Viterbo MINIRACCONTO
Agostino G. Pasquali

    Il mio cugino Angelo ama la musica, ama soprattutto la musica classica.

Ascolta però volentieri anche il jazz purché non troppo rumoroso, gli piacciono le canzonette ma è rimasto fermo a Orietta Berti, e accetta pure il rock melodico che, dice lui, non è un ossimoro ma è la migliore espressione musicale degli anni settanta. Se lo dice lui…

     Qualche giorno fa è venuto a farmi una visita e mi ha sorpreso mentre stavo lavorando al computer e intanto ascoltavo un CD con la colonna sonora del film “Incantesimo - The Eddy Duchin Story”. Ha guardato la copertina del CD e ha detto:

     “Ah, Kim Novak. Era la mia musa da ragazzo… Bravo, approvo! E la musica?... Brazil… On the sunny side of the street… Whispering… Ottimo! Che c’è di meglio? Sentimento e ritmo suonati da Carmen Cavallaro, che vuol dire brio e romanticismo… magari anche un po’ di sdolcinatura. Però, però, lasciamelo dire: ‘To love again’, il tema musicale del film, non è altro che il ‘Notturno opera 9 n.2’ di Chopin inserito ora in questo CD di musica leggera… Eh, no! Non approvo queste contaminazioni commerciali e facilone. Accostare un notturno di Chopin al samba di Ary Barroso è come inserire il ‘Bacio di Gustav Klimt’ tra gli affreschi della Cappella Sistina, come grattugiare del pecorino su un profiterole, come…”

     Angelo aveva cominciato uno dei suoi sproloqui. Dovevo fermarlo. Perciò ho spento il computer e ho cercato di distrarlo dicendo:

     “Vieni, andiamo in cucina che ti offro un caffè.”

     Ho già raccontato più volte chi è il cugino Angelo. Mi ripeto brevemente. Angelo è un insegnante in pensione, eruditissimo, tuttologo, convinto che quasi tutte le persone siano ignoranti da istruire. L’ho definito ‘palloso’ e spesso lo è, ma talvolta racconta anche cose interessanti. In fondo è un brav’uomo, però non smette mai di sentirsi in cattedra. Quando non posso evitare le sue conferenze ‘ad personam’, le sopporto... con santa pazienza.

   Mentre la paradisiaca “A modo mio” si stava scaldando, Angelo ha ripreso a parlare di musica:

   “Caro cugino, a proposito di musica ti devo raccontare quello che mi è capitato due anni fa a Milano… Sai? Non te l’ho mai raccontato?... Beh! Considera che Milano è la capitale d’Italia in tutti i sensi, eccettuato quello ufficial-istituzionale… ma forse è un bene. Intendo dire che è un bene per Milano, perché così evita di essere troppo contaminata da quella politica, già alternativamente destra/sinistra, ora pentastellata, che ha rovinato irrimediabilmente Roma… Oh! “Absit iniuria verbis”… Non voglio parlare di politica, non vorrei compromettermi… Che cosa stavo dicendo?”

     “Dicevi che Milano è la capitale…”

     “Ah, sì, giusto! Milano è la capitale anche della musica. E non parlo della ‘Scala’, il che sarebbe troppo facile e scontato, ma parlo della sperimentazione, dell’avanguardia. Devi sapere che, arrivato alla stazione centrale, appena uscito, ho preso un taxi perché avevo un appuntamento…”

     “Oh,oh! Un appuntamento?”

     “No, non fare quella faccia da satirello malizioso! Era un appuntamento d’affari. Dunque il tassista, un classico ‘sciur Brambilla’, chiacchierone cordiale e socievole, mi ha parlato di un concerto e mi ha offerto un biglietto omaggio per andarci la sera stessa. Si trattava di una Jam Session di sassofoni in musica sperimentale e ci avrebbe suonato anche suo figlio, un ragazzo di vent’anni dal grande avvenire. “Se ciam , si chiama, Udilio Fumagalli” mi precisò. Me lo ricordo bene. Pagai la corsa, faceva 15 euro ma gliene diedi 20 dicendo: “Tenga pure il resto, anche per il gentile omaggio del biglietto.”

     Non avevo impegni per la serata e sono andato alla Jam Session.

