Viterbo MINIRACCONTO

Agostino G. Pasquali

 

In fuga da casa

     “Eccolo, eccolo là! L’abbiamo trovato!” dice eccitatissimo il carabiniere Giustini che è al volante dell’auto di servizio.

     L’appuntato Muscatto, seduto accanto al Giustini, è impegnato in una conversazione radio con la Centrale Operativa. Smette di parlare, guarda con attenzione e poi riferisce alla Centrale:

     “Probabilmente abbiamo trovato il bambino Rossini Lino. Gli indumenti e la foto corrispondono. Ora controllo e poi richiamo.”

     Il carabiniere Giustini ferma l’auto davanti a un muretto sul quale siede un bambino di circa otto-nove anni in atteggiamento sofferente. L’appuntato scende, si toglie il cappello per sembrare meno militare, e si avvicina al bambino cercando di mostrare un atteggiamento tranquillo, per non spaventarlo. Sorridendo gli chiede:

     “Sei Lino? Lino Rossini, vero?”

     Il bambino annuisce.

     “Come stai?” chiede ancora l’appuntato.

     “Mi fa tanto male la caviglia…” risponde il bambino indicando la caviglia destra che è evidentemente gonfia e un po’ edematosa. Aggiunge: “Correvo … ho inciampato e ho preso una storta, brutta brutta.”

     L’appuntato Muscatto, che ha frequentato un ciclo di lezioni di pronto soccorso, si rende conto che non si tratta di una banale ‘storta’, ma c’è una lesione e quindi sono opportuni esami medici e strumentali. Assume un atteggiamento paterno e dice al bambino:

     “Ora ci pensiamo noi. Ti sollevo… ti metti in macchina. Ecco, attenzione… stai comodo? Ora andiamo con l’auto al pronto soccorso. Però avviso subito i tuoi genitori e gli dico di venire in ospedale… Stanno in giro in macchina anche loro. È da stamattina che ti cercano, sono preoccupatissimi. Ma tu dov’eri finito? Sei uscito di casa senza dire niente e senza la cartella… a scuola non ci sei andato…”

   Il bambino resta per un po’ in silenzio a testa bassa. Poi rialza la testa e fissa l’appuntato con uno sguardo di sfida:

     “Sono scappato da casa. Non ci voglio tornare!”

     “Perché? I tuoi genitori ti cercano…”

     “Noo! Non ci credo. La mamma sta per avere un altro bambino e di me… non gliene importa più niente. Le do fastidio. A me toccano i rimproveri: “Stupido, disordinato, ora sei grande, fai da te!” E pure papà non fa che preoccuparsi del nuovo bambino, gli prepara la stanza, i mobili nuovi dell’Ikea, i giocattoli… prima andavamo a spasso, giocava con me…”

     L’appuntato non sa più cosa dire. Sono problemi personali, di famiglia. È difficile per un estraneo occuparsene, anzi è inopportuno perché c’è il rischio di peggiorare la situazione dando pareri e suggerimenti non graditi o addirittura controproducenti. Dunque resta silenzioso e si crea tensione tra lui e il bambino. Per alleggerirla chiede:

     “Ti fa molto male la caviglia?”

     “Sì, tanto, ma meno di prima.”

     “Stiamo per arrivare al pronto soccorso. Ti daranno qualcosa per il dolore e ti cureranno… Forse là sono già arrivati i tuoi genitori, che li ho avvisati col telefonino. Hai sentito pure tu… Stai comodo? Ti serve qualche cosa? Posso fare qualche cosa per te?”

     “Sì, grazie! Si potrebbe andare con la sirena accesa e i lampeggianti? Vorrei arrivare in ospedale come un caso grave. Così… forse… papà e mamma si preoccuperanno anche di me.”