione stabilisce, dopo avere precisato che la “Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario obbligatorio se non per disposizione di legge”.

La tutela della salute presuppone quindi il perseguimento del diritto del singolo e dell’interesse della collettività senza porre in essere una particolare gerarchia tra le due condizioni da tutelare. La Corte costituzionale ha avuto modo più volte di approfondire il concetto precisando che il disposto dell’articolo 32 deve essere bilanciato tra “il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo con il coesistente e reciproco diritto di ciascun individuo e con la salute della collettività”. 

Sulla base di questi presupposti la Corte costituzionale con giurisprudenza costante ha ulteriormente precisato che una legge “impositiva” di un trattamento sanitario non è incompatibile con la Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute della collettività. Lo Stato quindi – o più correttamente il legislatore – può imporre trattamenti sanitari obbligatori negli ambiti e nei limiti precisati. L’imposizione, abbiamo visto, abbisogna di una legge. Tutte le storiche leggi sulle vaccinazioni erano leggi ordinarie.

L’operazione che è stata messa in campo ha utilizzato, per la prima volta, lo strumento del decreto legge che deve avere, come caratteristica, di essere adottato in casi “straordinari di necessità e urgenza”. E’ chiaro il disposto costituzionale: il Governo può sottrarre al Parlamento la potestà legislativa – salva poi la conversione – solo in limitati casi.      

Per la prima volta un trattamento sanitario obbligatorio – anzi dodici trattamenti insieme! - viene sottratto alla discussione parlamentare e alle diverse sensibilità. 

Questo processo partecipativo, o quanto meno di ascolto, viene meno (o quanto meno fortemente ridotto) con la decretazione d’urgenza. Si mette in piedi frettolosamente il più grande piano collettivo di trattamento sanitario obbligatorio con l’improprio strumento del decreto legge in materia dell’unico diritto dichiarato come “fondamentale” dalla Costituzione: il diritto alla salute.  

Il decreto vaccini non riguarda però il solo diritto costituzionale alla salute ma interferisce con l’altro fondamentale diritto all’istruzione sempre costituzionalmente tutelato. Come abbiamo precisato non è in discussione la necessità di una efficace strategia vaccinale.

Quella che è in seria discussione è la politica messa in atto con questo decreto legge e la sua attitudine a risolvere problemi. La legislazione sui vaccini non è cambiata in questi ultimi decenni perché le strategie di politica vaccinale si erano orientate sul “superamento dell’obbligo vaccinale”. Sin dal 1995 dietro un parere del Consiglio superiore di sanità – che ricordiamo essere l’organismo “consultivo tecnico” del Ministero della salute ed espressione della comunità scientifica e delle rappresentanze istituzionali delle professioni sanitarie - aveva auspicato “lo spostamento delle vaccinazioni dagli interventi impositivi a quelli della partecipazione consapevoli della comunità”.

I successivi piani sanitari vaccini avevano seguito quelle indicazioni. E’ chiaro che il superamento era da considerarsi una strategia di lungo periodo che implicava varie azioni: investimento sul personale addetto ai servizi vaccinali, investimento sui pediatri di libera scelta e sui medici di medicina generale, investimento sui servizi vaccinali, investimento sulle campagne sanitarie.

Se questa strategia ventennale è stata fallimentare – i dati sarebbero evidentemente a dimostrarlo – è lecito domandarsi se la politica tesa all’adesione consapevole alla pratica vaccinale sia stata attuata oppure no. In altri termini lo straordinario impegno di sensibilizzazione e formazione di centri, personale e popolazione è stato perseguito oppure è addirittura diminuito con le varie spending review variamente denominate? Le istituzioni preposte non possono esimersi dal rendere pubblico quanto è stato attuato dagli altrimenti inutili piani sanitari vaccini. La stessa relazione tecnica di accompagnamento al decreto legge ammette il calo delle coperture vaccinali in modo drastico a partire dal 2013.

In assenza di questi dati ecco che la scelta del legislatore delegato appare semplicistica e miope: mettere indietro le lancette dell’orologio agli anni novanta dello scorso secolo e attuare il più grande piano di trattamenti sanitari obbligatori addirittura con decreto legge. E’ lecito domandarsi se la prova muscolare del Governo possa essere efficace nel raggiungimento degli auspicati obiettivi di maggiore copertura vaccinale e a quale costo sociale. Inoltre è lecito domandarsi se tale politica possa financo arrivare ad aumentare la sfiducia nelle istituzioni e nell’adesione alle pratiche consapevoli.

Il decreto legge del Governo impone un regime di obbligatorietà con più risvolti. Per quanto riguarda la prima delle misure – l’obbligo di certificazione per l’iscrizione agli istituti educativi entro i sei anni di età – siamo in una condizione in cui l’inadempimento agli obblighi vaccinali comporta la compressione di un diritto costituzionalmente garantito come quello all’istruzione, indipendentemente dagli anni previsti per lo stretto obbligo scolastico. Il disposto del primo comma dell’articolo 34 della Costituzione – “La scuola è aperta a tutti” – soccomberebbe a fronte all’inadempimento vaccinale.
Le condizioni poste dal decreto per questioni preclusive all’iscrizione scolastica porta in se il rischio – già dichiarato in molti settori – di canali paralleli di istruzione a quella ufficiale. Tali rischi si corrono anche per il regime di ammende previste nel periodo dell’obbligo scolastico.

Sarebbe interessante capire se il legislatore delegato (il Governo) abbia valutato a fondo le conseguenze del regime sanzionatorio: l’esclusione dal percorso scolastico di una certa percentuale di bambini e ragazzi con genitori fortemente motivati a continuare a sostenere la “renitenza all’obbligo vaccinale”. La conseguenza è chiara: l’aumento del fenomeno degli “homeschooler” e delle “homeschooling” intendendosi per tali quei percorsi educativi alternativi alla frequenza a una scuola strutturata e che presuppongono il ruolo attivo dei genitori (anche se non esclusivo).
 
Il fenomeno è già presente in Italia e rischia di avere una forte spinta dal decreto vaccini espellendo nei fatti migliaia di bambini i cui genitori hanno avuto la radicalizzazione delle proprie convinzioni proprio dal decreto vaccini stesso. L’adesione alle homeschooling sarebbe la faccia migliore del fenomeno perché presuppone comunque un progetto educativo, famiglie consapevoli ed economicamente in grado di gestire tale scelta e genitori capaci (o convinti di esserlo) di educare in autonomia i propri figli.

Nei settori meno avvertiti della popolazione il rischio però è di spingere verso l’abbandono scolastico una parte della popolazione infantile e adolescenziale in cui non solo è in gioco l’istruzione, ma anche la perdita della possibilità della mera frequenza all’istituzione scolastica che, come è noto, rappresenta comunque un valore di per sé. E’ del tutto irrilevante il fatto che si possa distinguere l’impossibilità di iscrizione nella fascia 0-6 anni dalla possibilità di frequenza ma con multe elevate. Il rischio di abbandono è identico.

ll vecchio Governo ci ha consegnato un decreto pasticciato, non finanziato, frettoloso e dai risultati incerti il cui demerito principale è proprio quello di inasprire il confronto sociale senza alcuna certezza “che la coercizione ottenga risultati migliori di altre misure di informazione credibile e ricerca del consenso e responsabilizzazione sociale”.

C’è da augurarsi un sussulto di dignità del Parlamento odierno e da auspicare che non si arrivi a una conversione in legge con voto di fiducia che non farebbe che aumentare l’opposizione alle pratiche vaccinali.