     Sorpresa: ingresso libero! Era una di quelle manifestazioni di dilettanti che sono patrocinate da Comune-Provincia-Regione-Diocesi, sono organizzate da Associazioni filo…qualche cosa, e sono sponsorizzate, cioè finanziate a scopo pubblicitario, da produttori di salumi- yogurt-integratori alimentari e altre categorie commerciali. Insomma quegli spettacoli di così detto ‘interesse culturale’, dove gli artisti sono numerosi, ma gli spettatori pochi. Si teneva in un piccolo teatro in stile ottocento, cioè all’antica con i palchi e le poltrone imbottite e foderate di velluto rosso. Comunque un bell’ambiente, curato e confortevole. C’era pochissima gente e avevo un palco tutto per me: cioè era a quattro posti, ma nel palco c’ero solo io. Però era un’ottima sistemazione per dormicchiare nel caso di un attacco di probabile sonnolenza da noia teatrale.

     Puntualissimo, alle ventuno, cominciò lo spettacolo. Ma non si può chiamarlo spettacolo, dato che di spettacolare non aveva niente, né scenari, né orchestra, né un presentatore e nemmeno una voce recitante. Si presentavano a turno alla ribalta, davanti al telone chiuso, i sassofonisti che dicevano il titolo del brano da eseguire; qualcuno spiegava il perché e il percome lo aveva composto, oppure, se si trattava di un pezzo già conosciuto, come e perché lo aveva arrangiato. Alla fine di ogni esecuzione arrivava un breve applauso, di solito localizzato in un gruppetto di spettatori, evidentemente gli amici dell’artista. Io applaudivo un po’ tutti e lo facevo più che altro per cortesia, non per convinzione…”

     “Ma dimmi, Angelo, e ti prego di essere sintetico: erano bravi artisti? valeva la pena di…”

     “Così, così; ne bene, né male. Quasi tutti giovani, volonterosi e abbastanza preparati tecnicamente. C’era anche qualche anziano che non si capiva se fosse stato colpito da un raptus senile di pseudo ringiovanimento o da una conversione musicale tardiva. I più interessanti erano quelli che cercavano di innovare utilizzando gli strumenti, i sax, in modo insolito. A proposito, ti ricordi il figlio del tassista?”

     “Come no! Il… Fumagalli?”

     “Appunto. Dunque Udilio Fumagalli si presentò sul palcoscenico esibendo un abbigliamento ridotto e stravagante: canottiera, jeans tagliati cortissimi tipo costume da bagno, scarponi da campagna larghi e senza lacci. Nonostante la scarsità di vestiario non mostrava però alcuna nudità perché, escluso il viso, era tatuato dappertutto. Cominciò con brevi suoni che di musicale avevano poco, ma le smorfie che faceva la sua faccia erano di per sé uno spettacolo. Pensai che la novità stesse nell’usare il sax non come strumento musicale, ma come attrezzo da mimica buffa.”

     “Dunque, divertente...”

     “Sì, certo. Ma il bello venne dopo, quando smontò il bocchino del sax e lo sostituì con un altro speciale di sua invenzione, come specificò lui, e quindi annunciò con la massima serietà: “Eseguirò una sperimentescio di mia ideazione dal titolo: “Fartingmusic”.

     “Far… che cosa? Non ho capito.”

     “Il significato te lo dirò dopo. Abbi pazienza! Dunque cominciò a soffiare nel sax traendone suoni sgradevoli, ma non stonati, che ricordavano chiaramente “When the Saints Go Marching In”… Ti rendi conto? Uno spiritual? Un brano sacro che è anche un cult del jazz? Suonato con suoni orribili che erano, detto proprio in chiaro… SCO-REG-GE.

     Terminato il brano, quell’umanoide commentò più o meno così: “Come avete ascoltato, la musica può essere mooolto più significativa di quanto si pensa di solito. Capiito il doppio seensoo? Noo? Forse non sapete l’inglese e vi sfugge il significato di ‘Fartingmusic’? Allora ve lo dico io: ‘Fartingmusic” significa musica con le scoregge. Devo perfezionare la tecnica. L’anno prossimo completerò la sperimentescio inserendo nel sax una bomboletta spray che diffonderà nell’aria, insieme alla musica scoreggiante, anche il corrispondente ‘Fartingsmell’. Non credo di dover tradurre.”

     “E allora?” ho chiesto divertito e incuriosito.

     “Allora ci fu un applauso generale, lungo e rumoroso. Uno solo non applaudì.”

     “Tu, vero? E poi?”

     “E poi, niente. Me ne sono andato via disgustato. Ma ti pare che un raffinatissimo musicofilo come me poteva restare lì a sentire quegli orripilanti ‘suoni di culo’? Così direbbe Dante Alighieri… Ma se mi ricapita quel tassista… gliela do io la mancia! ”